2013, film da ricordare

1 2 3 4 5

 

 

Premio WOW: Gravity

Premio Divide et Impera: La grande bellezza
(Sogna er mare, sogna. Roma è fatta pe’ sogna’. Ma er mare, pure se ce stanno li gabbiani, te lo devi immaggina’)

Premio L’Ansia: Captain Phillips

Premio Western: Django Unchained

Premio Gasamento GO BIG: Pacific Rim
(chi critica, esca dalla sala, grazie)

6 7 8 9 10

 

 

 

 

 

Premio Sorpresa dell’anno: Pain and Gain
(“Il mio voto parte dal sette e mezzo”)

Premio Xanax: Blue Jasmine
(visto da pochissimo ma instant classic, un Allen gustoso con una Cate Blanchett straordinaria)

Angolo Jennifer Aww Lawrence: Catching Fire (The Hunger Games)
(detto anche ‘premio Serialità’ o ‘premio Teen’, dove le frecce superano al fotofinish i balletti di ‘Il lato positivo’, vincitore del premio Romance, nei due film visti quest’anno con la Jennifer) 

Premio Invisibile: Mud
(uno di quei film che per ragioni misteriose non vengono distribuiti, trovate il modo di vederlo, è molto bello) 

Premio Divano: The Sessions
(recuperato in DVD, questo è il tipico film che nelle sale della mia zona non si è visto, oppure è stato in cartellone quattro sere, magari con unica visione alle 2230 e allora amen, comunque, recuperatelo in DVD)

(questi sono dieci titoli che ricordo con piacere di una stagione più divertente che esaltante. certo, mancano un sacco di film – uno su tutti, ‘La vita di Adele‘ – film probabilmente bellissimi che per mancanza di opportunità in sala o per eccessiva pigrizia non ho visto.
chez junkiepop ci sono classifiche multi firma per trovare ampi spunti, il sempre ottimo kekkoz ha scritto la sua, per altro ci sono i commenti dove lasciare idee e suggerimenti)

Bonus track: tre serie tv del 2013 che non potete perdere:

1. Orange is the new black 
2. Masters of sex
3. Broadchurch 

 

Palco n.25 OR.1/D (S03E02, the Quartet strikes back)

14a255ac5df511e38c200e1bc264082d_7Si arriva quasi in ritardo. Il dicembre, le feste, il lavoro da finire in dicembre per le feste.
Fuori, un bel cielo stellato. Dentro, sul suonare della campanella, esce il Quartetto Hagen, habituè del posto palco.

Il Quartetto ‘resident’
E’ infatti la terza volta che vediamo esibirsi il Quartetto della famiglia Hagen che questa sera completa l’esecuzione dei quartetti di Beethoven (vedi precedenti episodi S02E02 e S02E07)
La sorella ha uno splendido abito lungo nero, i boyz sono anche loro in nero. Il leader con cenni del capo e occhiate d’intesa, guida gli altri.
Thrilling immediato. Un rumore, un CRI-CRI-CRI incessante, tipico di notti di campagna non dell’interno di un teatro, accompagna gli strumenti. Sembra che un grillo si sia svegliato dal suo torpore, forse è rimasto chiuso dentro un condotto d’aria, forse è rimasto nascosto in un palco vuoto, chissà. Fatto è che per tutto il primo movimento questo suono quasi sovrasta le note. Fastidioso, il primo violino muove gli occhi come a sollecitare un intervento, poi si rassegna. Anche un po’ il ridere con la gente che si gira come se potesse individuare il piccolo disturbatore. Dopo poche battute del secondo movimento però, il grillo, rassegnato, la smette. Oppure è partita nel frattempo, come cronache del corridoio riportano nell’intervallo, una caccia delle maschere alla bestiola. Chissà.
Il quartetto suona sempre molto bene. Mi immergo nella musica che a volte ha il potere di spogliarmi di ogni pensiero. Mi rilasso fin troppo, non presto sufficiente attenzione, a volte si arriva a teatro senza aver mangiato niente, con un filo di stanchezza di troppo, capita.
Fortuna c’è l’intervallo che mi resetta.

I film, nella testa
L’ultimo quartetto della ‘serie Hagen‘ è datato 1828, la sua prima esecuzione è postuma, dopo la morte del compositore.
E’ composto da sette movimenti (il terzo e il sesto molto brevi). Si dice che Schubert abbia detto dopo averlo ascoltato “Dopo questo, cosa ci resta da scrivere?”.
Mi entusiasmo leggendo le note, la stanchezza è passata e, come già detto, mentre sono a teatro che ascolto, capita che dal nulla mi sbucano in testa dei micro film, immagini mentali che partono da sole con probabili ma poco importanti riferimenti al mio subconscio o alla mia esperienza di arti visive.
Li ho annotati. Eccoli, accoppiati ai movimenti.

Adagio ma non troppo e molto espressivo
1945, Iowa.
Una donna coi capelli mossi e castani come l’autunno, esce sul portico della propria casa. Indossa un grembiule di cotone grezzo con piccoli disegni di gatti. Aspetta, il marito è al fronte, da qualche parte in Europa. Lei non si è mai mossa dal suo paesino annegato nella campagna. Aspetta, non ha sue notizie da settimane. Aspetta un militare che bussa, una lettera infilata sotto la porta, la fine della guerra, il tramonto come compagno di lunghe serate.

Allegro molto vivace
1984, periferia di Buenos Aires.
Due ragazzini con scarpe di tela senza lacci, corrono fra i detriti di un palazzo in costruzione. Si urlano rincorrendosi, sfiorando panni stesi, calciano bottiglie di plastica in una nuvola di polvere. ‘Quando sarò capo del mondo costruiremo campi da calcio enormi‘. ‘Quando sarò capo del mondo costruirò fabbriche di biscotti enormi‘. Si fermano, stanchi. Si chiedono cosa faranno da grandi. Il militare. No. Il professore. No. Il viaggiatore. Sì! Il calciatore! Sì! Viaggeranno, correranno sempre, vedranno nuovi mondi, nuove persone, si compreranno scarpe di pelle Adidas, calceranno palloni di cuoio, prenderanno gli aerei che vedono ogni tanto passare sulle loro teste, segneranno gol in rovesciata all’ultimo minuto.

Allegro moderato
1885, centro città, Vienna.
Una ragazza si guarda allo specchio. Il fiocco del vestito sulla schiena le sta bene, i boccoli sulle guance la fan sembrare più giovane. Il campanello, la carrozza. Andiamo.

Andante ma non troppo e molto cantabile (sei variazioni)
1885, appena fuori città, Vienna.
Beethoven è morto da poche settimane. Nella villa si tiene un concerto celebrativo. La figlia minore ha invitato un compagno di studi di pianoforte. Lui la aspetta per un’ora nel pianerottolo del palazzo in centro. Le ruba cinque minuti prima dell’arrivo del padre. Le chiede cos’ha studiato, le dice che andranno insieme al conservatorio, si guardano imbarazzati. Lei esce nel prato davanti alla dimora, lo aspetta. Lui arriva a piedi. I capelli troppo pettinati, l’imbarazzo sul viso, le scarpe più belle. Il padre di lei lo accoglie con un sorriso stentato sotto uno sguardo di riprovazione. Parlano poco, durante il concerto si sfiorano le mani, applaudono. Al termine, lei lo saluta con un bacio sulla guancia. Lui va via, i piedi sollevati da terra.

Presto
2029, Southbank, Londra.
La redattrice dell’edizione serale per Google Glasses sta chiudendo il suo pezzo. Guarda l’orologio, è in ritardissimo. Esce col cappotto a metà spalla, entra in metro, vola dentro al caffè dove lo aspetta la madre. Le dice che ha conosciuto un ragazzo. Si sposano. La madre è contraria. La discussione fra un assaggio di sushi e l’altro è concitata ma complice. Arriva il conto, offre la madre. Si abbracciano salutandosi, la metro chiude presto.

Adagio quasi un poco andante
1956, cimitero di Ostia, Italia.
Un signore con cappello nero è fermo davanti a una tomba. Il sole si riflette sul nero del marmo funerario. Lui muove le labbra come se pregasse ma sta raccontando cosa sta succedendo a casa. Va tutto bene.

Allegro
1977, spiaggia di Galway, Irlanda.
Si sente scoppiare il cuore per la lunga camminata. Con sé ha una piccola scatola a forma di stella. La madre ci teneva i suoi biscotti preferiti. L’ultima volta che avevano parlato lui l’aveva rimproverato per un investimento sbagliato. ‘Potevi stare in fabbrica‘. Ricorda di come si lasciati. Un grugnito mentre entrava in casa. La porta che sbatteva. Sembrano settimane, diventano anni di incomprensioni. Poi la corsa in ospedale, i tubi, l’attesa nel corridoio grigio pieno di pensieri grigi come la mattina fuori dalle vetrate. Lentamente entra in acqua, ogni onda un ricordo violento e preciso. Apre la scatola, due sbracciate, polvere nel mare dove lui aveva lavorato per troppi anni.

Ecco. rileggendo, robe basiche, elementari. Potere del quartetto.
Puoi farlo anche tu, la musica è qua.

Curiosando, in platea.
Durante l’intervallo, sbarro gli occhi per l’arrivo fra le file di una signora con incredibile stola anni ottanta delle periferie da bere, con code di poveri animali sacrificati, accompagnata da probabile nipote in abito nero e farfallino, però con ciuffo mechato biondissimo.
Sul fondo della platea una signora con cappello di paillettes, in leggero anticipo natalizio. Appena terminato in concerto, un paio di ragazzetti in jeans scattano dal posto mentre ingaggiano una disquisizione sul vibrato del primo violinista.
Noto l’assenza della coppia di vecchietti, forse impegnati in cene aziendali. Registro la presenza della padrina del teatro, sempre là in alto, protettrice del posto palco.
Premio romance della serata, alla coppia al centro del terzo anello di palchi, che si spara tutto il secondo quartetto in un probabilmente scomodo abbraccio sul sediolo, lei in braccio a lui.

Il programma di serata

La citazione: ‘Lascia che il movente sia nell’azione e non nel risultato. Non essere uno di quelli per cui la spinta all’azione sta nella speranza di una ricompensa’. (LVB)

Previously on ‘Palco n.25 OR.1/D

Next, on ‘Palco n.25 OR.1/D’: chamber orchestra with soloist, Yeee!

non un Natale per film fighi, ma sempre un Natale con Gandalf

Cosa bolla in pentola? Cosa c’è a Natale al cinema?
Vediamo. Doppietta regolare di animazione con ‘Frozen‘ e ‘Piovono polpette bis‘. Ok.
C’è la commedia per sognatori con Ben Stiller. Ok.
Doppietta di film italiani coi titoli in corpo ciccione e carattere rosso, uno con Abatantuno, uno con De Sica. Va bè.
Un film di Stephen Frears per signore che vanno al cinema una volta all’anno . Ok.

Film fighi? No. Non è Natale per film fighi.
Dallas Buyers Club? 30 gennaio.
Saving Mr.BanksInside Llewyn Davis12 years a slave? Tutti al 20 febbraio (ma ciao distributori, se quella settimana per caso nevica e non riesco a vederne almeno due, faccio anche io un blocco dell’autostrada)
Her? 13 marzo.
Ah, no. American Hustle. Esce il 01 gennaio. Film perfetto per l’hangover.

hbPoi c’è Anelli. Per meglio dire L’Hobbit, Pt.II.
Vista la prima parte? No?
Meglio, non succedeva niente se non corse a perdifiato di nani inutili e di un hobbit molto utile e poi si rivedeva il Tessoro (non l’oggetto, il Gollum), unico momento di gioia del film. In questo ci sono meno corse, zero Tessoro, molto hobbit utile, elfi con frecce, un drago.
E’ molto meglio del primo, non paga neppure troppo il fatto di essere nel mezzo di una trilogia e riesce ad inserire, mentre l’avventura procede a strappi, molti spunti che servono a preparare la saga vera di anelli, quella con Sauron e molto Tessoro, quella che molti, secondo me, quando finisce il film, si vogliono rivedere.
Quindi, varie strizzatone d’occhio ai fan, un’accelerata al ritmo e un drago.
Ecco, il drago è molto figo. Ci si diverte abbastanza, le lunghe due ore e quaranta passano quasi leggere, meno orchi stupidi che si fanno ammazzare con facilità, meno gag da asilo, più dignità, più oscurità, più Evangeline Lily, più Orlando Bloom con lenti a contatto. Gente che sbuffa quando il film finisce/non finisce. Ancora troppi nani.
Daje Peter, se li elimini, il terzo diventa una bomba.
(scherzo, il terzo sarà bellissimo, suvvia)
Per vedere film davvero belli, faremo passare il Natale.

Ps.: ‘The wolf of Wall Street? Tzk, troppo facile. 23 gennaio.

scoccala ancora Jennifer

CFAppena prima dell’arrivo del materiale natalizio per multisale, riesco a vedere ‘Catching Fire’, secondo episodio della trilogia degli ‘Hunger Games’.
Questa riga è stata scritta evitando con cura che le dita componessero la parola WOOOOOOOOAH! tanto mi ha gasato la visione di questo secondo episodio, forse per osmosi con la ventenne seduta sotto di me che si è mangiata le mani per tre quarti di film dalla tensione condita da pizzicori di romance teen. Peccato non potere leggere il libro perché mi rovinerei la riduzione cinematografica (mi dicono che è piuttosto fedele all’originale, mi fido) che secondo me la signora Collins ne ha di bella fantasia e l’operazione di trasposizione rende bene tutto il mondo dei distretti e di Capitol City.
Nebbia avvelenata! Figata! Ok. La smetto.
Bello, divertentissimo, forse migliore del primo con il supporting cast che si rivela prezioso e nuovi personaggi di valore combattente. Poi c’è la Jennifer che è una freccia piantata nel mio cuore vecchio ma ancora palpitante per le rivoluzioni in celluloide.

(cosette di fine anno) la musica

Dicembre, tempo di classifiche. E di confessioni.
Confesso che questa stagione mi ha visto ascoltatore mordi e fuggi. Moltissimi ascolti distratti (mannaggia a ‘Spotify’) e pochissime uscite su cui mi sono fermato e ho raccolto in un paio di post.
Sono un tipo old school, il disco me lo devo sentire bene e soprattutto negli ultimi mesi di tempo (Arcade Fire a parte) ce n’è stato pochino. Ho chiesto quindi aiuto a un amico molto più giovane di me, Dj per gioco, sobillatore di hype per scherzo, scrittore di musica online per passione.
Lui da qualche anno ha il difetto di farmi scoprire nuovi suoni, nuove band. Gli ho chiesto di buttare giù una manciata di dischi imperdibili di questo 2013, guardando al target ‘quarantenni con addosso la pigrizia musicale’.
Spero, caro amico coetaneo dei 40 e un po’, che questo post potrà esserti incredibilmente comodo in quel giorno di fine dicembre/inizio gennaio che non ne potrai più di ascoltare la playlist OALD rock di ‘Virgin Radio’ o quella altrettanto OALD ma meno maranza di ‘Radio Capital’.
Vai Lex, sei su Cidindon: 

Mi è stato chiesto dall’amico Cidindon di scrivere un post di suggerimenti musicali in merito a dieci dischi di quest’annata, con una precisa consegna: deve essere qualcosa di assimilabile all’utenza media del blog, evitando quindi una mera elencazione dei migliori album rispecchiante ill mio gusto personale. Ho individuato un archetipo di lettore sulla quarantina, mediamente colto, con un buon interesse nella ricerca musicale ma non troppo “estremo” negli ascolti, che possa dunque sentire questi artisti al lavoro, mentre cucina o magari in auto senza che la cosa gli arrechi disturbo o sforzo di concentrazione.

Spero dunque di farvi da Virgilio per chiunque volesse perdere 5 minuti di tempo per leggere e poco di più per ascoltare la selezione (ad ogni titolo ho inserito un brano tratto dal disco, basta cliccare); l’ordine è stato scelto dal più easy listening a quello un poco più complesso, e dal rock all’elettronica.

Mikal Cronin – MKIIMCII
Il “collega” in diverse uscite di Ty Segall si mette in proprio con un percorso personale che dal garage rock d’origine viene contaminato dal pop dei Beatles.
Da ascoltare con occhiali da sole e cocktail in mano per ricordarsi della bella stagione, mezz’ora che passa leggera in un lampo.

 

The National – Trouble Will Find MeTrouble_Will_Find_Me
Nonostante si possa definire il disco più sperimentale di quella che al momento è la mia formazione preferita, Trouble Will Find Me si fa piacere dai primi ascolti per la stessa impronta rock di capolavori come Boxer o Alligator. Matt Berninger continua con la sua voce ad avvolgerti in un oceano di inquietudini, ansie e malinconie, infondendo un senso di protezione anziché soggiogarti. Pazzesco solo a pensarci.

Local Natives – HummingbirdHummingbird
Questo disco è prodotto da uno dei due gemelli chitarristi dei National, lo si intuisce bene confrontando la freschezza e l’immediatezza del loro disco d’esordio con questo Hummingbird, dove la produzione riesce a limare tutte le lacune patite con la prima uscita.
Non si tratta di conformismo, ma di una sempre più evidente maturazione.

Daughter – If You LeaveIfyouleavedaughter
Chi invece stupisce da subito e si candida come uno degli esordi dell’anno è questo lavoro, da parte di una band che già con l’EP Youth dello scorso anno rappresentava più di una buona premessa.
Se nel 2012 avete apprezzato i lavori di xx e Bon Iver guardate a questo disco come la perfetta fusione dei due stili. Attenti inoltre ai testi perché sono di una depressione unica.

Volcano Choir – RepaveRepave
Parlavamo sopra di Bon Iver. Justin Vernon non è rimasto con le mani in mano, riprendendo un progetto già attivo da anni e adattandolo al suo sound attuale. Repave è in fondo in tutto e per tutto la continuazione del progetto solista, meno avant-folk degli inizi dei Volcano Choir.
Forse stupisce un poco di meno, ma si cade su dieci cuscini.

Bill Callahan – Dream RiverDreamriver
Ok, lo ammetto. Per stilare questa classifica ho pensato in larga parte ad uno stereotipo di ascoltatore con barba incolta, con un bicchiere whisky con ghiaccio in mano e il giradischi sempre pronto. (ndCid: LOL)
E’ così che mi vedo tra tre lustri, e sono sicuro che a quel tempo apprezzerò ancora di più questo lavoro che possiamo tranquillamente definire come il più elegante disco cantautoriale uscito nel 2013; sensazioni che lo scorso anno mi dava The Something Rain dei Tindersticks, per dire.

King Krule – 6 Feet Between The Moon6feetbeneaththemoon
A sentirlo senza averlo mai visto non diresti un sacco di cose. Non gli daresti 19 anni, dalla voce non diresti che è bianco (e rosso di capelli), non penseresti che è all’esordio.
Personalmente è un nome che è saltato alla mia attenzione grazie ai featuring nel disco dei Mount Kimbie, ma la sua personalità ha già stregato il Regno Unito.
Provate a non farvi prendere dal groove di A Lizard State, se ci riuscite.

Savages – Silence YourselfSavages
Piccolo spazio di retromania pura. Queste ragazze vengono da Londra come i Siouxie And The Banshees, suonano post-punk nel suo risvolto più dark à la Joy Division e si dice che ne conservino l’attitudine energica nei loro live.
Il prossimo anno vedrò se è così, a voi non rimane che ascoltare.

Jon Hopkins – ImmunityImmunity
Doppietta elettronica nelle ultime proposte: nella prima andiamo col re incontrastato del 2013.
Se la parola techno vi suona male, sappiate che il buon Jon la modella in una forma accessibile e per nulla fastidiosa; per molti questa sua capacità suona come un tentativo di “voler troppo farsi piacere”, per tutti gli altri per fortuna della cosa interessa pochino.

Forest Swords – EngravingsForestSwords
Decisamente la scelta più complicata del lotto per un disco che personalmente non ho del tutto compreso ma che propongo comunque.
Elettronica fatta più di vuoti e percussioni che di note vere e proprie, va assimilato con tanti ascolti e con tanta tranquillità.

Buona musica.

Martellate a catinelle

thIl secondo film del semi dio col martello risente della immagine in franchising di tutta la questione Avengers. C’è meno teatro e meno Branagh, sostituito da un regista più concreto ma meno efficace forse. In fondo è Thor, ha il mantello e il martello, non dovrebbe far ridere troppo, ma va così. Poi c’è molto color pastello ad Asgard mentre i cattivi sono dei dark rimastoni.
La prima mezz’ora è un po’ di assestamento e di spiegoni, poi il martello prende la mira e fila spedito e preciso. Certo, ci sono passaggi dove occorre fidarsi, qualche gag forse di troppo (ma un paio sono vincenti) però ci si diverte assai, gasandosi pure il giusto, agitando i pugni.
Non ho molto altro da dire, ormai sti film Marvel son tutti un po’ uguali ma finchè valgono il prezzo del biglietto e finchè non diventano auto satirici, ok.
La mia ignoranza dell’universo Marvel mi fa esprimere un grande ‘boh’ sulla ormai nota esca dopo i titoli di coda che fra l’altro sono bellissimi.
Promosso il dio del tuono, e ci mancherebbe. Team Go Avengers Go! e se credi sia la solita americanata o la solita coglionata, bè, nella sala di fianco fanno Zalone.

…difatti, sono anche andato nella sala di fianco.
Entro e credo di essere l’unico ad essere ‘vergine’ con Zalone.
Non ho mai visto un suo film, non ricordo un suo sketch nè una battuta. Ok, quella della ‘squadra fortissimi’, va bene, stop.
Vado a veder Zalone sorprendendo, in negativo, un paio di amici, forse più di un paio. Verrò tacciato di snobismo al contrario o alla dritta, non importa, sono abituato.
Son curioso, lo ammetto, perché il successo è enorme, in giro ho visto gente che scrive bene spendere buone parole, il supplemento culturale del Corriere dedica la sei colonne a Checco Z. Sono proprio curioso. Vediamo.
Mi sorprendo subito quando scopro che il protagonista si chiama Checco Zalone. Come l’attore?! Ma no, scemo, l’attore non si chiama così. Ilarità tutta mia.
Poi il film inizia e c’è un bambino con un taglio di capelli fra il ridicolo e l’imbarazzante, una specie di taglio ‘alla Ken di Barbie‘ ma peggiore, un po’ parruccato, emo/fescion sbagliato. Checco Z. è il padre. E’ un trucido volgare maschilista che inizia l’effimera scalata al successo vendendo aspirapolvere ai parenti. Così anni ottanta.
Quando i parenti finiscono, i debiti restano, la moglie si arrabbia, lui esce di casa. Promette al bimbocoicapellidiken di portarlo in vacanza se prende tutti dieci. Il bimboken prende tutti dieci. Devo ancora ridere. ‘Ti porto in un posto con sei lettere’ ‘Parigi?’ ‘No’ ‘Londra?’ ‘No’. ‘Molise’. Ok, sorrido. Il Molise è pieno di bei panorami noiosi e vecchi noiosi. Arriva un pancione con una gomma da trattore in spalla, da del coglione a Checco Z. Prima risata. Van via dal Molise, il tempo di fare una gag razzista al cubo e i due incontrano un’ereditiera con accento francese (!) e il figlio di lei che soffre di mutismo selettivo. Cioè parla solo se Checco Z. fa Checco Z. Parlerà molto, ovviamente.
Si capisce dopo tre minuti come il film finirà e non è un problema. Non sto a raccontarvi il percorso di redenzione (?) del personaggio.
Il problema è che rido davvero poco. Tre volte e tre sorrisi. Ok, non son proprio il target del film, però pensavo di ridere di più. Non è un problema di umorismo grasso che il Checco ci spinge sulla volgarità, ne avevo sentito parlare, credevo ci spingesse meno, è che le gag sono basse e banali, perfino prevedibili in qualche occasione.
E’ un film bruttino, innocuo. Mi sembra antico e rassicurante, tanto che sembra di sentirle prima le risate, come preregistrate. Una commedia piaciona per un pubblico televisivo, con un personaggio che è sempre in scena, ovviamente, piace, evidentemente, ma che non fa niente di particolare. Canta (sì, canta pure, anche durante i titoli di cosa) male, fa faccione che a me non fan ridere, ma sicuramente al target quattordicenne sì, prova a fare satira sociale che a me sembra forzatissima, o perlomeno non merita di certo sei colonne (ispirate da questo post).
Al riguardo, ho scoperto l’origine del nome Checco Z., qua. Questo mi fa pensare che lenzuolate per capire se Checco Z. sia una maschera raffigurante l’Italia contemporanea siano eccessive. Ho il vago sospetto che occorra occuparsene ora di analizzare sociologicamente il successo del film, per poi fra vent’anni non dovere assistere alla rivalutazione di Checco Z. com’è capitato ai Vanzina. E’ più probabile io non ne capisca niente, chiaro.
Deluso dal film? No. Assolutamente. Non è roba per me, mi son tolto una curiosità, a posto. Mentre il post era nelle bozze il film è diventato record italiano di incassi.
E’ giustissimo ci siano film così. Soltanto, pensavo meglio.
Pazienza. Martello!

il post post-#Civoti

Ogni post del blog che state leggendo viene letto mediamente da una trentina di persone.
Il primo post su Civati e la tessera ha avuto duemila visite ma l’ha linkato il sito del candidato, non vale.
Nulla di che, ripeto, per chi non ne ha idea, un blog che fa i numeri di questo vien letto dagli amici e quindi non sposta niente.
Coi post dedicati a sostenere, nel mio piccolo, la candidatura di Civati, volevo convincere sette persone a votare per lui.
Proprio pochi minuti prima delle proiezioni dei risultati, un messaggio mi ha informato della settima persona che ho convinto (due/tre erano in bilico, chissà, facile non me lo dicano mai, ma non importa).
Civati ha preso il 14%, Renzi ha stravinto.
Ora, ho preso dell’ingenuo (probabile) del sognatore (sicuro) del ‘looser’ (100%).
Questa mia piccola ‘campagna elettorale’  via blog e discussioni a bancone, per un politico in cui mi rispecchio e che continuerò a seguire, nonostante l’insuccesso odierno (lo ammetto, speravo nel 20%, almeno) mi ha detto delle cose.
Mi è piaciuto scoprire come in realtà, basta stuzzicare le persone e voilà, non tutto è perduto, ci sono scintille che covano sotto la cenere di anni di insoddisfazione politica. E non sto parlando del settanta per cento di Renzi, sto parlando della voglia di parlare (o di scrivere mail) di politica.
Ho sentito gente che vota a ‘destra’, incuriosita da questo nuovo personaggio, ho sentito gente sicura di votare Renzi, apprezzare il mio ‘sforzo’. Ho sentito pochissime persone che dicevano la banalità classica, che son tutti uguali. Probabilmente non conosco sostenitori di Grillo, ma non è vero, i politici non sono tutti uguali, certo, magari quelli bravi o diversi bisogna stanarli un po’, però ci sono. Come detto, a me piacerebbe che qualcuno di centro destra provasse a convincermi della bontà di un politico di quell’area, lo ascolterei volentieri.
Ho scoperto dopo anni in cui evitavo con cura discorsi di politica che è ancora possibile confrontarsi senza stare nelle curve perenni e avere discussioni interessanti.
Quello che sapevo già ma, essendo ingenuo, speravo cambiasse, è che l’internet non è per nulla specchio del mondo reale, adesso, in Italia. Le mie timeline erano piene di #civoti, ovviamente le urne hanno dato un responso diverso. Al riguardo, una previsione da due soldi, questo divario si assottiglierà, forse col passare del tempo, ma forse sbaglio.
Quello che temo, ma è una previsione da un soldo solo, è che con questa vittoria, il Pd possa diventare un partito con meno sinistra (male) ma anche meno Pci nel senso di apparato (bene) e forse diventerà molto il partito del personaggio Renzi, ma sono due cose proprio buttate lì.
E, anticipo una cosa che son sicuro mi verrà detta. Non è questione di vincere o perdere, anche se viene giustamente messa così. Per me è votare cercando di scegliere quello che ritengo meglio, o meno peggio. Dopo anni di voti per il meno peggio (vedi primarie dell’anno scorso, votai Renzi, per dire) oggi, ho votato quello che pensavo fosse meglio, è già un bel successo, se ci pensi. E anche se non arrivavo ai fatidici sette, rifarei esattamente gli stessi sette post noiosi col programma, rifarei le stesse chiacchierate, tornerei all’Estragon a sentire Civati che è stato un bellissimo pomeriggio.
L’Italia del Pd che ha votato oggi non la pensa come me, non c’è problema, ho votato troppe volte per perderci il sonno.
Renzi non è il male, non mi convince come approccio e non mi convincono le sue idee su temi per me importanti, ma faccio parte del 14% eh oh. Lo seguirò, spero possa fare un buon lavoro e che sull’onda di questo plebiscito, almeno spinga per andare alle urne presto che io sto governo non lo voglio.
Detto tutto ciò, che ci tenevo, io non so se e quando scriverò ancora post politici, però è stato bello scriverli in queste settimane e mi ha fatto enorme piacere sapere di essere letto, da quei venti/trenta lassù, per approfondire un minimino la questione ‘primarie Pd’.
E pazienza se come mi ha detto qualche amico, ho esagerato.
Daje tutti, e speriamo bene.

#civoti? Civati! (un breviario)

Promemoria.
Svegliarsi presto domenica, prendere il caffè, andare a votare.
(Svegliarsi tardi domenica, fare il brunch – si fa ancora il brunch? – andare a votare)
[Svegliarsi quando ti pare alla domenica, pranzare coi genitori, andare a votare]

Si vota dalle 08 alle 20, prendi la tessera elettorale eh, poi puoi fare quello che vuoi domenica, ma adesso ti dico qualche motivo per cui impegnare una mezz’ora (anche meno) domenica per dire la tua, per dire ‘Oh, daje!’ al Pd e anche un po’ a tutto il mondo politico.
Puoi farlo votando il candidato migliore alla segreteria del Pd.
Pippo Civati.
Perché?

Perché usa il plurale, dice ‘noi‘, non dice ‘ci penso io‘.
Perché vuole andare a votare, presto e con una nuova legge elettorale e lo dice dal primo minuto della sua campagna elettorale, senza attendere la corte costituzionale.
Perché è chiaro e non cambia idea a seconda delle interviste che fa.
Perché di interviste ne ha fatte poche, non è stato invitato da Fazio, ‘Repubblica‘ non se lo è praticamente considerato, solo in questi ultimi giorni i media tradizionali l’hanno scoperto.
Perché ha fatto una campagna elettorale dal basso, partendo dal web, alimentando i volontari che lo hanno aiutato con la speranza, perché ‘le cose cambiano cambiandole’.

Perché dice che la politica può costare meno e lo dimostra, girando senza auto blu, senza scorta, solo con entusiasmo.
Perché ha detto una frase bellissima che è ‘si esce dal ventennio (berlusconiano) con i ventenni’.
Perché nessun potente del Pd lo sostiene e lui nelle liste collegate (servono ad eleggere l’assemblea del Pd) non ne ha presentato nessuno (altri, sì).
Perché Renzi non è il male, ma il rottamatore ha esaurito la spinta, terrorizzato da non riuscire in quello che è il suo destino, diventare premier (e dice cose che non van bene sulla legge elettorale, ma poi cambia idea, vedrai)
Perché Cuperlo è un galantuomo ma rappresenta un partito antico.

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Civati, la birra, il sorriso, lo slogan

Perché Civati non urla.
Perché dice che il welfare ci vuole ma è giusto pensarlo diverso, più equo.
Perché sostiene la laicità dello Stato.
Perché dice che in Italia c’è una questione maschile.
Perché dice che non è questione di pubblico O privato, ma che i due possono stare insieme.
Perché vuole i nomi dei centouno parlamentari Pd hanno voltato le spalle ai loro elettori durante le elezioni del presidente della Repubblica, spianando la strada a un governo di larghe intese che non funziona.
Perché è garbato, paziente, pure bello.
Perché non dice che è facile, non usa slogan improbabili, ma scrive settanta pagine per dire che è difficile ma bisogna iniziare a provarci.

Perché è di sinistra, senza estremismi e senza spaventare nessuno.
Perché ci mette la faccia, sempre (#insultacivati  per esempio e ogni post che scrive sul suo blog)
Perché dice che bisogna confrontarsi col M5S.
Perchè è l’unico che non vuole distruggere nè rottamare, ma sa che bisogna ricostruire, ripartire proprio da un confronto con la base, con le persone che siamo noi, perché dice che ‘La spaccatura fra classe dirigente e popolo dev’essere una fissa dei politici’.

Perché per la prima volta in vita mia sono andato a vedere un happening politico per merito suo e perché per la prima volta in vita mia un politico mi ha acceso una passione che ha portato tutti questi post e chissà, magari altri.
Perché ha baciato la compagna sul palco dell’Estragon dopo il suo intervento.
Perché sarò ingenuo, come mi hanno detto, ma non voglio un leader, di leader o di wannabe-leader, ne abbiamo avuti fin troppi.
Voglio uno, che non abbia paura della gente, che non si nasconde nei palazzi, che scende dal palco con una birra in mano a parlare con uno come me, che non conta niente. E questa scena l’ho vista domenica.

Perché cambiamolo sto partito, cambiamo sto paese stremato.
Perché è un politico nuovo, fresco, libero, che parla col cuore, ci mette passione.
Perché ho provato a far votare sette persone, non so se ce l’ho fatta, gli exit poll son buoni, ma ho scoperto che ho sempre avuto ragione perché i politici non sono tutti uguali.
Uno diverso, di sicuro, te lo dico io, c’è.
Si chiama Giuseppe Civati.
Perché se #civoti #vinceCivati e il panorama politico sarà migliore, fidati.

(altrimenti, ve lo dice lui perché…)

(il vero breviario per votare è qua)

ciwanoi

#civoti, Civati! (it’s the economy, stupid!)

E ci siamo. Domenica si vota per le primarie Pd. Come avete visto ho provato in queste settimane a farvi leggere il programma di un politico nuovo, che anche io ho imparato a conoscere nell’ultimo mese.
Domenica sono pure andato a sentirlo. E sono ancora più convinto del mio piccolo sostegno.
Oggi pubblico l’ultimo dei sette post per convincere sette di voi a votare per il candidato Civati. Come solito, cito le parti che ritengo salienti del suo programma (completo, lo trovate qui).
Altrimenti, ascoltatelo voi. Dimenticate il politichese, parla con chiarezza. Magari ti convince meglio di me, in poco più di mezz’ora.

Vediamo cosa dice il candidato di una robetta chiamata economia.
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una domenica con Civati (fra cambiamento e tortellini)

Ieri era domenica, c’era un bel sole frizzantino e c’era un appuntamento nell’agenda del candidato.
Una festa, incontro, comizio, happening, non so come chiamarla. Parole, discorsi, cena di finanziamento per chi aveva fame con tortellini e salsiccie e un concerto al termine.
Ho deciso di andare.
Entro all’Estragon di Bologna e per una volta non c’è gente che aspetta la band in ritardo ma gente che ascolta gli interventi sul palco.
Ci sono file di sedie davanti al palco, il mixer e le telecamere nel mezzo, altra gente dietro in piedi. Mi piazzo a ridosso della transenna e mi metto ad ascoltare.

Non mi muoverò per circa quattro ore.

Non c’è una bandiera una che sventola. Sì, le bandiere del PD ci sono, quasi nascoste, anche se l’obiettivo è chiaro.
Segretario di partito.
Ci sono molti giovani ma anche signore ben vestite, sessantenni, coppiette uno in braccio all’altra, gente di ogni tipo. Nessuna kefia, nessuna nostalgia. Soltanto voglia di ascoltare e di dare una spinta per far ripartire questo partito e questo paese, da sinistra.
C’è entusiasmo pacato, consapevolezza di una opportunità, certezza di idee forti, stanchezza per la fissità cronica dei mali del partito e del paese, fiducia nella possibilità, nel futuro che queste persone stanno provando a creare.
Si vede lontano un miglio che le persone che parlano non hanno bisogno di sforzarsi per crederci: ci credono davvero. Gli oratori si alternano sul palco con discorsi brevi ed efficaci, puntuali nelle proprie aree di competenza, a tratti appassionati, sempre competenti, molto entusiasti, alcuni emozionati, alcuni emozionanti, spesso anche divertiti, tutti evidentemente coinvolti. Si susseguono parlando per circa cinque minuti l’uno, varie persone che hanno contribuito a sostenere, organizzare, preparare la candidatura.
C’è una sorta di purezza in molti interventi che spazza via tonnellate di ore di dibattiti televisivi anacronistici e antiquati. Queste persone credono ad esempio nello svolgere servizio pubblico e credono sicuramente nel punto sei dei dieci di cui è composto il bignami del manifesto civatiano: ‘stipendi pubblici: non più alti di quello del Presidente della Repubblica‘.
Gente che mette la sua passione e competenza al servizio di questo candidato e dopo si ferma con il pubblico per fare due chiacchiere, una foto, bere un bicchiere di vino.

Ascolto un assessore della mia città parlare dell’ambiente, dire ‘il PD che abbiamo in testa è un partito che ripropone l’ambiente al centro del dibattito, con coerenza‘; un sindaco affermare che ‘uno dei problemi del PD è quello di non ascoltare la sua base‘; un avvocato suggerire ‘chi ruba allo Stato deve essere chiamato a pagare il doppio, ora invece lo Stato recupera una miseria‘. Arriva un deputato a urlare che ‘Civati impone l’etica politica della responsabilità: scegliere il giorno prima da che parte stare, poi non cambia idea in base a un sondaggio‘, tocca poi a un ex senatore coi capelli bianchi e anni di militanza conferma che ‘ci sono tanti giovani intorno a Civati che hanno ancora voglia, diamogli una mano‘.
Arrivano altri ragazzi giovani come chiamati a raccolta dall’intervento sul palco, la sala si riempie sempre più, loro si siedono per terra nel corridoio, ai miei piedi. Tocca ai temi economici, l’economista che pare rivolgersi a loro: ‘ci dicono che non si può fare diversamente, non è vero‘, i ragazzi la applaudono quando parla di trovare risorse per nuove e costruttive politiche sociali tagliando una trentina di F35. Il secondo studioso prestato a Civati mostra il dramma di ‘una famiglia con due redditi che non riesce più a mantenere due bambini in una grande città‘ per poi indicare soluzioni: ‘la spesa per gli organi dello Stato non produttivi costa l’1% di PIL in più rispetto a UK. Sono 16mld‘.
Viene dato il giusto spazio alla passione dell’attivista dei movimenti civili che cita un ‘pericoloso’ conservatore come David Cameron ‘Il matrimonio gay crea stabilità nella società‘. Ha preso un treno Walter Tocci per dirci che ‘ci impoveriamo perché non vediamo più la nostra ricchezza’ parlando delle risosre culturali di questo paese e che ‘le nostre classi dirigenti sono noiose‘. La platea si infiamma alle parole di un’assessore torinese che parla delle stragi nel Mediterraneo di cui si parla per tre giorni e poi, boh, ci penserà qualcun’altro, mentre invece ‘siamo un paese che deve costruire la sua identità pensando che siamo il frutto di diversità e differenze‘.
Il responsabile della campagna ci informa di quanto sia costata la serata (quattromila euro circa) e di quanto abbiano raccolto per la campagna stessa, 80.000 euro circa, numeri piccoli snocciolati rispettando un principio di trasparenza basilare.
Poi arriva il candidato che si presta a un giochino, un’intervista che non c’è stata, un’ingiustizia verso il più debole (secondo i media tradizionali). L’unico dei tre candidati che non è apparso nel ‘prime time‘ tv. Civati risponde sul palco alle domande che Fabio Fazio ha fatto a Renzi.

Sale sul palco un’attivista che scalda i cuori ormai bollenti raccontando di serate passate nei circoli, di come sia stato difficile ed entusiasmante girare con la mozione sotto braccio, del sentire storie che sono benzina per continuare a proporre le idee della campagna, per renderla bella e coraggiosa.
Poi, torna sul palco il candidato. Potete leggere molto di quello che ha detto, a questo link, usando l’hashtag della giornata #unaltramusica.
Ed è proprio questo il punto. In un hashtag per centrare la comunicazione, l’essenza di una giornata, di una campagna.
Questo politico, è un’altra musica.
Si vede da come parla, si vede perché lui conferma a me, che a 44 anni non ho mai partecipato a un raduno/comizio/happening politico che, sì, la situazione non va bene e lui la tocca con mano tutti i giorni. Che nel Partito democratico bisogna aprire le finestre e togliere la polvere, che i politici non possono nascondersi dietro la non responsabilità di una legge elettorale che priva il cittadino di un efficace controllo sull’operato del suo delegato, che è ora soprattutto di cambiare, di avere idee chiare, di portarle avanti, senza compromessi, confrontandosi con tutti ma senza mercanteggiare.
Ispira Civati, ispira la sua calma, il suo parlare con estrema chiarezza di problemi complessi a cui ha dedicato le famose settanta pagine di manifesto politico. Perché la politica è complicata, gli slogan non bastano e qui di slogan ce ne sono due. Sono come titoli di testa per un film da scrivere, parole d’ordine che danno il via a un nuovo patto fra un neofita come me in platea e un quasi neofita (è la prima volta che è deputato) sul palco. Uno è ‘il Pd che la pensa come te‘, un Pd che parla chiaro e fa le cose, non fa larghe intese con gente brutta e non fa più congressi lunghissimi e regole complicatem che la pensa con la chiarezza di dieci punti che sono una luce guida nella complessità di settanta pagine di  proposte articolate per uscire da un ventennio di disastri.

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E poi uno slogan conclusivo, dedicato a quelli che pensano che non ci si può fidare di nessuno, a quelli che si estraniano per poi criticare da lontano con ancora più disprezzo, su cui il candidato ha scritto un post chiarissimo.
‘Le cose cambiano cambiandole’.
E alla fine del suo intervento in cui si è rivelato serio, competente, affabile e simpatico, coinvolgente, coraggioso nel promettere che ‘cambierà tutta la dirigenza del partito‘, corale nel riconoscere il gioco di squadra, sincero nel riconoscere che la politica ha bisogno di svecchiarsi, che i ventenni sono importanti, sono da recuperare perché allontanati da politici che non sanno parlare con loro, preoccupato per la situazione ma speranzoso nelle sue risposte, senza offendere nessuno come accadeva su altri palchi nello stesso giorno, ricevendo un’ovazione per la frase ‘Mi vedrete ancora all’Estragon, ma non mi vedrete mai al meeting di Rimini’.

Alla fine, dicevo, questo brianzolo basso di statura ma che sprizza alta moralità da tutti i peli della barba hipster, ha chiamato sul palco la sua compagna, dicendo che lei era imbarazzata, le ha dato un bacio, creando una nuvola di romanticismo da cui sono spuntate le note di ‘Rebellion (Lies)‘ degli Arcade Fire e io lì ero assolutamente certo che non ho preso un abbaglio, che non sono tutti uguali, che ho fatto bene a prendere la tessera per sostenerlo, ad informarmi, a scrivere, a provare a sensibilizzare persone che non seguono la politica o che son stanche della politica, pubblicando una serie di post dove suggerivo di leggere i punti del programma del candidato, a prendere critiche perché scrivevo (a proposito manca una puntata dei sette post per sette persone, arriva arriva…).

Perché se c’è una possibilità che questa sinistra possa cambiare e diventare sinonimo di possibilità e novità, è rappresentata da questo Pippo Civati che senza sponsor politici è arrivato ad avere ieri duemila persone che lo applaudivano e dopo cinque minuti era sceso dal palco, fra il pubblico, a fare foto senza giacca, senza guardie del corpo, con una birra in mano e un sorriso che è una promessa di un futuro migliore.
Votare con il naso turato‘. Era la politica del grandissimo Indro Montanelli. Votare gente che non ci rappresenta, perché gli altri son peggio.

Domenica per la prima volta in tanti anni, andrò a votare con gioia qualcuno che mi rappresenta, che la pensa come me, che vuole le cose che voglio io.
L’8 dicembre andrò a votare alle primarie del Pd e voterò Giuseppe Civati.

Perché ha ragione lui, le cose si cambiano cambiandole.

Ps.: i tortellini dei volontari erano pure buoni eh.
Ps2.: tutta la giornata di ieri, qua

(comunicazione di servizio: si è rotto il blog, viene visualizzato male da, credo, tutti i browser. al più presto proverò a sistemarlo, nel frattempo, come si dice, scusate per il disagio…)