Dei dieci dischi

C’è questa catena su Facebook: “10 dischi della tua vita. Qualcosa che realmente ha avuto un impatto su di te e che continui o continueresti ad ascoltare. Posta solo la copertina, non aggiungere spiegazioni. Uno al giorno. E nomina una persona al giorno“.
Ho ringraziato chi mi ha chiamato in causa ma ho declinato. Perché della cosa a me interesserebbero appunto le spiegazioni. Non importa se scritte brevemente o meno, nei commenti o nel testo.
Perché l’impatto? Perché si ascolta ancora ? Sicuro che l’ascolti ancora?
Però la cosa ha inziato a girarmi in testa e quindi, si va. Scrivo i miei dieci, potrebbero cambiare fra una settimana se ci ripenso, però credo che la maggior parte non cambieranno mai più. Ci metto qualche spiegazione, qualche ricordo, un link per l’ascolto del mio pezzo magico dell’album.

Se ti va, fallo anche tu, io ti leggo.

  1. Led Zeppelin II – Led Zeppelin (1969)
    Mio cugino indossava i jeans senza mutande mentre io ascoltavo sul suo letto i dischi con le chitarre. Lui suonava tutti gli strumenti facendo assoli e riff con le mani che muovevano e squarciavano l’aria ed era il mio idolo. Avevo dieci anni e c’era questa musica bellissima e rozza e questi poster alle pareti. C’era un cannone su sfondo ocra, un ‘Dio’ che si innalzava da caratteri oro e rossi, una band fotografata mentre suonava con la scritta ‘Live in Japan’ sotto e poi c’era questo poster con un dirigibile che prendeva fuoco. Ogni volta ne restavo folgorato prima di immergermi nella musica, mia madre che arrivava a prendermi che era sempre troppo presto. Dei dischi dei Led Zeppelin metto questo perché lo ascolto ancora, appunto. Probabilmente perché c’è ‘The Lemon Song’. Le radici, il blues, un po’ tutto. In una canzone.

  2. Ghost in the machine – The Police (1981)
    Probabilmente il secondo disco che ho comprato. Il primo, ne sono sicuro, fu la colonna sonora di ‘Grease’, meravigliosa. Però non l’ascolto più, se non quando una radio ‘Adult oriented‘ passa ‘Summer nights’. Invece ero un bambinetto comunque alto quando questi ideogrammi che sembrano lancette di un orologio al quarzo, mi colpirono, mi piaceva il nome di questa band, mi piaceva il singolo che passava la tv. Forse il disco che so davvero a memoria, con quella coda di ‘Every little thing…‘ che vorrei non finisse mai e finisce sempre con Stewart Copeland che era un semidio. Il disco che, sicurissimo, ascolto ogni mese fra i dischi vecchi (sì, pure su Spotify)

  3. Live 1975-85 – Bruce Springsteen & The E-Street Band (1986)
    I negozi di dischi e questa scatola massiccia con dentro tanti vinili con l’etichetta rossa della Columbia con dentro tutte quelle canzoni che alcune le conoscevo altre no, con dentro le note dell’album con scritti i posti sperduti dove la fisarmonica e il piano  e la Band avevano incantato gli spettatori e tutto con dentro la voce, l’energia e l’abbandono definitivo a quel sentimento pulsante che Springsteen rappresentò per me in quegli anni in cui formavo il mio gusto, da quel momento in cui parte ‘Thunder road’.

  4. Paul’s Boutique – Beastie Boys (1989)
    Esistesse un LastFm mentale che a ritroso potesse calcolare il disco che ho ascoltato di più nella vita, questo credo sarebbe al primo posto. Ascoltavo un sacco di hip-hop, tutto quello che trovavamo e non era facilissimo. E poi, arrivò questo disco lungo, frastagliato, pazzesco, con samples e  groove micidiali che partono dalle basi della black music, passano attraverso le rime dei tre di Brookyln e approdano in un disco incredibile, secondo me uno dei migliori della storia della musica, ma non faccio molto testo.

  5. Ten – Pearl Jam (1991) 
    LA mia band PREF. Quella che ho ascoltato di più. Senza dubbi. La musicassetta che letteralmente consumai, passatami ‘Ascolta questi, son forti‘ dal mio socio di serate ai banconi dei bar delle discoteche; la lacrima al Forum di Milano quando cantarono  ‘Black’; il viaggio a Seattle e altri ‘Rearviewmirror’ grandi così che non stanno in questo post.

  6. These are the vistas – The Bad Plus (2003)
    Per caso, da qualche parte, su qualche blog salta fuori questa cover di ‘Smeels like teen spirit’ per jazz trio. Avevo appena iniziato ad ascoltare i grandi classici, Miles, Coltrane, Cannonball, Art Blakey e insomma ci stavo provando gusto quando questo disco cambiò completamente la prospettiva. Il jazz non era musica polverosa, tutt’altro. E questi tre lo sapevano e me lo stavano offrendo. Pochi mesi dopo li vidi suonare a Perugia verso mezzanotte in un teatro semi vuoto con mia sorella che dormiva e senza accorgermene seppi che avrei visto moltissimi concerti jazz. E’ andata così.

  7. Live in Tokio – Brad Mehldau (2004)
    Ricordo ancora lo sbalordimento di trovarmi come a precipizio, appeso alle note di un pianista che non conoscevo, su un nuovo mondo fatto di pianoforti luccicanti che emanavano note pazzesche. Come per tutti i dischi che ho scelto, anche questo mi ha aperto una porta. Questo l’ha aperta però più grossa perché la scoperta del ‘piano solo’ ha accelerato la ricerca da autodidatta casuale totale di ulteriore materiale jazz.
    Eccedendo, ma neanche troppo, questo disco ha cambiato un po’ tutto il mio gusto musicale.

  8. Funeral – Arcade Fire (2004)
    Tutti questi coretti, questo saltellare, sul posto, nelle cuffie, nei blog che parlavano di musica che consumavo avidamente, scaricando pezzi a caso di gruppi sconosciuti. L’indie e tutto quanto girava intorno. Uno dei dischi più belli di sempre. Uno dei concerti (il primo) più belli di sempre. Probabilmente LA mia seconda band preferita di sempre. E uno dei miei pezzi del cuore di sempre che però non mi hanno mai fatto dal vivo, maledetti, vi amerò.

  9. Beethoven, Sinfonia no.1 – London Symphony Orchestra (2006, circa)
    Altra porta, gigante, che si apre per entrare in un mondo fatto di mari di archetti e distese di fiati che lo solcavano. Mi ricordo che avevo l’iPad, la prima versione, con la rotellina e nella sezione ‘Classical’ c’era solo questa sinfonia che però ascoltavo sempre consumando suole in passeggiate solitarie brandendo un’immaginaria bacchetta. Da lì al posto palco, il passo è stato breve ed è sempre un piacere.

  10. Kick – INXS (1987)
    Non posso mettere i Clash che sono stati una personale pietra miliare perché oggi non metto mai un loro disco dall’inizio alla fine. Non posso mettere i Wilco perché questi album qui citati hanno la precedenza, nemmeno i Daft Punk, anche se con ‘Discovery’ sarebbero l’undicesimo, non posso mettere il primo Arctic Monkeys anche se allora suonavo la batteria e provavo ad andare dietro a Matt Helder, non posso mettere i Public Enemy perché adesso non li ascolto mai (ma: Chuck D! illumina le menti!), non posso mettere ‘Boxer’ dei The National perché ho messo gli Arcade Fire e c’era solo uno slot per quel periodo (ma è stata la scelta più difficile) e tanti altri. E allora cosa metto che sia stato fondamentale, che ascolto ancora con costanza?
    Questo, stadium pop/rock anni ’80.
    Perché Spotify nella classifica degli ascolti dell’anno scorso mi ha detto che gli Inxs erano al quarto posto, nonostante periddio siano passati trent’anni e io ho pensato ‘Ma peinsa te‘, perché Michael Hutchence era il più figo ma non te lo faceva pesare, perché è per colpa di queste canzoni che con il socio partimmo per il primo viaggio verso Milano per vedere un concerto, perdendo il treno ma questa è un altra storia, perché volevamo canticchiare e ballare i loro pezzi sotto a un palco, perché ancora oggi canticchio e balletto tutti i pezzi, probabile che il mio diciottenne sia rimasto incastrato in quei solchi di un doppio vinile così ascoltato che l’avevo consumato e ricomprato.

 

playlist minima, summer edition

Quando l’estate si fa profonda, caldissima e la gente vede lo striscione ‘ferie’ avvicinarsi, non si va al cinema (*) non si sta sul divano a guardare serialità (**) si offrono playlist ai futuri villeggianti.
Ergo:

Nello stereo, mentre vai in vacanza

Una compilation pensata per farti ciondolare la testa mentre sei a spasso in spiaggia, a fare trekking, a fare niente, a scoprire posti avventurosi, a fare il ricco in barca a vela, dentro e fuori una metropolitana di una città che non hai mai visto, eccetera.
Si passa dalla canzone che dovrebbe essere il vero tormentone dell’estate, a un dj truzz che si è preso in casa gente giusta e ha fatto un disco party, ai miei Arcade Fire che provano a reggere gli attacchi dei post-indie snob con la canzone degli zufoli, alle iper-cute-catchy-fashion Haim, passando per un pezzo da ubriachi, per poi prendere un aperitivo con classe e infine due salti nel black sound (e il disco dei ‘Pollyseed‘ è una meraviglia) per poi terminare con due cosette jazz perfette per un balletto, un abbraccio o un pisolo, vedi tu.
Potrebbe piacerti. Se ti piace, fammene una tu di compilation.
E buon agosto.

 

(già che ci sono: sul comodino o sullo sdraio)

Il libro da leggere quest’estate è sicuramente, assolutamente, inderogabilmente, ‘Exit West‘. Una storia di amore e migranti, scritta con pudore, bellezza e brillantezza. Bellissimo e carico di quell’umanità che troppi commenti vagamente fasci molto in voga in questi giorni di caldo tendono a calpestare. Ed è una bella storia d’amore, quindi è un win-win, libro bellissimo, mi ripeto.

Inoltre, visto che è estate potreste nuotare in un libro particolare, un po’ matto, un po’ magico, con riferimenti scientifici ma assolutamente non per scienziati, con tanto plancton, mischiato a leggende e confezionato con tanto amore per il mare. Se lo leggi al mare dopo ti fai dei viaggi mentali bellissimi, anche se il tuo mare non è un fiordo norvegese ma il litorale di Pinarella (con tutto il rispetto per).
Ovviamente il titolo è ‘Il libro del mare‘ e ha pure una copertina bellissima e azzurrissima.

*: al cinema, dopo aver visto l’ennesimo, ma questa volta giusto, ritorno dell’Uomo Ragno, non c’è niente. Peccato per chi come me spera sempre di poter vedersi film belli con l’aria condizionata a sassata.
Qui c’è un giusto articolo sulla questione ‘chiuso per ferie’ al cinema, si continua a sperare che prima o poi la situazione cambi e che un film come ‘Dunkirk’ esca anche da noi quando esce nel mondo. Manca un po’ di coraggio, di idee così a settembre/ottobre arriveranno venti titoli appetibili, vedremo di gestirli. Nel frattempo ci sono tanti trailer che arrivano creando attesa. Fra tutti, quello di ‘Blade Runner 2049‘ che, volevo scriverlo da qualche parte, rischia di essere film dell’anno perché il mio amico Denis non lo sbaglierà questo sequel, perché è troppo bravo. Mi ci gioco dei drink post visione.
EDIT: mi suggeriscono che il 10 agosto esce ‘La torre nera’ tratto da S.King. Siam già alle casse!

**.: se stai a casa a fare divanismo, oltre a fischiettare la sigla di ‘Game of Thrones’, puoi guardare la nuova di Netflix, ‘Ozerk’ che ne vale la pena. Oppure guardare la terza stagione di ‘Fargo’ che lì, non sbagli. Oppure approffittarne per rivederti tutto ‘Mad Men’ che compie giusto dieci anni (sospiro).

playlist (Gennaio-Giugno, circa)

E’ un po’ un peccato che le classifiche si facciano solo a dicembre. Servirebbero classifiche parziali, giusto per ricordare, prima che troppe uscite sommergano quanto già assaporato, in un mondo di consumi culturali che va velocissimo, fin troppo e poi non ci si ricorda più.
Ergo, le cose migliori che ho vistolettoascoltato in questa prima parte dell’anno – potevo aspettare la fine del mese? no, altrimenti mi passava la voglia – parzialissime e personalissime, per ovvie ragioni. Via!

 

At the movies

 

1. Arrival: come tutti i film di fantascienza che contano non è solo fantascienza, è emozionante, misterioso, fa restare incollati alla poltrona, la storia ha un senso nobile e poi c’è Amy Adams;
2. La La Land: mi son letto tutte le critiche sui bianchi che salvano il jazz, Chazelle reazionario, eppure sono un romantico marcio, ho fischiettato ‘City of stars’ per settimane e poi c’è Emma Stone che balla male;
3 (ex-aqueo) Jackie & Logan (come una coppia improbabile): i giorni successivi all’assassinio di JFK visti dalla first lady più iconica di sempre, vengono raccontati con un meccanismo di sceneggiatura precisissimo e meraviglioso e poi c’è Natalie Portman, mentre Logan è il film di XMen/supereroi che noi quarantenni che restiamo teen ogni volta esce un trailer supereroistico, aspettavamo da un pezzo, violento, triste, commovente.

(in panchina: ‘Manchester By The Sea‘, un piccolo racconto di malessere dal punto di vista maschile; ‘Guardiani della Galassia Vol.2‘ perché è il blockbuster spassoso che ci vuole e c’è Baby ‘aww’ Groot)

 

Serialità

 

1. Legion: dopo la prima puntata giravo sul divano pensando ‘macosahovisto?!?’, il resto è il mattissimo tour nella mente di un mutante con super poteri, una storia psichedelica con rimandi visivi agli anni settanta, piena di citazioni, paure ataviche, magie, invenzioni, tutto frullato in un montaggio ipnotico e pazzo. Bellissimo. Lo sceneggiatore Noah Cowley (quello del ‘Fargo’ per la tv) si dimostra un grande boss, mettendo in scena un’opera pop completa e non banale;

2. Broadchurch: difficile che una serie alla terza stagione possa avere ancora fiato o il colpo di reni per rivelarsi all’altezza della prima. I detective Millah e Hardy ci riescono, inondando di disagio la visione già dopo pochi minuti, chiudendo le storie precedenti (sì, meglio recuperare le puntate precedenti) e dando qualche lezione di ‘parenting’ utile;

3. Big Little Lies: donne ricche alle quali un piccolo guaio apre il sipario borghese, mostrando psicosi assortite, problemi di coppia per coppie tenute insieme con lo scotch della socialità e drama vero, con il comparto maschile che non fa di certo un figurone. Soprattutto, seppure ambientata in ville affacciate sul mare per gente da stipendi a sei cifre annuali, le dinamiche fra le signore sono molto simili a quelle che si possono vedere a ogni piccolo bar delle nostre province, dove ogni mattina, dopo aver portato a scuola i figli, si possono ammirare collezioni di sguardi che sono lampi di condanna, invidia, falsa superiorità, o tutto insieme, identici a quelli della serie. E Nicole Kidman è sempre una delle migliori (anche se è difficile scegliere, in un cast perfetto).

 

Heavy rotation
(gli album che ho ascoltato di più da gennaio ad oggi, se clicchi forte sui nomi degli artisti, vai alla pagina Spotify del disco)

1. Loyle Carner: basi corpose, arrangiamenti sontuosi, un disco di cui non mi stanco mai, fra il nu-soul (un brutto neologismo ma ok) e rap made in GB;
2. Brunori Sas: un link dove è spiegato bene perché questo sia un signor disco. E ‘Secondo me‘ è la canzone romance da dedicare alle fidanz appena conosciute;
3. Tiziano Bianchi: un disco di jazz accessibile anche per chi alla parola ‘jazz’ storce il naso e contorce la bocca, con brani brevi e emozioni forti (bonus: un paio di settimane fa a un concerto ho incontrato il Tiziano, un tranquillone che alla mia stupida domanda ‘Potevi fare qualche brano più lungo, più aperto, ci stava’ lui ha risposto ‘Volevo farli così’ e allora io sono andato via, contento);
4. Father John Misty: un altro che scrive canzoni bellissime. Un album con molte ballate, molto pianoforte, molti cuori e volendo, testi da leggere. (bonus: in un’intervista il Father ha detto che ogni tanto si cala un pochetto di LSD. Lo aiuta a gestire l’ansia e la depressione, ‘true Boss‘);
5. Cameron Avery: è il bassista dei Tame Impala che qui si allontana dai suoni del suo gruppo per brani che hanno un gusto retrò, per la maggior parte ballate di classe e archi, poi c’è anche un bluesaccio bello deciso e altro. Uno di quei dischi a sorpresa che non ti aspetti e che poi schizzano in heavy rotation;
6. Kendrick Lamar: il più bravissimo dell’hip-hop in un disco pieno di parole, molti suoni vintage ma tirati a lucido per suonare perfetti e perfino il ‘feat.‘ con gli U2 risulta una magata;
7. Sampha: aspettavo l’esordio di questo ragazzone da un pezzo e lui dopo solo tre brani vince in scioltezza, con brani soul con sonorità moderne, tocchi di classe e una voce che lèvati;
8. Elbow: band che resta un mistero per come nessuno o quasi, se li fili in Italia. Eppure il loro pop ‘orchestrale’ starebbe bene con tutto, come una bella giacca sportiva, per dire. Ultimo disco, fra i migliori della loro produzione, è come una lunga carezza, utile anche per vedere tramontare il sole da qualche parte;
9. Slowdive: shoegaze, cos’era? Un genere musicale con chitarre che facevano da tappeto a una specie di amarezza esistenziale. Roba anni novanta dove spiccava questo gruppo che torna negli infiniti ritorni di questi anni, con un nuovo disco che però, oplà, è meglio dei precedenti. Otto canzoni per un bel viaggio.
10. Beach Fossils: il disco pop con tutte le cosine, vocine, chitarrine al posto giusto. E’appena uscito ma lo sto ascoltando sempre da giorni, è molto estivo e ottimo per mettere i piedi a mollo e ciondolare la testa.

(arrivato alla fine della compilation, mi accorgo che non c’è una cantante. Mumble, come mai? Capita. Per esempio il nuovo di Feist l’ho trovato noioso, la cantante dei ‘Priests’ è super ma non è disco da top ten…però ditemi nomi di band/vocals femminili che magari mi son perso, grazie)

 

Sul comodino

1. Una vita come tante, di Hanya Yanagihara (link)
dopo mesi ricordo ancora la sensazione proprio fisica, indice di alto gradimento di un romanzo, mentre mi calavo per due ore nella vita, passata e presente, non certo semplice, di Jude. Lunghissimo, potente e bellissimo.
2. Il cuore degli uomini, di Nickolas Butler (link)
una volta l’amichetta mi disse ‘Ti piace Butler perché scrive come te‘. Magari!, risposi io. Il suo secondo romanzo (il primo, ‘Shotgun Lovesongs’ resta uno dei libri più belli degli ultimi anni) è una storia immersa in campi scout e lasciti familiari con un finale bellissimo e strappa cuore.
3. Il Nix, di Nathan Hill (link)
personaggi in crisi, uno sguardo acuto sul presente che si intreccia alla Storia (americana), irrisolti legami familiari, citazioni colte, scrittura generosa fra ironia e drama, costruzione della trama pronta per la già annunciata serie tv. Ed è proprio bello.

(bonus, visto che si va, più o meno, in spiaggia e che, dicono, in vacanza si leggono i ‘gialli’: ‘Torto Marcio’, di Alessandro Robecchi: un giallo che non è solo un giallo, ambientato in una Milano poco da bere e ‘Prima di morire’ di Noah Cowley – che appare in questa playlist due volte, dimostrandosi un vero GURU – un thriller immerso nell’attualità americana ma non solo e con un inizio al fulmicotone)

Direi che è tutto. Ci si legge a dicembre con le classifiche di fine anno, circa, forse.

 

 

Parole (don’t come easy) ’16

fullsizerender-2Un giorno di tanti anni prima aveva sentito quella frase.
‘Le parole sono importanti’. Le piacque quella frase. Era seduta sul bracciolo di un divano color senape, fumava una sigaretta senza aspirarla perché dopo le faceva male la gola. O almeno così diceva, però le piaceva tenerla fra le dita, farsi guardare dai ragazzi, avere sedici anni e percepire la nascita di piccoli poteri.
Quella frase le era rimasta in testa. La risentì negli anni dell’università quando aspirava qualche spinello. Allora sapeva da dove veniva quella frase e le piacque ancora. Non per il sottobosco simbolico da dove proveniva ma per la verità che vi era contenuta, in cui credeva. Lei, che con le parole ci studiava e poi finì per lavorarci.
Anni dopo aprì un blog e nella testata ci mise un fumetto contenente quella frase, il suo fidanzato di allora l’aveva aiutata con il disegno e la grafica. Da quell’anno è un appuntamento fisso. Prima sul blog, poi su Facebook e infine oggi quando, per non sentirsi troppo ridicola, troppo anziana, scrive sull’agenda.

Scrive le parole del suo anno, quelle che l’hanno definita, delineata e contornata come un personaggio di un fumetto.
Ogni tanto, scrive una parola quando questa la colpisce fra tutte quelle che attraversano la sua giornata. La scrive, le sottolinea, ci fa i bordi, le riempie di puntini come avessero il morbillo, le colora a volte e poi quelle più significative le ricopia tutte insieme in una paginetta, che diventa un grafico di curve scritto con una penna a sfera a simboleggiare il suo anno.
Poi una mattina di dicembre, aspetta la luce giusta di un giorno di sole, una luce tersa avvolta in un freddo pungente, che le fa ricordare attraverso le parole i vari momenti, le chat, gli incontri, le serate da sola, o in compagnia. Entra negli occhielli delle L, passa nelle aperture delle A, si getta nel vuoto delle O, si issa sulle I, si strizza nei riccioli delle R e ripassa il suo anno anche se la prima parola che scrive è la più recente. La scrive e decide con quel modo pomposo con cui si deliberano i proponimenti per l’anno nuovo, per poi magari buttarli nel cestino come una pagina di schizzi venuta male, che quella sarà la sua parola guida per il 2017 che va a iniziare. La scrive credendoci, illuminandola quasi con il tratto di una penna rossa. RISCATTO.
Quella parola era saltata fuori come tante altre durante una delle serate fra SIGNORE – come si definivano, perché lo ammettevano, perché lo erano, come ‘Signore’ era l’appellativo che avevano dato alla loro chat su Whatsapp -, quelle uscite a scadenza non fissa, poche indispensabili ore che tutte loro ritagliavano negli interstizi dei vari impegni. Erano in quattro, a volte cinque. Si sistemavano a tavoli di diversi locali o ristoranti, non ne avevano uno preferito, iniziavano conversazioni e serata con una bottiglia di quello buono, assaporando parole e sorsi per poi venire travolte dalle stesse e la seconda bottiglia aveva il sapore dello stare insieme e veniva solitamente terminata in fretta. Alla terza spesso ci arrivavano, dipendeva dagli altri impegni del giorno dopo mentre i loro visi, i loro corpi si protendevano oltre il tavolo a sottolineare parole complici, qualche segreto e qualche altra parola non detta.
Come INCERTEZZA. Lei non era di certo una persona risoluta anche se sul lavoro quella parola la nascondeva bene, soprattutto in quell’anno dove aveva dovuto cambiare, provare a fare un passo in più, piena di dubbi e di paure. E adesso poteva dirlo che le era andata bene. Molto in quell’anno le era andato bene.

Ricordò l’elenco dell’anno prima dove ACCETTAZIONE spiccava, pietra angolare di quel 2015 pessimo in cui aveva visto crollare piani e sogni. L’accettazione aveva portato a SCELTE dure e dolorose, una doppia d come destino forse, ma le sue scelte le aveva fatte e la più importante l’aveva portata a una scrivania al decimo piano di un palazzo, a guardare nelle pause un altro palazzo nascere di fronte a lei, a spiare finestre che avrebbero ospitato magari altre donne come lei. A volte sentiva il peso di quella altezza. Ricordò che una mattina aveva scritto IMPEGNO, un invito a spronarsi ogni giorno, sapendo di essere sempre sotto osservazione. Le sembrava di avercela fatta o di essere comunque a buon punto.
Forse merito anche dello YOGA come sosteneva una delle sue signore, la più devota alla pratica, anche se quella non era forse la parola giusta, che le aveva messe tutte letteralmente sul tappeto anche se poi tutte non c’erano rimaste, alcune schiacciate dalla fatica dagli orari, dalla quotidianità, una di loro che dichiarava di ritenere semplicemente INACCETTABILE l’impegno fisico che sottraeva energie preziose ad altro.
Scorse l’agenda e trovò RESPIRO, una parola che portava un ricordo chiarissimo di una sera in centro città quando avevano chiuso un locale e uscendo si erano ritrovate sole nella strada ad assaporare l’aria e avevano fatto tutte insieme un respiro solenne, per poi mettersi a ridere all’unisono, per quell’attimo di inattesa ma perfetta sincronia.

C’era anche stato un momento di INCERTEZZA, di TRISTEZZA (forse le parole che finiscono in ‘ezza’ non sono fra le più belle, ma toccava mettere pure quelle, in rima). Un esame, una serie di giornate passate nelle corsie di ospedali, dove ogni messaggio della chat era colmo di delicatezza (no, non tutte  le parole che finiscono in ‘ezza’ sono negative…) di gentilezza (stava esagerando) e speranza.
E poi c’era stato il momento dopo, un periodo durato settimane, iniziato con una delle loro serate dove non la smettevano di toccarsi le mani, le spalle e le braccia nude, come a verificare che stessero tutte bene, come a sentirsi e a riscoprirsi.
Il giorno dopo lei scrisse PELLE, anche perché avevano deciso (ma non tutte poi avrebbero avuto il coraggio) di farsi un tatuaggio nuovo, per ricordare ma anche per celebrare. E poi scrisse POTENTE, che era stata una parola usata come una sottolineatura, un augurio, una necessità, arrivando a diventare la forma con cui si salutavano o commentavano avvenimenti e ogni tanto ancora saltava ancora fuori. L’essere potenti, il desiderarlo.

Terminò l’elenco, lo scorse velocemente, lo rilesse lentamente e poi scrisse sulla chat una frase, pescando ispirazione da quelle parole che messe in fila erano fotogrammi di un anno.
Era una buona idea. Scrisse:
‘La VERITA’, mie care, come sempre. E’ stato un anno INTENSO, con qualche INCERTEZZA, pizzicori di TRISTEZZA, che però con il pensiero LUCIDO e quel certo signorile, alcune direbbero snob, altre direbbero NECESSARIO, DISTACCO che ci dona, abbiamo superato, con ORGOGLIO e…CANE!’
Quella era una battuta che, ovviamente, solo il loro circolo ristretto poteva capire. Il cane era stato il soprannome non certo affettuoso che avevano affibbiato a un uomo che una di loro aveva conosciuto nelle sue peregrinazioni nel mare della singletudine quarantenne, ma era anche stato il regalo speciale per uno dei loro figli.

La lista era finita, scrisse anche un rapido ‘Ps.: la lista delle parole è pronta! Alla prossima riunione, la lettura ufficiale…Gioite, vi AMO!’ e per poco non si mise a ballare la GIGIA, quel ballo da CRETINE che avevano brevettato durante una sera d’estate, mimando e scombinando la scena finale di un film da maschi, all’unica festa a cui avevano partecipato tutte insieme, dov’erano tutte vestite di bianco.

Rilesse i messaggi, si specchiò nel suo riflesso contro quella mattina così luminosa e pensò che sì, era stato un anno BELLO, in fondo, e tenne quell’aggettivo per ultimo, bello, come una corona da mettere sulla lista.

(in anticipo, buon anno)

(un post che è un mix fra playlist, consigli, liste, sassolini, futuro, appunti e auguri)

Buon anno a chi legge, con una parata di consigli se qualcuno non ha ancora fatto regali, visto che regalare libri è sempre cosa buona e giusta:

per pessimisti ‘liberal’:
‘Io non mi chiamo Miriam’, di Majgull Axelsson – i pessimisti agitano spettri per l’imminente futuro e questo libro racconta di una donna scampata all’olocausto che per salvarsi dentro e fuori dai lager cambia nome. L’ho letto voracemente, serve per non dimenticare la crudeltà umana e per ricordare che il razzismo è sempre dietro l’angolo, anche a quello più perbenista. (il bel romanzone dell’anno);

per amici/mariti (ma anche signore) che amano l’alta quota (letterale e letteraria):
‘Le otto montagne’, di Paolo Cognetti – ricco di parole che raccontano la montagna, carico di neve, ricordi e sentimenti al maschile (dove uso ‘maschile’ solo perché i protagonisti sono due ragazzi che diventano uomini). Un libro semplice ma intenso, imperdibile anche per chi non ama la montagna;

per ‘letterati’, più o meno:
‘Tutto il nostro sangue’, di Sara Taylor – la struttura di questo romanzo è un po’ complessa, andando avanti e indietro nel tempo, cambiando punti di vista, cose così. Un libro favoloso, molto femminista (ma, ancora, non ‘da femmine’, che i libri non sono per maschi/per femmine, sono belli/brutti/meh) dove il panorama fa parte della storia, i sentimenti si nascondono dietro lo stesso panorama;

per chi ha amici/compagni che lavorano nelle banche:
‘Nuotare con gli squali’, di Joris Luyendijk – cos’è successo all’interno del sistema bancario dopo il crack Lehman Brothers del 2008, come funzionano i banchieri della City, come possiamo agitarci come pesci ma tanto gli squali fanno gnam (no, non è un libro anti capitale e se poi qualcuno che lavora in banca lo legge veramente, poi si palesi, che avrei quella ventina di domande, grazie);

per lamentosi fissi del ‘non so dove prendere’:
‘Nessuno scompare davvero’, di Catherine Lacey – la protagonista del romanzo a un certo punto, va via. Letteralmente. In prima persona, la difficoltà di trovare un centro, se esiste. Pagine da rileggere, quando vengono i ‘pensieroni’;

per uomini che si alzano presto, sbuffano, bevono, sbuffano, sbagliano, sbuffano, piangono in macchina, sbuffano e per le donne che li sopportano, supportano:
‘Balene Bianche’, di Richard Price. Un poliziesco che non è solo genere, scritto da un maestro del genere;

per gli amanti del ‘long form’ (a proposito, ce n’è un sacco in giro di vero giornalismo, si trova fuori da Facebook, di solito. so che è inutile scriverlo ma ci tenevo un sacco):
‘Storie dal mondo nuovo’, di Daniele Rielli – reportage lunghi su argomenti non da prima pagina, scritti con arguzia, divertimento e sguardo profondo su varie cosette, tessere di un puzzle per capire meglio come va;

Buon anno a chi cerca musica:
leggevo poco fa una di quelle notizie clickbait che non riguardano la politica italiana. Uno studio (c’è sempre qualcuno che studia) sostiene che dopo i trent’anni si smette di cercare e ascoltare musica nuova. Boh, io ho ben più di trent’anni però mi gaso ancora per una band nuova, anche se, lo ammetto, capita sempre più di rado. A proposito, ecco una manciata di dischi fichissimi ascoltati nell’ultimo anno, in ordine di apparizione:
Black Mountain – Chance the Rapper – Gold Panda – Marcus Hill – The Get Down (sound track) – The Olympians – A Tribe Called Quest – Whitney.

Buon anno ai distributori dei films:
evviva, è Natale e non escono i film super belli che aspetto da mesi come ‘Arrival’ – per gasarmi con Amy Adams che parla agli alieni – oppure ‘La La Land’ – per volare nel musical dell’amore romance. No, esce commediame italiano che ok, capisco che la gente si debba divertire nei cinemi a natale e gli incassi, la crisi perenne, il governo ladro e la commedia rivalutata dai critici per il LOL, ma ADG nel 2016 a me sa di raschiamento del barile però ok, colpa mia. Per fortuna che esce il nuovo di Jim Jarmush, dice che è molto bello.

Buon anno alle donne over 35, con account instagram:
non usate i filtri nelle foto! le rughe hanno il loro senso, basta saperlo cogliere (ci tenevo a dirlo, bis);

Buon anno a chi va ai festival musicali all’estero:
visto che l’Italia è diventata periferia per certe tournée e di conseguenza passano quelli che spillassold nel nome della retromania (che fanno bene, ovvio, ma sto ancora ridendo per i mille euro del vip package al concerto dei G’n’R) buon viaggio a chi andrà (e dai che, forse forse, nel 2017 vado anche io, mi farò una sorpresa ma lo dico piano sussurrando…)

Buon anno al M5S e alle sue armate del cliccare:
perché esagerare non fa mai bene e mannaggia, quanto esagerare per il referendum e il governo e la costituzione e i video dell’indign-azione ‘condividete altrimenti vi cadono le dita sulla tastiera della rivoluzione’. C’è il caso il 2017 vedrà l’internet crollare di gioia per la presa del potere del populis…del M5S. Insomma, auguri.

Buon anno a Donald Trump:
giusto in tempo per entrare in questo post, un articoletto con l’elenco dei bomber bianchi, ricchi e vagamente destrorsi della next administration che farà grande (mh) l’America again. Comunque Donald è da seguire e io lo faccio già, per motivi ovvi e tanti auguri, USA.

Buon anno a chi invia petali o scrive lettere anche senza spedirle:
Un’amica ha chiesto un giorno a caso: ‘dov’è finito il romanticismo?‘ e forse è una buona domanda ma credo non sia finito, anche se è in crisi, oppure forse è finito nei film e nei libri o nei piccoli gesti invisibili.

Buon anno ai miei piccoli eroi del 2016:
a Nigel Farage che prima spara balle assurde per spingere la Brexit e una volta vinto, si dimette. TRUE winner, vera luce nei momenti difficili;
al tizio che aperto il sito fasullo del tour dei Daft Punk. Questa cosa mi ha permesso due pensierini sull’andare ai concerti che sono diventati righe di uno dei tanti mezzi post che son rimasti a marcire come foglie autunnali nelle bozze, per poi divenire un’idea per un racconto lungo, molto lungo, che chissà;
a mia sorella, che comunque combatte.

Buon anno a chi sogna:
di scappare, l’amore, la felicità, elezioni, meno traffico, più grammatica, meno caps lock, meno carne, limoni, una vita al mare, più verità, più utopia, un divano enorme, un piccolo abbraccio, feste private, danze proibite e potrei continuare ore. costa nulla, fa bene.
(anche se l’altra sera mi hanno detto che ci sono posti così pieni di italiani che ormai ‘la piadina nella località estera’ non basta più, urge pensiero più complesso, più organizzato)

Buon anno alle mie squadre, buon anno alle signore in giro, ai guaglioni, a chi smette di fumare e buon anno a chi passa da sto blogghetto che è come me, un po’ stanco, ma sempre qua.

 

 

Agosto, Playlist

 

Sul divano
(che ad agosto si sta bene nell’ozio puro)

The Get Down
Sounds like the joint..‘ e quasi lo è.
Il pilot è una specie di lungo sogno ad occhi aperti con Baz Luhrmann che ritrova il suo stile barocco nella ricostruzione perfetta degli anno ’70 a NYC.

Pettinature afro, un fiume soul funky dance, un pizzico di romance, rime in rap, due pezzi killer, la musica come salvezza, un finale che mi son trovato ad agitare le braccia sul divano in preda al gasamento. Storia di formazione non solo musicale, classica ma che regge, in rime di stile e poesia urbana, la compila coi pezzi migliori su spotify in heavy rotation fissa e #teamballetti. Poi vorrei organizzare una serata con solo musica disco dance però un Shaolin Fantstic Dj sarà difficile da trovare, ma è bello sognare.

The Night Of
Un poliziesco targato HBO. Solo questa frase mi fa vibrare le vibrisse come un gatto davanti alla pappa preferita. ‘The Wire’ fortunatamente ha lasciato segni profondi. E qua, siamo circa in quel territorio, senza le parole ‘capolavoro’ e ‘assoluto’.
La discesa all’inferno del protagonista, le magagne della giustizia e del sistema carcerario e due trovate narrative eccellenti, d’altra parte nella sigla si legge ‘Richard Price’ (vedi sez.comodino), una garanzia.
Molto, molto, molto bene.

 

 

Cinque canzoni in cuffia

 

Bon Iver (tre canzoni nuove, l’ultima la trovi sotto)
Il capo del mondo del falsetto romance è tornato, evviva il capo.

Tom Mitsch – Watch Me Dance
se prendi i secondi di questa canzone e li stiri, allungando le note, in modo che possa durare ore anziché pochi minuti, diventerebbe la canzone perfetta per il ritorno dalle ferie. Prima malinconica, poi via in crescendo e ‘snap! snap!’ schioccare le dita sul ritmo.datemene molte.

Neil Cowley Trio – The City and The Stars
Cosa vuoi dirgli a Neil? Che fa sempre la stessa roba? Pazienza. Qua c’è tiro e classe come il solito, nell’album prossimo ci saranno note di amarezza e gioia, il solito. Ah, qualche promoter me lo porti in Italia perdendo denaro, dai, grazie.

Herizen Guardiola – Set Me Free
Ho trovato solo questa mini versione ma su iTunes l’ho presa subito per fare improbabili mosse di danza per questa canzone che è, SPOILER, il perno della serie di cui ho parlato sopra, quella col Bronx dentro.
American Football  – I’ve been so lost for so long
(a posto)

 

Sul comodino

 

Richard Price – Balene bianche
La letteratura di genere ha limiti evidenti che gli autori bravi superano agilmente. Richard Price è uno dei migliori (per quanto ne so). Questo romanzo è un poliziesco ma racconta di famiglie e di passati da chiudere ed è un grandissimo romanzo anche per chi non legge questo genere, tipo me.
Un grande libro, da scuola di scrittura, credo.

Elizabeth Strout – Mi chiamo Lucy Barton
Frasi cesellate che colpiscono a fondo, come proiettili ci piccolo calibro ma che esplodono colpendo nel segno. Ecco, una similitudine orrenda come la mia non c’è in questo romanzo ma ci sono parole giuste e un rapporto fra madre e figlia e tante piccole annotazioni sul vivere. Bellissimo e da rileggere

I pesci non hanno gambe – Jon Kalman Stefansson
Mi piacciono le coincidenze. Se l’Islanda non fosse arrivata in semifinale agli europei di calcio non avrei letto un pezzo bellissimo (purtroppo non lo trovo più, si stava meglio quando usavo Tumblr) e non avrei scoperto due cose. Che l’Islanda è un paese di scrittori e che questo scrittore in particolare è già diventato uno dei miei pref.
La storia salterella fra passato e presente, fra le generazioni e le crisi di una famiglia ed è come leggere poesia in romanzo. Si dice lirismo, mi suggeriscono. Non per tutti, perché il lirismo è in ogni pagina e quindi potrebbe risultare pesante, ma per me è un sì grande come il cielo.
(qui, un link per saperne un po’ di più)

Luglio, playlist

 

Al cinema

 

Star Trek-Beyond
Dopo più di un mese, grazie alla super offerta cinematografica estiva, si torna a vedere un film in sala per il terzo episodio del reboot con Kirk e Spock. Il migliore dei tre, con almeno due scene wow e vario divertimento. Come sempre, quando smetteranno di doppiare i film, sarò troppo vecchio.

Sul divano

 

Stranger Things
In un buco spazio temporale si infila questa serie di otto puntate che catapulta noi nati nei settanta in un mondo fatto a nostra immagine e somiglianza che mescola i teenager movies coi nerd e i bulli e le storie di mostri, l’amicizia e le paure. Funziona benissimo, puro godimento con personaggi da amare subito e una ragazzina da premio Emmy.
Da vedere, anche se ormai l’han visto tutti, bene così.

Orange is the new black
La stagione più politicizzata della serie e anche quella meno comedy e più drama. Sempre un piacere intelligente.

Marcella
per rinfrescarmi gli occhi dai trentacinque gradi fuori, ho visto questa serie (sempre su Netflix, che questo mese si è guadagnata l’abbonamento) con un bel puzzle di personaggi che ruotano intorno alla caccia al classico killer. Ottima lei, bene il resto, in una Londra classicamente uggiosa e dove secondo me si entra nelle case con una semplicità disarmante.

 

 

Cinque canzoni in cuffia

 

Maxwell – BlackSUMMERS’night
l’ottimo ritorno di un grande R&B singer. Non saprei sceglierne una da questo che è l’album del limonare estivo, lo ascolti finché c’è, qui.

Badbadnotgood – IV
non ho voglia di cercare la recensione ma da qualche parte ho letto che i BBNG sono una band che suona a livello superiore (vero) ma a quel livello sta nella media. Può essere, se sei una band che piazza una canzone assurdamente bella come questa e almeno altre due da applausi, per il resto del disco puoi fare quello che vuoi che io sono a posto.

Bruce Brubaker – Glass Piano
Brubaker è un pianista americano che si cimenta nella riproposizione di un disco famoso per quelli a cui piacciono i dischi di piano solo. ‘Solo piano’, appunto, di Philip Glass.
Glass l’ho visto una volta suonare e sono uscito dal teatro che avevo gli occhi sbarrati a causa dell’intensità della luce musicale che il compositore aveva irradiato. (e adesso che ci penso, avrebbe trovato posto nell’elenco dei 25 momenti live, vedi qua). Comunque il disco è eccelso, perfetto per agosto, per chiudersi in stanza buie aspettando l’inverno mentre fuori il sole spacca le pietre e il silenzio. (contiene: pezzo che concorre al premio ‘best romance piano‘ di sempre)

Marquis Hill – The Way We Play
era un po’ di tempo che non ascoltavo un disco jazz e lo trovavo immediatamente giusto, fresco, da heavy rotation. perfetto per un ascolto diverso sul lettino del mare. (questo pezzo, per dirne uno)

Wilco – If I Ever Was a Child
una delle mie band preferite, seguendo il mood ‘facciamo uscire dischi a sorpresa o a caso’, fa uscire un nuovo singolo e quindi va messo in lista. anche perché mi ricorda il bellissimo concerto di inizio luglio. solita bravura, con spazzole. e luglio è già finito? eh.

 

 

Sul comodino

Esiste una letteratura per le donne e una per gli uomini? Per dirla con l’accetta: Harmony e Hard-boiled al chilo?
Forse ci sono libri che le donne possono apprezzare più degli uomini, nel caso il romanzo di Ester Viola appartiene a questa categoria.
Arguto, borghese e napoletano, il libro segue le vicende amorose della protagonista Olivia (punti plus per il nome, punti minus che non se ne può più di citare quei tre quattro film – e ‘Sex & the City’ – che hanno formato generazioni di 30/40enni romantiche ma con l’ansia del cinismo) .
Mi ha incuriosito, non appassionato abbastanza, si legge che l’autrice ha un account twitter seguitissimo, le pagine sono pieni di frasi da 140 caratteri, ma è una lettura gradevole, non memorabile.
Quote da 140 caratteri, fra i tanti: ‘La disinvoltura più elegante di cui sarai capace nella vita la sprecherai con gli indesiderabili

Sloane Crosley – ‘Il fermaglio’
E’ possibile leggere due terzi di un libro senza appassionarsi a un personaggio, né alla storia, magari pensare ad altro mentre si legge, eppure andare avanti? Evidentemente sì. A volte ne vale la pena, che certe pagine schiudono magie inaspettate e ormai inattese, a volte no, che certe pagine sono piccole gemme ma nel complesso non riesci ad essere soddisfatto. Scelgo la seconda, perché capita di non entrare in sintonia con la scrittura di un autore, proprio il modo di scrivere, la scelta delle parole o meglio, delle parole tradotte, e così via. La storia è un bell’incastro, mezzo mistero, mezza storia di amicizia. Dati gli ingredienti, provalo, se vuoi. Sotto l’ombrellone sta benissimo, direi.
Per me l’importante questo mese è avere ripreso un certo ritmo di lettura (bastano anche dieci pagine al giorno) che, repetita iuvant, leggere fa bene a tutto, al cuore, alla testa, ai passi. Secondo me.

 

IGgioie

Per il LOL e il giusto dominio dei gatti nell’internet, questo profilo di gatti che dormono dentro a negozi, favoloso: bodegacats.

 

E’ tutto, fate un bell’agosto (l’anno scorso ho scritto questo post con trenta mie “cose belle” IN agosto, qualcuno scriva le sue quest’anno, dai…)

 

 

 

Maggio, playlist

 

Maggio è stato un mese di impegni pazzi e quindi non c’è stato tanto spazio per le classiche attività diciamo ‘de curtura’.

Quindi, senza ulteriori indugi e in ritardo, la playlist di maggio, tutta d’un fiato.
Al cinema ho visto ‘Civil War’ che mi è sembrato un eccellente prodotto Marvel con gran botte di menare, uno Spiderman figo e dove, finalmente, non ho percepito quel senso di stanchezza seriale che a volte avverto guardando i film sui supereroi. Più botte nei parcheggi per tutti.
La pazza gioia’ è un bel film italiano, giusto per continuare la stagione dei film italiani fighi. L’ho visto insieme ad altre sei signore, in un orario da signore. All’inizio le signore parlavano molto, classic. Di quanto sia sciupata la Michela, della classe della Valeria, ma ‘cosa fa?’, ma ‘perché vanno via?’ e altri commenti da #teamsignore. Poi a un certo punto del film c’è stato un progressivo aumento del silenzio e poi tutto un gran sospirare in coro delle signore, e pure mio. Più film con le signore per tutti.
Infine – roba di giugno ma già che ci sono – ho visto ‘The nice guys’, un film con due attoroni che fanno gli investigatori privati nei settanta, film che dimenticherò presto perché non è originalissimo però è divertente, un quarto d’ora in meno era meglio ma forse ero stanco io. (la giusta recensione del film la fanno su ‘i400calci‘).

Poca roba di serie tv, sto guardando Gomorra, la serie coi guagliò e tutt’ a ppuost.

Invece, e fortunatamente, ho trovato bei dischi e visto che gli album interi che vanno in heavy rotation sono pochi negli ultimi anni eccovene quattro.

Per caso ho scoperto che Aaron Parks, uno dei pianisti più bravi che ho ascoltato negli ultimi anni, ha pubblicato nuovo materiale. In trio con sezione ritmica made in Denmark. Che dire. Non trovo niente on line, ai jazzisti capita spesso di evitare il web per motivi ignoti ma ok, tanto a nessuno frega di questo disco e quindi bon. Però è bellobello eh, si chiama ‘Groovements’ e lo puoi trovare su Spotify.

E’ finalmente uscito ‘Day of the dead’ enorme raccolta di canzoni dei Grateful Dead rivisitate da un parterre de rois di gente che fa buona musica oggi. Curata da quei bravi ragazzi dei The National, fossi in voi l’ascolterei e se non trovate minimo cinque pezzi ottimi, vi offro il caffè.
(nel frattempo faccio come i jazzisti e non metto un link che sia uno, amen)

Altro discone che ho ascoltato molto (e #teamballetty) è quello di Kaytranada. Il titolo è ‘99,9%’ ed è al 90% pieno di suoni e beat giusti.

Infine, il nuovo album di Gold Panda è delizioso, poi io non me ne intendo di musica da giovani, però magari ascoltatelo. Il titolo è ‘Good luck and do your best’ che è un bellissimo titolo, ammettiamolo.
Più, bonus track, letteralmente, un pezzo che è questo scovato grazie a uno dei miei involontari pusher di musica, ed è una melodia di piano avvolgente, mezzo romance mezzo dance, che mi ha fatto venire in mente storielle da scrivere che probabilmente resteranno quattro righe di note su un paio di fogli che perderò e direi sia tutto, per maggio, quando è già molto giugno.

 

Aprile, playlist


Al cinema
 ho visto il seguito della favola di Biancaneve in versione reboot fatto a caso per mettere insieme tre delle più belle donne in celluloide, motivo per cui sono andato a vedere il film. Quando Emily Blunt (pref. #1) parla con Jessica Chastain (pref. #2), è stato tutto un teenager time e cuoricini che volavano verso lo schermo, per il resto un guazzabuglio di action povera e storia piena di ‘Eeeh!?!’.
Poi ‘Veloce come il vento’ si inserisce con l’acceleratore a manetta e del dialetto made in BO nel filone ‘finalmente film italiani belloni’ ma ne ho già scritto in un post dove c’erano altre parole abbastanza inutili su cose politiche abbastanza inutili.
Invece poi esistono ancora film italiani brutti.
Uscendo dalla visione di ‘Le confessioni’ due signore sessantenni: ‘Siamo tutti nelle mani delle banche’. Stavo per aggiungere ‘O del signore’. Poi ho desistito. Però avrei voluto chiedere alle signore di spiegarmi se e come era piaciuto loro il film. Adesso metterò su un cartello ‘Cercasi over 50 con cui chiacchierare del film, a proiezione conclusa‘, così, tanto per essere guardato male dalla gente che esce dal cinema.
Durante una blindatissima riunione del G8 per decidere delle sorti del pianeta, muore il capo del fondo monetario, poco dopo che questi si è confessato con un monaco. Una specie di giallo all’Agatha Christie con sfondo morale. Ambizioso e inconcludente, con moralismo furbetto, piatto come il mare e le piscine che si vedono (Sorrentino sta facendo molti danni con sta ricerca di immagini profonde che in realtà coprono un vuoto farcito di intenti, ma per spiegare meglio questa cosa servirebbe un post più completo e credo di non averne molta voglia, pazienza).
E’ noioso, altezzoso, con intellettualoidismi furiosi e citazionismo assortito che passa da Keynes a poeti greci non menzionati, perché ovviamente il pubblico conosce a menadito le quotes di ogni poeta greco, per arrivare a un imbarazzante momento à la San Francesco che ammansisce le bestie e concludere con un imbarazzante finale che ribalta il tono di tutto il film in una maniera assurda.
Qualcuno dia una parte a Servillo bella, ben scritta, dove non gigioneggi troppo. Qualcuno la smetta di produrre film così fasullamente alti. Qualcuno continui a fare film italiani con della passione dentro, grazie.

Sul divano mi son messo in pari con ‘The Good Wife’ che è una delle serie più belle mai realizzate. Sette stagioni da circa ventidue puntate l’una e una qualità e una classe quasi sempre elevata. Finisce fra una settimana, per sempre, mancherà Alicia con i suoi tailleur completi di sguardi che ti tagliano in due, mancheranno le faccine di Eli Gold, mancheranno i dialoghi a rotta di collo sul bordo di enormi libri di legge e amoreggiamenti più o meno espliciti in ascensori o bevendo martini. Mancherà sì, un bel po’. E lo scrivo prima, si sa mai che il finale, eh… Mentre mancherà meno ‘Flaked’ cosetta Netflix, assai indie in ritardo, però simpatica, via. Di ‘GOT‘ non se ne parla, tanto è puro hype (ma qui c’è un articolo ottimo sulla serie coi draghi dnetro).

 

Cinque canzoni in repeat esagerato.

The Field – Monte Verità
ipnotico loop di un tizio che aveva fatto un album bellissimo anni fa e adesso ne ha fatto un altro, meno bellissimo, ma ok.
Cosmo – L’ultima festa
per balletti in macchina, oh-ò-oh-à
DMA’s – Step Up The Morphine
disagio giovanile, tute in triacetato e chitarrone pop. sembra di essere a Manchester nei ’90 invece sono di Sidney e van bene così oldies.
Terrace Martin – Valdez Off Crenshaw + Miles Mosley – Abraham
doppietta di classe per personaggi di quel mondo che brulica di jazz ma flirta con altre sonorità black. Musica con gusto, assumerne in dose massicce, lavora bene sui trip negativi, non ha controindicazioni.

Sul comodino
Aprile, mese di primavera e tanto verde che esplode misto pioggia, giorni in maglietta e giorni in maglione. Giorni dove non ho letto nessun libro, manco una riga. Ho spulciato varie riviste, anche lì non trovando moltissimi pezzi godibili. Direi che con la lettura sono in pausa. Se avete un libro meritevole che possa riportarmi sulla retta via, i commenti sono tutti vostri.

Marzo, playlist

 

Al cinema

 

Lo chiamavano Jeeg Robot
Il film è bellissimo. La storia di un super eroe per caso ambientata a Tor Bella Monaca, con un sacco di romanticismo dentro e di facce giuste e script giustissimo, pure troppo, pure per farmi sognare l’agile serietta Tv, una dieci puntate col sequel del film. (e chissà che ciò non accada).
E’ un film speciale perché esce dallo schema dei film italiani che sono sempre o ‘commedie coi titoli in rosso‘ o ‘cinema ‘d’hautore‘ con l’acca aspirata. Tutto qua.
Il regista ha detto una cosa: ‘A me non interessa che sia uno spartiacque, l’unica cosa che mi interessa è che vada bene al cinema e che dia un segnale forte ai produttori, far capire che la gente non vuole vedere soltanto certe cose. Basta, solo questo’
Ecco il motivo per cui questo film è importante. Perché dietro di me c’erano cinque orribili persone che ciarlavano durante il film. Poi, che un paio di ‘allora, basta?!‘ detti con la giusta dose di faccia cattiva, non erano sufficienti a placare la lingua di sta gentaglia che parla al cinema, il film è piaciuto. La storia ha zittito la ‘cronaca dal vivo’ del film, ha fatto anche palpitare i cuoricini di ste ‘signore’ che avevano deciso il film da vedere a caso, in fila alla cassa. Ecco, questo i produttori italiani dovrebbero sapere. Che le cinquantenni ciarlanti al cinema hanno apprezzato questo film.
Quindi, tenere le commedie e l’ autorialità spesso auto referenziale oppure aprire il mercato a roba diversa? Secondo me lo spazio c’è, spero nel coraggio dei produttori italiani, oppure questo film sarà stato come un mezzo miracolo.
Ps.: tornerà nelle sale a fine aprile, andate a vederlo.

Batman v Superman
E, a proposito di supereroi, con questo film per la prima volta mi si è rotto lo spinterogeno del gasamento che da bravo quattordicenne intrappolato nella barba ‘sale e pepe’ di un quarantenne, ho sempre avuto negli ultimi anni di film supereoistici (che non si dice forse, ma ci siam capiti).
Tanto lungo che sembra di aver fatto una maratona da seduti, con troppa roba dentro, fra esplosioni casuali e preview delle prossime puntate che vedranno germogliare la Lega dei supereroi DC. Uno script carico di sbagli, pieno di super spiegoni fatti da un cattivo tanto bravo quanto inutile e con una soluzione (MARTHA!) che se ci penso mi metto a piangere. Zack Snyder, continua ad essere sulla mia lista nera dei registi action.
Però Ben Affleck se la cava pure bene come Batman, le scene dove i due eroi col mantello si pugnano son belle e Wonder Woman è cool, ma non basta.
Il bambino di otto anni di fianco a me a metà film era palesemente annoiato e pure noi che forse, come dicevo, iniziamo a storcere il naso  davanti a questa specie di serie tv infinita sui supereroi che, spero tanto di sbagliarmi, rischia di portare hype farlocco e poca gioia.
Al botteghino il film sta andando bene, quindi son sempre dalla parte del torto, ma chissà.

Ave, Cesare
I Coen Bros fanno un omaggio al cinema di un tempo, dedicato ai cinefili e a se stessi. Si sentono in sottofondo le risate che si son fatti sul set. I fratellini, col loro cast di fidati attori e amici, sfoggiano la solita classe componendo un patchwork di stoffe colorate di musical, peplum, spionaggio, giallo pallido, su un vestito di commedia che forse non è rifinito benissimo però risulta molto divertente e privo di ogni autorialità, cosa che forse ha spiazzato molti critici troppo intenti a cercare paragoni con altre loro pellicole, in un esercizio molto sterile. Una risata vi seppellirà e la cosa giusta da fare è continuare ad apprezzare il cinema (e i sottomarini russi).

 

Sul divano

(detto che la quarta stagione di ‘House of Cards’ è molto buona e sempre #teamclaire, la serie del mese è l’inglesissima ‘The Night Manager’, un gioiellino di spy story con cast squisito dove spicca Tom Hiddleston a livelli di figaggine imbarazzante. E la sigla qui sopra è stupenda)

 

Cinque canzoni in cuffia

Courtney Barnett – Three Packs A Day
Da pochi giorni gira la preview di un disco pensato dai ‘The National’, di cover dei ‘Grateful Dead’. In una canta la Courtney che mi piace tanto dall’anno scorso. Mi ero perso sto singoletto, molto primaverile, metto questo che fa ‘margheritone’.

Kendrick Lamar – Untitled 06 (manca il link, non l’ho trovato, eh oh)
L’attuale capo della black music poteva anche evitarselo il disco di outtakes dal precedente. Però c’è sempre dello stile e questo brano, clamoroso.

M83 – Do it, try it
Pezzo di balletti con base di pianoforte, regolare.

Damien Jurado – Exit 353
Oh ma che bel disco. Pezzo a caso, ma nel mazzo ce ne sono tante di belle canzoni.

Parquet Courts – Outside
Era già in lista il primo antipasto del nuovo disco, poi pochi giorni fa è uscita sta canzoncina che conferma il mio gradimento per questi tizi che stanno fra il country e l’indie rock.

 

 

Sul comodino

lacey‘Nessuno scompare davvero’ – Catherine Lacey
Elyria scappa, fugge o si nasconde. Va lontano, racconta il suo viaggio ‘one way ticket’, condividendo con noi molte acute riflessioni sul suo passato, sulla vita, l’assenza, la coppia, la fuga stessa da noi stessi. Ci fa entrare nei suoi pensieri che sono stranamente affascinanti, intrisi di dubbi, desideri e riflessioni che non si dovrebbero avere, socialmente inaccettabili, se espressi a voce alta, cose che forse, inavvertitamente, anche noi, che siamo responsabili e ‘maturi’, scacciamo quotidianamente.
Quando finisce la storia, mi è mancata la voce di Elyria, come se durante la lettura fosse diventa un’amica saggia, ma un po’ strana. E quando un romanzo ti conquista con la sua voce e quando lo chiudi ti manca quella voce, vuol dire che è bellissimo.  (e ha una copertina stupenda)

‘Purity’ – Jonathan Franzen
Lo abbiamo letto in società. Io dico che leggere Franzen è obbligatorio, poi c’è anche chi si fa pagare per farlo, non una cattiva idea. Noi, l’abbiamo letto a gratis e ne abbiamo scritto, qua.