L’incredibile fanta e la neve a Maggio

Il giorno che abbiamo vinto il campionato del fantacalcio, il mio Mister mi ha scritto: “L’incredibile è diventato credibile“.
Al fanta ho un Mister perché anni fa non avevo tutta questa energia per continuare a giocare con la serietà necessaria al gioco e quindi ho ‘assunto’ un amico, impartendogli la direttiva sacra (non si comprano giocatori delle strisciate, della Mapeiese e del Pavma) e consegnandogli, più o meno, la squadra in mano. Dopo tre anni di gavetta e di vane strategie, l’anno scorso abbiamo vinto il titolo.
Quest’anno, alla decima giornata avevamo diciassette (17!) punti di svantaggio sulla prima classificata.
Poi, è successo che abbiamo fatto la rimonta incredibile, appunto, e abbiamo vinto il titolo, per il secondo anno consecutivo, perfino con tre punti di vantaggio.
Abbiamo avuto abilità sul mercato aperto e il risveglio di un paio di giocatori fondamentali. Inoltre le rivali hanno rallentato molto il ritmo e ovviamente abbiamo avuto la fortuna giusta per vincere.
Oggi pomeriggio ho salvato il file che stavo scrivendo, ho aperto la porta per vedere se pioveva ancora e mi sono trovato davanti a un’altra cosa incredibile che diventava credibile. Stava nevicando forte. A 150 metri s.l.m., il cinque maggio. E ho ripetuto la frase del Mister ad alta voce, rivolto alla neve che cadeva o al vento che soffiava e dopo ho pensato che, meteorologia a parte, è una frase che potrebbe essere adottata come stile di vita, se uno ha un obiettivo, un piccolo sogno, non so, qualcosa da provare a raggiungere.
Con il Mister, “L’incredibile è diventato credibile” è già diventato il nostro motto e questo post non è una pagina di un manuale di self help di basso livello. Però, così, forse è vero, forse non si sa mai cosa può succedere. Forse bisogna crederci tanto come ha fatto il Mister che un bel giorno ha iniziato a scrivermi che il fanta campionato lo avremmo vinto noi. Ed eravamo ancora a otto punti dalla prima, con altre squadre in lotta per il titolo. E alla fine ci abbiamo creduto così tanto, che è successo. Abbiamo rimontato diciassette punti in diciotto giornate.
L’incredibile è diventato credibile. Magari ripeterselo a volte, magari sorridendo, magari imitando la voce potente del mio Mister, più alta e tonante sull’incredibile, più profonda , quasi stupefatta, sul credibile, fa bene. Forse, molto forse, nulla è impossibile.
Figurati, nevica perfino in maggio.

Questa storia della velina nel castello

La Rocchetta è il simbolo del mio paese. E’ una fortezza medievale che si trova all’inizio di quello che adesso è il centro storico. Serviva come prima difesa verso eventuali aggressori. Aveva un ponte levatoio. Adesso è ben conservata e ci passo davanti quasi tutti i giorni.
Uno di questi giorni ci entrai per una visita a una mostra, fotografie appese nei locali della fortezza. Mentre giravo, guardai un lampadario appeso in una delle due torri e un’immagine mi piombò addosso. Iniziai a ripensare a quell’immagine. Ci costruii intorno una storia, tre settimane di un agosto in cui ero in ferie e scrivevo ogni volta che potevo.
Mi ricordo bene, mi viene da sorridere a rivedermi a capo chino che scrivevo veloce, con decine di errori di battitura, cercando di buttare fuori le parole, senza pensare troppo a come e a quanto scrivevo, sperando di non perdere il filo di quella storia, ambientata nella Rocchetta.
Poi misi in pausa il testo che ne uscì. Lo ripresi dopo qualche mese, lo corressi, tagliai parti, lo feci leggere a mia sorella che investì del ruolo di improvvisata editor, a un’amica che mi sostenne con forza cercando di scacciare le mie insicurezze.
Lei diceva “Sei uno scrittore“, io dicevo “Ma no“. Ho ragione io, non lo sono, però mi è sempre piaciuto scrivere, da quando presi un rotondo dieci in un tema alle superiori, vergognandomi dei complimenti della professoressa, a quando aprii il primo blog dove timidamente scrivevo per un seppur minimo pubblico.
Provai a presentare quel testo a pochi editori, senza trovare risposta. Era giusto, non era maturo. Però intanto anche io come tantissimi altri avevo il ‘romanzo nel cassetto‘.
Tirai fuori quel plico di fogli dopo tanti mesi. Lo riscrissi da cima a fondo grazie anche a preziosi consigli di una professionista del settore. Ne uscì la storia che avevo in mente. Ripartii a cercare editori piccoli e affidabili, alcuni un po’ più grossi e irraggiungibili, rifiutai addirittura una proposta, non mi sembrava il caso.
E poi, una sera mi decisi a mandarlo a questa casa editrice. Bookabook.
Me l’aveva segnalata un’amica dell’internet, era rimasta in fondo alla fila.
Era interessante però, con una bella grafica e libri nelle librerie che frequento. E il crowdfunding, un’opportunità.
Prima di mandare la proposta con le prime venti pagine mi dissi: “E’ l’ultimo tentativo. Se non rispondono o rispondono picche, la smetti e va bene così“. Perché a un certo punto forse anche i sogni vanno messi nel cassetto in fondo a tutti i cassetti, a prendere polvere insieme a un centinaio di pagine. Dopo qualche giorno arrivò la risposta.
Ok, mandaci il resto“. Ero a una cena e stavamo uscendo per andare alle macchine, era un paio di mesi fa.
Urlai, “Yeee“. Però poi mi misi sereno. Tanto non succede. Dopo un mese, arrivò un’altra mail. “Congratulazioni…
E dopo qualche mail e una lunga chiacchierata, è iniziata la campagna di crowdfunding per il mio ‘romanzo nel cassetto‘ per liberare la velina.
Qua trovate il link per il preordine, servono 250 copie per fare diventare questa storia un vero romanzo, questo mio piccolo sogno una realtà.
Potete leggere l’anteprima e fare passa parola, se vi piace, se vi va.
Resto uno che non si definisce uno scrittore, ci mancherebbe, però ci provo, ci spero, intanto ci tenevo a presentare ‘La velina’ qua sul blog, dove è nata un po’ tutta questa faccenda dello scrivere.
Per me è già una bella cosa.
E che la velina sia con tutti noi.

 

No smoking

Il titolo del post poteva essere “365 giorni senza fumare, e sto quasi bene”. Oppure doveva essere “Come smettere di fumare in cinque comode mosse”. Poi ho pensato fosse uno troppo celebrativo, l’altro troppo da manuale di auto aiuto oppure da lancio pubblicitario di uno di quei corsi dove ti aiutano a smettere che serviranno ma forse no, senza parlare dei palliativi in commercio, surrogati di una dipendenza che non potranno mai fornire alternativa valida alla sigaretta, privi del gusto, del gesto, dell’odore, di tutto quello che di buono ha il fumare.
Perché miei cari fumatori, noi lo sappiamo, fumare è bello. Ammazza, ma è bello.
Quindi se volete smettere, la soluzione può essere varia, ma quella che vince, secondo me, è smettere di botto. Così. Ciao ciao.
Da un giorno all’altro.
Per smettere di botto però ti devi preparare, devi volerlo ma prima lo devi pianificare, devi auto convincerti con destrezza, lentamente. A meno che, ahimè, non te lo imponga un dottore, il che è male, ma fortunatamente non è stato il mio caso. Per volerlo devi iniziare a pensare ‘ok, smetto‘ ogni giorno, anzi ogni ora. Il giorno che ti svegli dopo che ti sei scolato troppi drink e hai fumato il pacchetto in una sera e ti senti i polmoni che sono due mattoni di quelli grossi, lo puoi pensare, puoi dire senza fiato ‘Cazzo, bisogna che smetta’ ma dopo un paio d’ore ti accendi una sigaretta e dici ‘Bé, cosa vuoi che sia‘ e assapori quel primo tiro che anche se fa schifo ed ha il sapore del male, ributta su tutto il vizio della sera prima.
E parlo di fumatori seri, quelli che dieci sigarette in un pacchetto forse non bastano, quelli che hanno sempre un pacchetto di scorta e si arrabbiano con se stessi se le finiscono e gli tocca scroccarle, perché per loro non avere le sigarette è una cosa gravissima, un’assenza insopportabile.
Per convincerti a smettere non aiutano le immagini che hanno messo sui pacchetti, ammettiamolo. Se le guardi per trenta secondi e hai un minimo di auto consapevolezza pensi che il buco in gola di una di quelle immagini tu non lo vorresti avere, così come le dita dei piedi scarn…oddio che brutte scene, ok. Però poi pensi ‘a me non accadrà‘ e bon, ne accendi una.
Puoi ridurre le sigarette. Anche questo è un sistema. Però se riduci, prima o poi scatta il momento che le tre quattro al dì, diventano le venti al giorno, quando il giorno di tensione, l’arrabbiatura, oppure un giorno di noia in spiaggia, innesca il pensiero sbagliato.
Ne fumo una cosa vuoi che sia’.
Sia, che dopo due ore te ne sei fumate quattro e tanti saluti ai propositi e riparti da zero come un castello di sabbia crollato dopo un’onda improvvisa.
Ora, puoi non fidarti di me che è la seconda volta che smetto.
La prima, non ho toccato una sigaretta per cinque anni e tre mesi e poi ho ripreso, dimostrandomi saggio e intelligente, ma devi smettere, per smettere.
Non smettere dieci ore e scroccare una sigaretta all’amico, non fumarne due al giorno che tanto ‘cosa vuoi che facciano’ che è una tipica frase di negazione della verità tipo quando uno inizia un discorso mega razzista dicendo ‘io non ce l’ho coi negri‘ ecco, per intenderci, ma:
ti dico un paio di cose.

Notoriamente ci sono sigarette difficili da togliere, per esempio quella che accendi di riflesso dopo un caffè oppure dopo un amplesso o ancora mentre discuti con amici fra un drink e l’altro (quello è un po’ alcoolismo ma ok) ma sono sigarette troppo banali seppur molto sincere (trattando la sigaretta come una compagna, ovviamente).
Il grande scoglio per smettere veramente di fumare sono due tipi di sigarette. Le famose paglie meditative e la subdola sigaretta della paghezza.
Le paglie meditative sono di solito associate a proponimenti o a panorami. Esempio: dietro casa mia ci sono serate che il tramonto è molto bello, con arancioni dai pantoni strani, scie chimiche complottiste che attraversano il cielo, le colline che disegnano un profilo ondulato che si staglia nell’azzurro calante verso la notte…insomma, poesia spicciola e bei tramonti che, come noto, con la sigaretta sono ancora più belli. E ti metti a pensare magari e pensi di stare pensando una cosa bella e quindi fumare in quei momenti è altamente appagante.
La sigaretta della paghezza è forse la più difficile da togliere, perché è molto personale e generalmente solitaria. La accendi alla fine di una riunione che è andata bene, senza nessuno intorno; la aspiri sul balcone mentre tutti i pensieri se li porta via il vento insieme al rivolo di fumo; la schiacci per terra dopo una breve passeggiata dove non hai pensato a niente se non a fumare; ognuno ha il suo momento, in cui fumare è un premio, non è un vizio. Per me per esempio una delle più buone era a notte fonda, tornato da un concerto mi fumavo una sigaretta guastandomela un sacco, le orecchie ancora rimbombanti di musica e urla, i sensi appagati.

E poi, perdi peso. Non sembra ma arriva un momento in cui la mancanza di pacchetto e accendino non è più soltanto un rendersi conto che una parte di te (o la mancanza di una parte di te) è svanita, ma quell’assenza ti fa dimenticare la sua necessità, come quando pensi in continuazione a una ragazza e poi PUFF questa non la pensi più.
Quindi ti trovi senza accendino e senza sigarette. Pochi grammi in meno e tanto spazio in più.
La faccenda che uno ingrassa se non fuma, dipende. All’inizio son dimagrito, dopo ho messo su qualche chilo, ma colpa delle birrette, mica del fumo. Credo, boh.
Oppure, certo,  per aiutarti a smettere puoi pensare alla situazione economica. Cinque euro al giorno in più in saccoccia, con bonus di un eurino al giorno perché se smetti di fumare, smetti anche di bere almeno un caffè. Ok, magari ti fai fuori un pacchetto di cicche o liquirizie al giorno ma alla fine di un mese qualche soldino lo hai risparmiato. Ci sono ovviamente app per calcolare il risparmio economico, ci sono app per tutto.

Il problema è la volontà. E la voglia. Perché ha ragione un mio amico saggio. ‘Un fumatore resta un fumatore‘.
Però viene in soccorso un altro aneddoto, di un altro amico che mi ha raccontato di suo zio che ha smesso vent’anni fa e ogni volta che vede uno accendersi una sigaretta gli viene voglia. Eppure non la accende, ben sapendo il danno di una sola sigaretta.
E’ quello il trucco, quella la temibile soglia. Sembra poi difficile ma non lo è così tanto, cioè basta mettersi lì e pensare ai vantaggi o alla salute o alla…
Sì, una bella rottura di palle, per un fumatore.
Quindi, mi dedico questo flusso di coscienza, non di Pirandelliana memoria, perché son passati 365 giorni e non ho fumato una sigaretta ma so bene di averne ancora voglia. Eccome.
Nonostante ciò, conservo ancora in macchina l’ultimo pacchetto con dentro dieci sigarette che ormai saranno ammuffite oppure le Camel saranno diventate – it’s toasted!’ – Lucky Strike ma anche Don Draper smetteva di fare pubblicità alle sigarette e se Don fosse vissuto oggi forse avrebbe scritto da qualche parte, in un post sotto falso nome, che fumare fa male e come smettere. Non che io sia Don Draper, mi mancano stile, ciuffo, talento e capacità di reggere il bourbon, però questo post vagamente celebrativo intanto l’ho scritto, scaccio la voglia di fumare una sigaretta e spero passino almeno altri cinque anni senza, spero…

Parole (don’t come easy) ’16

fullsizerender-2Un giorno di tanti anni prima aveva sentito quella frase.
‘Le parole sono importanti’. Le piacque quella frase. Era seduta sul bracciolo di un divano color senape, fumava una sigaretta senza aspirarla perché dopo le faceva male la gola. O almeno così diceva, però le piaceva tenerla fra le dita, farsi guardare dai ragazzi, avere sedici anni e percepire la nascita di piccoli poteri.
Quella frase le era rimasta in testa. La risentì negli anni dell’università quando aspirava qualche spinello. Allora sapeva da dove veniva quella frase e le piacque ancora. Non per il sottobosco simbolico da dove proveniva ma per la verità che vi era contenuta, in cui credeva. Lei, che con le parole ci studiava e poi finì per lavorarci.
Anni dopo aprì un blog e nella testata ci mise un fumetto contenente quella frase, il suo fidanzato di allora l’aveva aiutata con il disegno e la grafica. Da quell’anno è un appuntamento fisso. Prima sul blog, poi su Facebook e infine oggi quando, per non sentirsi troppo ridicola, troppo anziana, scrive sull’agenda.

Scrive le parole del suo anno, quelle che l’hanno definita, delineata e contornata come un personaggio di un fumetto.
Ogni tanto, scrive una parola quando questa la colpisce fra tutte quelle che attraversano la sua giornata. La scrive, le sottolinea, ci fa i bordi, le riempie di puntini come avessero il morbillo, le colora a volte e poi quelle più significative le ricopia tutte insieme in una paginetta, che diventa un grafico di curve scritto con una penna a sfera a simboleggiare il suo anno.
Poi una mattina di dicembre, aspetta la luce giusta di un giorno di sole, una luce tersa avvolta in un freddo pungente, che le fa ricordare attraverso le parole i vari momenti, le chat, gli incontri, le serate da sola, o in compagnia. Entra negli occhielli delle L, passa nelle aperture delle A, si getta nel vuoto delle O, si issa sulle I, si strizza nei riccioli delle R e ripassa il suo anno anche se la prima parola che scrive è la più recente. La scrive e decide con quel modo pomposo con cui si deliberano i proponimenti per l’anno nuovo, per poi magari buttarli nel cestino come una pagina di schizzi venuta male, che quella sarà la sua parola guida per il 2017 che va a iniziare. La scrive credendoci, illuminandola quasi con il tratto di una penna rossa. RISCATTO.
Quella parola era saltata fuori come tante altre durante una delle serate fra SIGNORE – come si definivano, perché lo ammettevano, perché lo erano, come ‘Signore’ era l’appellativo che avevano dato alla loro chat su Whatsapp -, quelle uscite a scadenza non fissa, poche indispensabili ore che tutte loro ritagliavano negli interstizi dei vari impegni. Erano in quattro, a volte cinque. Si sistemavano a tavoli di diversi locali o ristoranti, non ne avevano uno preferito, iniziavano conversazioni e serata con una bottiglia di quello buono, assaporando parole e sorsi per poi venire travolte dalle stesse e la seconda bottiglia aveva il sapore dello stare insieme e veniva solitamente terminata in fretta. Alla terza spesso ci arrivavano, dipendeva dagli altri impegni del giorno dopo mentre i loro visi, i loro corpi si protendevano oltre il tavolo a sottolineare parole complici, qualche segreto e qualche altra parola non detta.
Come INCERTEZZA. Lei non era di certo una persona risoluta anche se sul lavoro quella parola la nascondeva bene, soprattutto in quell’anno dove aveva dovuto cambiare, provare a fare un passo in più, piena di dubbi e di paure. E adesso poteva dirlo che le era andata bene. Molto in quell’anno le era andato bene.

Ricordò l’elenco dell’anno prima dove ACCETTAZIONE spiccava, pietra angolare di quel 2015 pessimo in cui aveva visto crollare piani e sogni. L’accettazione aveva portato a SCELTE dure e dolorose, una doppia d come destino forse, ma le sue scelte le aveva fatte e la più importante l’aveva portata a una scrivania al decimo piano di un palazzo, a guardare nelle pause un altro palazzo nascere di fronte a lei, a spiare finestre che avrebbero ospitato magari altre donne come lei. A volte sentiva il peso di quella altezza. Ricordò che una mattina aveva scritto IMPEGNO, un invito a spronarsi ogni giorno, sapendo di essere sempre sotto osservazione. Le sembrava di avercela fatta o di essere comunque a buon punto.
Forse merito anche dello YOGA come sosteneva una delle sue signore, la più devota alla pratica, anche se quella non era forse la parola giusta, che le aveva messe tutte letteralmente sul tappeto anche se poi tutte non c’erano rimaste, alcune schiacciate dalla fatica dagli orari, dalla quotidianità, una di loro che dichiarava di ritenere semplicemente INACCETTABILE l’impegno fisico che sottraeva energie preziose ad altro.
Scorse l’agenda e trovò RESPIRO, una parola che portava un ricordo chiarissimo di una sera in centro città quando avevano chiuso un locale e uscendo si erano ritrovate sole nella strada ad assaporare l’aria e avevano fatto tutte insieme un respiro solenne, per poi mettersi a ridere all’unisono, per quell’attimo di inattesa ma perfetta sincronia.

C’era anche stato un momento di INCERTEZZA, di TRISTEZZA (forse le parole che finiscono in ‘ezza’ non sono fra le più belle, ma toccava mettere pure quelle, in rima). Un esame, una serie di giornate passate nelle corsie di ospedali, dove ogni messaggio della chat era colmo di delicatezza (no, non tutte  le parole che finiscono in ‘ezza’ sono negative…) di gentilezza (stava esagerando) e speranza.
E poi c’era stato il momento dopo, un periodo durato settimane, iniziato con una delle loro serate dove non la smettevano di toccarsi le mani, le spalle e le braccia nude, come a verificare che stessero tutte bene, come a sentirsi e a riscoprirsi.
Il giorno dopo lei scrisse PELLE, anche perché avevano deciso (ma non tutte poi avrebbero avuto il coraggio) di farsi un tatuaggio nuovo, per ricordare ma anche per celebrare. E poi scrisse POTENTE, che era stata una parola usata come una sottolineatura, un augurio, una necessità, arrivando a diventare la forma con cui si salutavano o commentavano avvenimenti e ogni tanto ancora saltava ancora fuori. L’essere potenti, il desiderarlo.

Terminò l’elenco, lo scorse velocemente, lo rilesse lentamente e poi scrisse sulla chat una frase, pescando ispirazione da quelle parole che messe in fila erano fotogrammi di un anno.
Era una buona idea. Scrisse:
‘La VERITA’, mie care, come sempre. E’ stato un anno INTENSO, con qualche INCERTEZZA, pizzicori di TRISTEZZA, che però con il pensiero LUCIDO e quel certo signorile, alcune direbbero snob, altre direbbero NECESSARIO, DISTACCO che ci dona, abbiamo superato, con ORGOGLIO e…CANE!’
Quella era una battuta che, ovviamente, solo il loro circolo ristretto poteva capire. Il cane era stato il soprannome non certo affettuoso che avevano affibbiato a un uomo che una di loro aveva conosciuto nelle sue peregrinazioni nel mare della singletudine quarantenne, ma era anche stato il regalo speciale per uno dei loro figli.

La lista era finita, scrisse anche un rapido ‘Ps.: la lista delle parole è pronta! Alla prossima riunione, la lettura ufficiale…Gioite, vi AMO!’ e per poco non si mise a ballare la GIGIA, quel ballo da CRETINE che avevano brevettato durante una sera d’estate, mimando e scombinando la scena finale di un film da maschi, all’unica festa a cui avevano partecipato tutte insieme, dov’erano tutte vestite di bianco.

Rilesse i messaggi, si specchiò nel suo riflesso contro quella mattina così luminosa e pensò che sì, era stato un anno BELLO, in fondo, e tenne quell’aggettivo per ultimo, bello, come una corona da mettere sulla lista.

(in anticipo, buon anno)

(un post che è un mix fra playlist, consigli, liste, sassolini, futuro, appunti e auguri)

Buon anno a chi legge, con una parata di consigli se qualcuno non ha ancora fatto regali, visto che regalare libri è sempre cosa buona e giusta:

per pessimisti ‘liberal’:
‘Io non mi chiamo Miriam’, di Majgull Axelsson – i pessimisti agitano spettri per l’imminente futuro e questo libro racconta di una donna scampata all’olocausto che per salvarsi dentro e fuori dai lager cambia nome. L’ho letto voracemente, serve per non dimenticare la crudeltà umana e per ricordare che il razzismo è sempre dietro l’angolo, anche a quello più perbenista. (il bel romanzone dell’anno);

per amici/mariti (ma anche signore) che amano l’alta quota (letterale e letteraria):
‘Le otto montagne’, di Paolo Cognetti – ricco di parole che raccontano la montagna, carico di neve, ricordi e sentimenti al maschile (dove uso ‘maschile’ solo perché i protagonisti sono due ragazzi che diventano uomini). Un libro semplice ma intenso, imperdibile anche per chi non ama la montagna;

per ‘letterati’, più o meno:
‘Tutto il nostro sangue’, di Sara Taylor – la struttura di questo romanzo è un po’ complessa, andando avanti e indietro nel tempo, cambiando punti di vista, cose così. Un libro favoloso, molto femminista (ma, ancora, non ‘da femmine’, che i libri non sono per maschi/per femmine, sono belli/brutti/meh) dove il panorama fa parte della storia, i sentimenti si nascondono dietro lo stesso panorama;

per chi ha amici/compagni che lavorano nelle banche:
‘Nuotare con gli squali’, di Joris Luyendijk – cos’è successo all’interno del sistema bancario dopo il crack Lehman Brothers del 2008, come funzionano i banchieri della City, come possiamo agitarci come pesci ma tanto gli squali fanno gnam (no, non è un libro anti capitale e se poi qualcuno che lavora in banca lo legge veramente, poi si palesi, che avrei quella ventina di domande, grazie);

per lamentosi fissi del ‘non so dove prendere’:
‘Nessuno scompare davvero’, di Catherine Lacey – la protagonista del romanzo a un certo punto, va via. Letteralmente. In prima persona, la difficoltà di trovare un centro, se esiste. Pagine da rileggere, quando vengono i ‘pensieroni’;

per uomini che si alzano presto, sbuffano, bevono, sbuffano, sbagliano, sbuffano, piangono in macchina, sbuffano e per le donne che li sopportano, supportano:
‘Balene Bianche’, di Richard Price. Un poliziesco che non è solo genere, scritto da un maestro del genere;

per gli amanti del ‘long form’ (a proposito, ce n’è un sacco in giro di vero giornalismo, si trova fuori da Facebook, di solito. so che è inutile scriverlo ma ci tenevo un sacco):
‘Storie dal mondo nuovo’, di Daniele Rielli – reportage lunghi su argomenti non da prima pagina, scritti con arguzia, divertimento e sguardo profondo su varie cosette, tessere di un puzzle per capire meglio come va;

Buon anno a chi cerca musica:
leggevo poco fa una di quelle notizie clickbait che non riguardano la politica italiana. Uno studio (c’è sempre qualcuno che studia) sostiene che dopo i trent’anni si smette di cercare e ascoltare musica nuova. Boh, io ho ben più di trent’anni però mi gaso ancora per una band nuova, anche se, lo ammetto, capita sempre più di rado. A proposito, ecco una manciata di dischi fichissimi ascoltati nell’ultimo anno, in ordine di apparizione:
Black Mountain – Chance the Rapper – Gold Panda – Marcus Hill – The Get Down (sound track) – The Olympians – A Tribe Called Quest – Whitney.

Buon anno ai distributori dei films:
evviva, è Natale e non escono i film super belli che aspetto da mesi come ‘Arrival’ – per gasarmi con Amy Adams che parla agli alieni – oppure ‘La La Land’ – per volare nel musical dell’amore romance. No, esce commediame italiano che ok, capisco che la gente si debba divertire nei cinemi a natale e gli incassi, la crisi perenne, il governo ladro e la commedia rivalutata dai critici per il LOL, ma ADG nel 2016 a me sa di raschiamento del barile però ok, colpa mia. Per fortuna che esce il nuovo di Jim Jarmush, dice che è molto bello.

Buon anno alle donne over 35, con account instagram:
non usate i filtri nelle foto! le rughe hanno il loro senso, basta saperlo cogliere (ci tenevo a dirlo, bis);

Buon anno a chi va ai festival musicali all’estero:
visto che l’Italia è diventata periferia per certe tournée e di conseguenza passano quelli che spillassold nel nome della retromania (che fanno bene, ovvio, ma sto ancora ridendo per i mille euro del vip package al concerto dei G’n’R) buon viaggio a chi andrà (e dai che, forse forse, nel 2017 vado anche io, mi farò una sorpresa ma lo dico piano sussurrando…)

Buon anno al M5S e alle sue armate del cliccare:
perché esagerare non fa mai bene e mannaggia, quanto esagerare per il referendum e il governo e la costituzione e i video dell’indign-azione ‘condividete altrimenti vi cadono le dita sulla tastiera della rivoluzione’. C’è il caso il 2017 vedrà l’internet crollare di gioia per la presa del potere del populis…del M5S. Insomma, auguri.

Buon anno a Donald Trump:
giusto in tempo per entrare in questo post, un articoletto con l’elenco dei bomber bianchi, ricchi e vagamente destrorsi della next administration che farà grande (mh) l’America again. Comunque Donald è da seguire e io lo faccio già, per motivi ovvi e tanti auguri, USA.

Buon anno a chi invia petali o scrive lettere anche senza spedirle:
Un’amica ha chiesto un giorno a caso: ‘dov’è finito il romanticismo?‘ e forse è una buona domanda ma credo non sia finito, anche se è in crisi, oppure forse è finito nei film e nei libri o nei piccoli gesti invisibili.

Buon anno ai miei piccoli eroi del 2016:
a Nigel Farage che prima spara balle assurde per spingere la Brexit e una volta vinto, si dimette. TRUE winner, vera luce nei momenti difficili;
al tizio che aperto il sito fasullo del tour dei Daft Punk. Questa cosa mi ha permesso due pensierini sull’andare ai concerti che sono diventati righe di uno dei tanti mezzi post che son rimasti a marcire come foglie autunnali nelle bozze, per poi divenire un’idea per un racconto lungo, molto lungo, che chissà;
a mia sorella, che comunque combatte.

Buon anno a chi sogna:
di scappare, l’amore, la felicità, elezioni, meno traffico, più grammatica, meno caps lock, meno carne, limoni, una vita al mare, più verità, più utopia, un divano enorme, un piccolo abbraccio, feste private, danze proibite e potrei continuare ore. costa nulla, fa bene.
(anche se l’altra sera mi hanno detto che ci sono posti così pieni di italiani che ormai ‘la piadina nella località estera’ non basta più, urge pensiero più complesso, più organizzato)

Buon anno alle mie squadre, buon anno alle signore in giro, ai guaglioni, a chi smette di fumare e buon anno a chi passa da sto blogghetto che è come me, un po’ stanco, ma sempre qua.

 

 

Un voto, un perché

3fotoCon questo post provo a spiegare perché voterò per la lista ‘Contini sindaco’ alle elezioni amministrative di domenica 5 giugno.
Lo conosco da quando ho sei anni. E’, penso lui sarà d’accordo, uno dei miei migliori amici. Spesso siamo in disaccordo su tante cose, dal calcio, alla politica ad altro, ma non importa, anche se lui, pensa te, non beve la birra. So che se dovessi avere grossi problemi, sarebbe il primo, massimo il secondo a cui chiedere un parere, una mano, un consiglio, un aiuto.

Quando mi ha parlato mesi fa per la prima volta della sua idea di candidarsi, subito mi sono stupito, ma poi, ascoltando le sue ragioni, gli ho detto ‘Sai dove ti infili, vero? Ma vedo che lo vuoi fare, quindi fallo’.
Perché conoscendolo, appunto, gliel’ho letto negli occhi che aveva dubbi, ma nel profondo era già convinto di buttarsi in un’avventura sconosciuta.
Non è vero che bisogna avere esperienza politica per entrare in politica, altrimenti non ci sarebbe ricambio, altrimenti una cosa come il M5S non esisterebbe. E’ vero che ci sono persone così false che dividono i buoni dai cattivi soltanto perché hanno una idea politica diversa dalla loro. O la cambiano. Gente che dopo che la mia faccia è apparsa su un manifesto elettorale per la campagna di Alberto, fatica a salutarmi. Gente ridicola e risibile.
Perché sarà la prima volta che voto un partito che non aleggia nel campo del centro sinistra. Nonostante le mie convinzioni politiche e sociali non siano cambiate, penso che sia giusto provare a cambiare.
Non ho niente di particolare contro le altre liste, conosco qualche candidato, saluto Giorgio e se capita faccio due chiacchiere con lui sul basket e non penso affatto ci siano persone disoneste nelle altre liste (scusate grillini, di voi ne conosco giusto un paio ma il ragionamento non cambia).
Quello che mi piacerebbe vedere per il paese dove abito è un cambiamento e mi sembra giusto, conoscendo benissimo la persona, dare il mio voto e la mia chance a lui. Non solo perché lo ritengo una persona in gamba, sveglia, tenace, preparata dal punto di vista economico che una laurea e vent’anni di esperienza manageriale credo possano aiutare nella gestione finanziaria del paese, anche se, a differenza di gente che sostiene questo, il Comune non è un’azienda per motivi ovvi che vi risparmio.

Lo voto perché mi sembra che abbia una visione nuova per il paese che, secondo me, ha bisogno di una scossa. Certo, non sarà facile per tanti motivi. La gente digerisce a fatica i cambiamenti, i soldi delle casse comunali sono un problema e il resto mettetelo voi.
Ci tenevo a scriverlo, avere un blog serve anche a questo. A proposito Alberto, porto male eh. Di solito chi voto io non vince. E’ proprio storia, si può cercare qua sopra. Però pazienza.
Questo è il mio voto, spero mi seguano in tanti. Poi, il 6 giugno avremo comunque un nuovo sindaco e una nuova opposizione. Farò comunque il tifo per tutti, perché siamo tutti sotto la Rocchetta, sperando che questo paese possa migliorare.

P.s.: ho un sassolino in una scarpa, lo appoggio qua: la gente che ha una tastiera non è che diventi credibile solo perché la sa usare, spesso male.

cose da fare questo weekend (veloci come il vento)

vcvAl mare è forse troppo presto per andare, in montagna ormai c’è troppo caldo (credo) quindi questo weekend saremo più o meno tutti a casa.
Cosa si può fare in un weekend di metà aprile? Secondo me, se vi fidate, almeno due cose, oltre a una bella passeggiata all’aria aperta, sole permettendo.
La prima è andare al cinema. E’ uscito da una settimana un altro film che si infila come un bolide nella ‘new renaissance’ del cinema italiano. Almeno speriamo si possa chiamare pomposamente così.
E’ il terzo bel film tricolore che vedo nel 2016. Bello eh, al netto di qualche appunto da rompiballe che non metto qua per fare prima, ma bello di quei film che esci contento dopo aver fatto il tifo, coinvolgente, con attori bravi, frasi giuste, direzione sicura. Una storia di corse in macchina (mo peinsa te, vacca boia, con bonus di dialetto emiliano per titillare il campanilismo) con le corse ben girate (e io mi annoio in un amen a vedere sport con le ruote quindi, ben fatto) e con un clamoroso Stefano Accorsi che si porta a casa tre quarti di film con il suo tossico che ti piace amare che arriva in soccorso della sorella, giovane e amante della velocità. Andatelo a vedere.

La seconda cosa è spendere dieci minuti per andare a votare il referendum, tremendamente ed erroneamente definito ‘sulle trivelle’. Perché come dice qua le trivelle non c’entrano, il voto riguarda le concessioni sulle piattaforme esistenti e c’è già la legge che blocca la costruzione di future piattaforme. Quindi, la campagna che si basa sullo slogan, ‘salviamo i nostri mari‘, è una bufala spudorata. Poi, se approfondisci un attimo, le ragioni di entrambi gli schieramenti quasi si elidono, anche se il tema è complesso, molto tecnico e riguarda una percentuale piuttosto bassa (3%, a memoria) del fabbisogno energetico nazionale e il voto soprattutto non garantisce alcuno scenario futuro. Certo, solo gli azionisti della Shell, per dire, non vogliono energia pulita ma c’è il caso che per portare quel % di fabbisogno qualche petroliera (ben più pericolosa e inquinante di una piattaforma che estrae metano) gironzolerà per l’Adriatico e sicuramente se il ‘Sì’ raggiunge il quorum, non è che il giorno dopo spuntano centrali eoliche da tutti i cantoni. In giro per la rete trovate molti pezzi che trattano la questione che è diventata più di politica generale che ‘di merito’. Nel mio minuscolo, posso dire che non ho ancora deciso come votare, però di sicuro andrò.
Quando ero giovane e idealista l’istituto del referendum mi piaceva molto. Poi ha perso forza azzoppato da politici che invitavano ad andare al mare e dall’abuso che ne è stato fatto. Sarebbe ora tornasse ad essere uno strumento importante.
Inoltre, soprattutto, andrò perché un governo che invita all’astensione per me compie un atto di lesa maestà nei confronti del principio che un governo dovrebbe avere sempre, garantire e sostenere la democrazia e i principi civici correlati ad essa.
Quindi, anche se ho imparato in questi giorni che non è affatto vero che votare sì = no al petrolio = più energia verde, andrò per alzare il quorum e per dire ‘oh, sostenere l’astensionismo, non va bene eh’.
Contorto, probabile. Quindi, un filo di idealismo mi è rimasto e poi, quando questo weekend sarà finito, resterà la speranza di non sentire politici che dicono ‘andate al mare’ quando la gente ha l’opportunità di informarsi un minimo sulle cose e la speranza bis che questo nuovo vento che spira nelle produzioni di celluloide pulita italica, soffi forte.
Buon weekend.

 

l’odio, spiegato ai vostri figli (una domanda)

2015-11-gde-image-attentatsTutti noi ricordiamo esattamente dov’eravamo l’undici settembre 2001 mentre il mondo cambiava per sempre. Tutti tranne i vostri figli. Vostri perché io non ne ho avuti.
Dopo l’orribile serie di attentati di venerdì sera, ho letto molte invettive sui musulmani e l’islam tutto da parte di gente che ha figli.
Posto che il terrorismo è il male e che uccidere persone a caso in nome di un dio a un concerto rock è una cosa che va molto oltre la mia comprensione, volevo chiedervi una cosa che non capisco, una domanda che mi è rimbalzata in testa negli ultimi due giorni che in parte ho passato a leggere, a cercare di informarmi, a ricordarmi cos’è quest’Isis, a cercare un pezzo che dicesse tutto quello che andrebbe detto da chi comanda. (e alla fine l’ho trovato, è questo).
Ai vostri figli, che l’undici settembre erano un progetto, una speranza e che comunque non c’erano, cosa gli dite?
Veramente gli dite che TUTTI i musulmani sono cattivi e/o terroristi? Veramente gli dite che c’è una religione buona e una cattiva?
Veramente gli parlate di napalm da spargere su intere popolazioni, inclusi evidentemente i figli di quelle popolazioni, senza spiegargli gli effetti che il napalm fa?
In Francia un giornale per bambini ha pubblicato due pagine per spiegare loro quanto è accaduto. Il testo è in francese ma credo si capisca bene. ecco, avessi figli proverei a spiegargli le cose così come sono scritte nel link.
Mi posso anche stupire di qualche amico che armato di tastiera fa il vendicativo sui social, soprattutto FB che spesso si trasforma in un bar dei cattivi pensieri, però mi chiedo se uno di questi genitori, che hanno digitato odio verso l’islam intero senza alcuna distinzione, condiviso pensieri di sciacalli prestati alla politica, invocato vendette e punizioni epocali, si prende (me lo auguro), il tempo, la voglia, oserei la necessità di spiegare al figlio/a (diciamo dai cinque ai dodici anni?) cosa sta succedendo.
Quando mi chiedo come andrà il mondo (sì, a volte mi faccio domande enormi) a volte mi scopro cinico ma altrettante volte sono anche speranzoso e spesso recupero l’immagine di quattro bimbi che vanno a scuola insieme. Li vedo a volte quando parto per il lavoro. Vanno a piedi, uno è bianco, due hanno la pelle nera e uno è figlio di muslim.
Ridono, a volte son seri e freddolosi e van via sempre insieme.
Sono un ‘buonista’? questa magica parolina inventata da guerrafondai con ideali ferrei (sì, me lo ricordo benissimo il memoriale della Fallaci sul corrierone dopo gli attacchi del 9/11, mi lasciò stupito allora, figurati adesso, dopo aver visto cosa ha portato la ‘dottrina’ Bush dopo quegli attacchi). Comunque, sarò buonista, chissenefrega, però mi piace pensare che l’immagine di questi bambini di pelle e razza diversa, nati sicuramente in Italia, sia una immagine positiva per il  futuro.
Ecco, noi che abbiamo 35/45 anni abbiamo vissuto in una società diversa, oggi è tutto cambiato, la parola multietnica è nota a tutti no? Ecco, la mia domanda rimane, una domanda forse retorica di cui credo di sapere la risposta, ma poi mi dico, magari la risposta non la so, magari è diversa. Come spiegate ai vostri figli, l’odio di chi spara a un concerto? Instillando altro odio? Non avete paura di voi stessi? Non vi chiedete che mondo lasciamo? Io, come detto, figli non ne ho, quindi, riporrei le mie speranze per il futuro nei vostri e quindi, pensa, mi tocca scrivere un post…

(un altro post da leggere, ve lo lascio qua)

straight outta myself


(you’re now about to witness the strength of street knowledge)

socEcco, in questo momento, nell’88, stai ascoltando questa canzone che iniziava con un avvertimento che veniva dall’altra parte dell’oceano. Per te, che sei me nell’ormai lontano 88, quei primi versi aprivano una porta su una musica nuova, sulla tua personale idea del ‘sogno americano’.

Bé, te che sei me: sappi che dopo ventisette anni è uscito un film che parla di quel gruppo che scriveva rime per inseguire il proprio sogno, per lasciare un segno, una testimonianza. Un film che dice come quel sogno non era tanto un sogno, ma tu lo sapevi, perché sei sempre stato diligente nelle tue passioni. Traducevi i testi e cercavi sui giornali ogni notizia sull’America del ghetto che ascoltavi, ma in realtà non avresti mai avuto né l’attitude né la grinta per sopravviverci.

In questo momento nell’88, giri coi tuoi amichetti a fare un po’ i poser di provincia coi cappellini, i bomber delle università US, rubando gli stemmi della VW perché avete visto dei video (bravi, siete dei coglioni, ma quante risate incastrate nei ricordi, anni dopo).

Anche nel 2015 i ragazzini vanno nei cinema italiani con una parvenza di attitude e fanno del casino scimmiottando (male però, senza la minima conoscenza, ovvio, di un tempo troppo lontano) il gangsta rap. Me l’ha detto il gestore del cinema che ha avuto un problemino l’altra sera con ragazzotti che sognano troppo le gang ma son solo capaci di fare casino.

(Ah sì, spoiler, caro me dell’88. Il tuo sogno americano si è infranto sulla realtà e su una decisione sbagliata, rivista col senno di poi, ma non ti anticipo niente, lo vedrai coi tuoi occhi).

E il film com’è?

Niente di che. Adesso hai 45 anni e ti gasi ancora quando parte quella base che fa ‘ye-oh‘ e poi scatta Ice Cube e sputa ‘straight outta compton‘, proprio il pezzo che stai ascoltando tu adesso sul vinile, e 27 anni dopo fai ancora (e sempre) la ‘mossa’ di una mano che si abbassa di scatto a sottolineare la strength di un testo che al tempo capivi ma non vedevi.

A parte questo gasamento/madeleine adolescenziale, il film è un biopic musicale piuttosto standard (il cinema ti piacerà sempre, tranquillo) di ascesa e caduta, con una buona dose di musica e con appiccicati un po’ forzatamente dei ‘post-it’ su come i rapporti fra le minoranze e la polizia non siano così migliorati.

La situazione socio-politica che ti incuriosiva quando non c’era internet (oggi c’è questa cosa, ti piacerà molto, sallo) sembra molto cambiata ma è ancora problematica e quella canzone che ascolterai per nove mesi durante la naja pare essere ancora molto attuale in molti quartieri americani. Fuck tha police.

Magari mi aspettavo di più anche perché… non so se dirtelo, ma si può intuire: gli NWA erano troppo grossi, non potevano durare tanto, erano la miccia che innescò tanta robina che ascolterai. Molti eventi non te li posso raccontare perché per te nell’88 devono ancora accadere e comunque sì, come finisce un film non ti piacerà sentirtelo dire nemmeno oggi.

Al cinema eravamo in due in sala, figurati. I distributori han fatto questa pazzia di buttarlo fuori in programmazione normale mentre andava proiettato in lingua originale e in poche serate, dedicate a chi era interessato a una cosa del genere. Oh, ti annoio? Guarda che tu a diciotto anni spenderesti la tua paghetta settimanale per vedere un film del genere…

Oggi, nel 2015, vedrai il film, alla fine ti piacerà abbastanza, non ti rimarrà in testa per più di un paio di giorni, giusto il tempo di farti venire in mente di scrivere una lettera al te stesso diciottenne. Chissà se ne sarai contento. Man, that shit wasn’t so dope, but quite ok.

Ps.: ah, il rap non ti piacerà più così tanto, anzi diventerà una scelta molto secondaria nei tuoi ascolti, ma non ti preoccupare, il meglio te lo sei preso anche se tuttora c’è robina gusta.
Ps2.: ah bis, dopo il film andrai a prendere un caffé al bar e parlerai con ragazzi ventenni che non hanno la minima idea di chi sia Dr.Dre o che ci siano state rivolte a LA nei Novanta, ma staranno pianificando di andare a un festival di elettronica. Già, in questi anni l’elettronica funziona parecchio e tu… non te lo dico, basta spoiler, bro…

30 per AGO

augQualche anno fa lessi su un giornale che il vero capodanno è ferragosto. Ogni anno a ferragosto questa cosa mi torna in mente. Non riesco a decidere se sia una banalità, può essere sia vero.
E’ infatti in questo mese, dedicato a questa anomalia italica del ‘chiuso per ferie’, che si ‘stacca’, ci si ‘rilassa’, si viaggia (chi può), si postano foto in giro, eccetera. Probabilmente si fanno più veri propositi per il futuro sdraiati in una spiaggia, in fila per un traghetto, camminando in montagna che con il cappotto, andando a un cenone di capodanno.
Vi ho convinti di questa cosa? No? Pazienza.
Comunque questo post è su agosto ed è ‘nato’ una sera (ovviamente di agosto) chiacchierando con una gentile signora che sostiene che questo mese sia un po’ da odiare perché prima tutti che chiedono delle ferie poi dopo tutti che raccontano delle ferie, che a volte è un bel sentire ma come tutti i racconti bisogna saperli fare e sono pochi quelli che li sanno fare e forse ancora meno quelli davvero interessanti, quelli che riescono, dal loro personale buco della serratura, a catturare una vera attenzione che non sia solo l’informazione buona per la chiacchiera, ‘tizio è andato nel posto X, tizia è andata a Y’.
Forse, pensavo, a molte ‘narrazioni vacanziere’ manca un po’ di particolarità perché non si sottolineano le piccole cose, diverse da posto a posto o simili ma con le differenze negli occhi di chi guarda, appunto, dal buco della serratura di una vacanza di pochi giorni o di due settimane.
Quindi, agosto è un mese un po’ da odiare ma anche da apprezzare per le tante piccole cose che offre essendo comunque un mese dove si sta fuori, ci si muove oppure si sta fermi, magari, come si dice, con la testa più libera (ah, le benedette ferie).

Perciò, ecco trenta mie piccole cose belle di agosto, una al giorno, come una medicina, anche se il mese non è finito, e il giorno che manca è il giorno in cui il mese, che può essere bastardo, in silenzio, presenta quel conto fatto di malinconia e rimpianti, dove si piange un po’ o si è molto tristi perché anche ad agosto non è che si può sempre stare allegri, eh.

Via:

1. Pedalare in bicicletta mentre il sole spacca l’asfalto e brucia la pelle anche attraverso la maglietta;
2. Capire chi è davvero contento di andare in ferie e chi invece è costretto ad andarci;
3. Un mojito ben fatto con i cubetti di ghiaccio interi, la menta appoggiata, lo zucchero obbligatoriamente di canna;
4. Gli abiti lunghi e leggeri delle donne che tutti questi scosciamenti e ammiccamenti in favore di micro camera fanno perdere un po’ di fantasia;
5. Il rumore sussurato della marea di notte;
6. Uscire con una persona adorabile che si vede solo ad agosto, causa impegni vari, e dopo pochi secondi fra due sbuffate di sigaretta e due cancheri per il caldone, recuperare una perfetta sintonia;
7. Leggere del calcio mercato bevendo una birra gelata;
8. Svegliarsi presto la mattina, prendere un caffè con il paese ancora addormentato, rubare l’unico momento fresco del giorno;
9. La stanchezza negli occhi dei lavoratori alla sera che sognano una doccia fredda;
10. I visi corrucciati delle ragazze, appena sveglie, dopo essersi addormentate al sole, su lettini, scogli, prati, che poi diventano un sorriso che accende ancora di più il giorno;
11. Passeggiare sotto ai portici all’ora di pranzo calcolando l’umidità, percependo il tempo che sembra immobile;
12. Un calice di vino sopra un tavolo, riparato dagli alberi, per festeggiare la chiusura dell’ufficio;
13. I sandali delle donne, sottili ed eleganti, impreziositi da pietre, fiori, piccoli lacci;
14. Il rumore delle posate che danno il ritmo alle chiacchiere sparse in una piazza accaldata;
15. Le corde pizzicate del contrabbasso, le spazzole leggere, il tocco di pianoforte in un concerto in un cortile;
16. I grilli dietro casa mia in una notte insonne a decifrarne la cantilena, il ritmo, le note, la sinfonia gracchiata;
17. Guardare le effusioni all’aperto degli innamorati, senza paura di essere nudi di fronte al sole e agli occhi di chi li guarda;
18. Incantarsi a guardare la linea dell’orizzonte al mare, come guardare nel futuro (scusate, in montagna non ci vado, presumo ci sia anche lì la linea dell’orizzonte…) ;
19. Guardare la luna piena, rischiare di parlarle un po’;
20. La luce che filtra dalla finestra aperta, sono le sei, girarsi nel letto per un’altra ora di sonno;
21. Le chitarre fulminanti, la batteria che pesta come i piedi sull’asfalto di uno spiazzo nei concerti all’aperto;
22. I fuochi d’artificio, gli occhi pieni di stupore anche se il cinismo di undici mesi prova a nasconderlo;
23. Le feste di paese col liscio, la coda per il cibo, gli odorazzi di fritto, i sorrisi e la fatica dietro ai banconi;
24. Una camminata ai bordi di un fiume, a specchiarsi nei balletti che i riflessi del sole regalano all’acqua;
25. Gente folle che gioca a tennis alle due del pomeriggio, le magliette incollate come una seconda pelle;
26. Macchiarsi il vestito mangiando un cono con troppo gelato sopra;
27. Una canzoncina con una melodia stupida che risuona in testa camminando sulla spiaggia;
28. Un giorno di binge watching con finestre e tende chiuse, come fosse novembre;
29. Leggere al sole, le pagine che si bagnano di sudore;
30. Fumare una sigaretta guardando un tramonto: domani è settembre, chissà se l’inverno sarà lungo. Intanto, agosto non è finito e il tramonto è bello.

(foto: via, snoopygrams)