Cinque giorni a Londra. Zero gocce di pioggia prese. Preso in compenso un maglione di lana spessa, torcigliosa e hipster. Ventiquattro stazioni del Tube in cui ci si è fermati. Bevuto del classico Earl Grey, cinque pinte inglesi ma anche due Peroni e soprattutto succhi d’arancia freshly squeezed buonissimi e da berne galloni.
Londra è bellissima e i miei polpacci urlano ancora di chilometri macinati. C’ero già stato tanti anni fa. Dicono sia cambiata, credo sia vero.
Andando verso la cittá ci sono sobborghi che dal sedile del treno sembrano essere agglomerati di case tutte uguali coi tetti spioventi e color del carbone avvolti in una macchia verde di grossi alberi.
Il primo panorama si fonde col viso riflesso sul vetro del treno di una giovane rossa di capelli simile alla protagonista del ‘petalo cremisi‘ , fuori il cielo è classicamente grigio ma non piove.
C’è fresco nel quartiere, con chiese imponenti che si affacciano sulle strade e la squadra di calcetto fuori dal pub col gallone ancora in tiro, già una pinta in mano, i parastinchi e una felpa talmente leggera da risultare ridicola per il nostro freddoloso DNA.
E poi.
Londra è tutto quello che avete già letto, soprattutto è come tutti i posti dove si posano gli occhi provinciali (*) di uno come me.
Ci vive un’amica, mi ha portato a mangiare cucina ‘thai’ super buona e a un concerto strepitoso.
E’ una briciola di stupore dietro ogni angolo, dove il cielo fa da trait-d’union fra vicoli da polveroso romanzo vittoriano e scintillanti grattacieli che ospitano un mondo contro cui un altro mondo protesta facendo chiudere la cattedrale che volevo tanto vedere.
L’altra cattedrale, quella monarchicamente famosa, è invece sempre aperta. Quasi come la metropolitana, vera gioia per dubbi di percorso all’ultimo respiro, pubblicità di teatri (segnato, prossima volta) e pubblicità video che non dovrebbero stupire all’epoca in cui tutti – quassù, davvero tutti – sono in ‘mobile‘.
Panorami di serialità ‘brit‘ escono da ricordi di visioni notturne e si confondono con la realtà come una chiesa in cui sicuramente c’è un ‘Rev.‘, una strada fra ‘Upstairs‘ e ‘Downton”, una banda di ‘Misfits‘ appoggiati a un muro e ‘Sherlock‘ che torna ad uscire di corsa da un pub per inseguire un sospetto.
E poi.
I parchi con l’erba tagliata al millimetro, respiro per viandanti stanchi. Le cancellate maestose e i negozietti. Ragazzi allegri, moda e stile che tracima da ogni posa e locale, i look curati all’incrocio tra il preppy, il trasandato e il particolare intellettualoide (l’occhialone nero, la riga da una parte, la stringata college… The Eighties are back – for those who weren’t still born then…) che non manca mai. Calzoni con risvolti, camicine, canotte fuori stagione e FlipFlop vs. Ugg, in un inizio di autunno che per l’inglese medio è (quasi) ancora estate.
Sulle vie del commercio non si entra nei negozi ma si cammina naso all’insù, si guardano i palazzi e le luci. Poi si gira ancora. Ci sono gallerie da esplorare con occhi scintillanti di meraviglia per dipinti e manoscritti conservati in luoghi pieni di storia e di un rispetto per la cultura a cui non siamo molto abituati.
E poi. Ancora su e giù decifrando per gioco occhi di mille razze e distruggersi i piedi quanto più possibile, consumando le scarpe a caccia di bellezze e particolari che si trovano quasi ovunque. Sono dietro ogni angolo, di fianco ogni casa. Basta coglierli in un lampo di grazia che sia un viso stanco riflesso in un vetro o il sorriso gentile e imbarazzato di una cameriera pallida che per poco non ti sbatte la porta contro e poi dice in un sussurro rotondamente accentato ‘Sorry‘.
Londra è bellissima, ma l’ho già detto.
(*) il riferimento è al titolo del post, una frase che è stata un po’ la gag tormentone della vacanza ispirata dal gracchiare dell’avviso a ogni uscita della metro. Mentre Farneda (respect) è un posticino sulle colline, in provincia di RE, naturalmente agli antipodi con la ‘city’.
Si ringrazia per la ‘sezione style’ del post, e non solo, la sorella compagna di viaggio.