Instagrammatica, 2011

Casa, lontano. L’ispirazione, la memoria, il b/n, certe sere. Cinema del paesello, con l’orario sballato, il velluto pesante, i film di cassetta e il bar che a volte è chiuso perchè il gestore sta facendo partire il rullo. La gatta, riderone. Una sedia per ogni anziano. Modifiche al parco, accettabili. Auto, scatto. Verde mattutino di soliti percorsi. Gran donna, gran cuoca, viceversa. Uova di altri paesi, rotte con sorriso sdentato. Birra e bambini (non mescolare). Luci notturne per piccoli sogni di sport. Esterno giorno. E…Stop! (che giornata, my director). “E’ la tua prima volta, fratello?” “Sì” “Guarda bene, ascolta bene”. Panorami all’orario di chiusura. London, finally. A walk in the park. What a day. Il concerto dell’anno. Ciao posto, ciao amica, a presto. Solitudini splendide su bancone di legno vetro parole. Incontri notturni. E’ presto, la domenica. Drum Solo, in maiuscolo. La vista, dallo sgabello. Erano anni che aspettavo questo momento, merda. Loghi di passione. Laggiù, dopo la nebbia, fanno musicona. Posto palco e post dal palco. La gatta, riderone. Attentati agli organi interni commessi con scelleratezza. Piccoli tecnologici prosperano. Rhum e supporto, simboli e ricordi. Copriti, che fuori è freddo. “Troppe volte in ‘sti posti eh st’anno”. Nuove abitudini mangerecce. I re del divanetto, jazz version. Musicanti che mandano in visibilio. Vecchie amicizie che ritornano. Passeggiando. Giorni di festa con intermezzo sportivo. 42, la risposta. Old rock, win. Dello scrivere, finalmente. Nuove birre splendono. I re del divanetto, replay con contrabbassista riccioluto. Tutti insieme anche se non appassionatamente. Awww. Apri gli occhi, è un giorno nuovo. La gatta, riderone. Mangiare bene. Mangiare troppo e bene. Kinda ‘Drive’. Oggi.

(oggi, è l’ultimo dell’anno. cinquantacinque foto su instagram, l’ennesimo, ma ottimo social network che ho scoperto dal settembre di quest’anno. cinquantacinque rapide madeleine in ordine cronologico da settembre a oggi.
e, buon 2012 a tutte le timeline e blogger che mi hanno accompagnato quassù e negli altri posti. che siano sempre buoni approdi)

le foto, su webstagram

2011, dischi dell’anno

(click, il bignami riepilogativo)

(poi mi sembra di non ricordare tanti dischi di quest’anno. poi mi metto lì e saltano fuori come bambini rimasti dietro all’albero in un nascondino lungo mesi. piccole memorie in musica, piccole storie fra me e me, scoperte in ritardo, band che sono come vecchi amici, voci che hanno parlato, blogger che influenzano gli ascolti, esperimenti arditi che diventano gioia per le orecchie, botte di energia, melodia come seta, brandelli e pennellate in musica fissati in un elenco che vale fino al prossimo giro ma che per ora sono dodici dischi e qualche appunto per una miscellanea di roba in un ordine misurato spannometricamente comparando numero di ascolti e amorazzi musicali, senza nessuna pretesa critica, un link per ogni disco per saperne di più, via)  

1. Bon Iver – “Bon Iver”
Io, fan totale, ma gran disco, gran conferma, bellissima trasferta londinese per vederne l’ottimo live. Uomo dell’anno. (‘videoalbum’)

2. Low – “C’Mon”
Fra brani spacca cuore e cerotti di carezze, una perla. Forse il disco che ho ascoltato di più. Contiene la canzone più bella dell’anno.

3. Real Estate – “Days”
Da qualche parte l’han definito ‘surf-pop romanticism’. Perfetto, abbinato a passeggiata ciondolante e sorrisino. (ascolta)

4. Girls – “Father Son Holy Ghost”
Un frullato gustoso di reminescenze dal passato. Questi scrivono belle canzoni con una facilità irrisoria. Alla terza prova, non è più per caso. (‘Honey Bunny’)

5. Colin Stetson – “New History Warfare Vol 2: Judges”
Un disco di sax solo. Boom. Inatteso, spaziale e sperimentale coi suoni circolari. Bellissimo, non per tutti. (lui, suona)

6. The War On Drugs – “Slave Ambient”
Classic rock non radiofonico, affogato in riverberi ‘dreamy’. Chitarre strascicate e mood ipnotico. Bravissimi. (‘Brothers’)

7. Crash of Rhinos – “Distals”
Una botta di genuina ‘pesantezza’ con le braccia al cielo e una grande batteria. Spacca. Nel mio anno, ci voleva. (bandcamp)

8. My Brightest Diamond – “All Things Will Unwind”
Quasi una scoperta per me. Una vocina splendida unisce il pop con gli strumenti classici in un tentativo raffinatissimo e riuscito di tentare nuove strade. Fascinoso. (official website)

9. The Field – “Looping State Of Mind”
Loop & cuore (questa l’ho rubata). Ascolto poca musica elettronica ma quando è fatta per arrivare, ci resta. Suggestivo. (rece+ascolti)

10. Fink – “Perfect Darkness”
Corde pizzicate, ritmi secchi. Terzo disco, ormai un classico. Mi stupisco di come non sia nelle top di chi conta. (live radio)

E poi due signore stupende che han fatto gran dischi, ancelle di questi suoni di fine stagione.
Feist “Metals” e Florence & The Machine “Ceremonials.
L’ammore, le chitarre, i tamburi, le danze, l’intimità e l’epica, il maglione di lana grossa e l’abito coi lustrini di due signore bellissime e bravissime, sempre più.

Altro: 

Fan service: Arctic MonkeysSuck it and see. La mia estate è stata questo disco e un viaggio in macchina a guardare il blu.
Danzare: Cut Copy – Zonoscope
Amici miei che han fatto dischi, sempre belli: Wilco, Radiohead, Beirut, Kate Bush.
Dischi usciti nel 2011 che ascolterò moltissimo nel 2012: The Black Keys, Wye Oak.

(grazie per l’immagine riepilogativa e super bella: sweetpotatopie)

Palco n.25 OR.1/D (Pt.IV, the Sonata Chapter)

Programma: tre esecuzioni che coprono un secolo di storia della sonata, forma con movimenti da grande (come la sinfonia) e numeri da camera, nel nostro caso uno strumento solista e uno a tastiera.

In due, sul palco: per me è la prima volta e loro sono violino e piano. Lei è una interprete nota e, dicono, in ascesa. Lui, il  compare alla tastiera. La solista indossa una specie di camicetta color senape senza colletto e con le maniche che le lasciano scoperte gli avambracci, sopra a una maglia viola e gonna nera, tutto plissè. Lui ha un classico completo nero con giacca ‘coreana‘. Lei ha un sorriso bellissimo e suona quasi sempre con espressione di solenne intensità, profonda concentrazione e trasporto passionale.
Muove il piede destro, le dita sinistre, la mano destra (quella dell’archetto). Ondeggia  a volte seguendo l’emozione che si dipana dalla partitura che segue sopra un leggìo. Suona uno Stradivari del millesettecento. Anche il pianista legge le note. Ha una, diciamo, assistente che se ne sta compita di fianco al maestro e gira le pagine dello spartito quando lui le fa un cenno. Bel mestiere.
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la ‘bella’ politica

‘Le idi di marzo’ (il titolo con lo spoiler dentro) è un solido film sulla politica statunitense. Campo democratico, primarie, voti sul filo di lana da arraffare per proseguire la campagna.
Quanto si è disposti a lasciare sul campo di battaglia, dietro le quinte di un set televisivo, in conversazioni private che nessuno deve conoscere o in rapporti mercificati coi giornalisti, per ottenere la vittoria? Quanta morale occorre contorcere, quanta etica calpestare, quanti principi personali violare, quanti intrallazzi si possono sopportare, quanti segreti si possono nascondere per ottenere il futuro e il potere, per sè stessi e per la nazione?
La politica è un circo è divertente è dura ed è pronta a prendere tutte le domande e buttarle nel cesso per un pugno di delegati. Ahinoi. E comunque dietro l’angolo, se va male, c’è sempre una consulenza ricca da arraffare. Insomma robetta vista più volte.
Un film di genere e il genere è quello, la politica coi sorrisi a favore di telecamera ed elettorato e i coltelli dentro alle giacche pronti ad affondare dove la carne e lo spirito son più deboli.
Mi è piaciuto molto perchè ci sguazzo in questi thriller political-psicologici dove il colpevole è, di solito, il più trafficone e il vincitore, bè…dipende. Inoltre questo film ha due attori di una figaggina sbalorditiva che girano per il set con bei vestiti e cravatte ottime portate con grandeur sexy quasi sempre slacciate e passo sicuro da manuale del vero fico.
Clooney (il candidato simil-Obama) funziona nella parte e dietro la macchina da presa tiene bene il conto dei ‘chiaro scuri’ visivi e morali e poi si affida alla figaggine supplementare dei suoi attori. Lui per primo, Ryan Gosling (l’addetto stampa) che è troppo bello e sufficientemente bravo per essere vero, Ewan Rachel Wood (la stagista) che io sono fan quindi non si tocca e due califfi del set (gli spin doctors) che con un ghigno e mezzo sorriso sprezzante prendono lo schermo e lo portano via. In più, la Marisa che è sempre ottima.
Bei dialoghi fra strategia politica e principi etici, un paio di strappetti di trama perdonabili e un finale potente.
Quando ci sono le prossime elezioni sullo schermo?

Ps.: complimenti alla distribuzione per aver lanciato questo film sotto Natale quando le sale sono militarmente occupate da robaccia italicayèyè.

win sciala win (o dei film natalizi)

Oggi escono i primi film ‘natalizi’. La classica cafonata cinepanettonata, il comico (per dire) che salta fuori solo a natale, il blockbuster americano con le esplosioni e con l’attore che non sopporto, il film impegnato con due bonazzi bravi e belli, lo spin-off in cartoon per i più piccoli (e per me). In tutti questi film però manca quello che dovrebbe essere il sale del film natalizio. Lo spirito natalizio. Film che hanno nella pellicola tentativi di bontà, buoni proponimenti, il cuore che batte, l’altruismo, la famiglia, il gesto che cambia le cose o le prova a cambiare.
Eppure, ci sono due film così in giro. Si assomigliano pure un po’. Sono ambedue piccoli, gradevoli, probabilmente innocui ma interessanti. Li ho visti qualche giorno fa e li promuovo entrambi. Perchè mi son sembrati onesti e per il ‘cuore’ che ci mettono.

Win Win‘ è l’ennesimo esempio di film americano indipendente (leggi, semplificando: Sundance) che racconta una piccola storia di disagio provinciale virandola in commedia con retrogusto amaro. In questo caso un avvocato in crisi economica e non solo incontra un ragazzino silenzioso, problematico, biondo e con talento per il wrestling. Cresceranno insieme. Si sfiora la melassa ma va bene così, incluso bonus di lezione di onestà morale. Molto natalizio. Paul Giamatti bravo come sempre ma tutto il cast funziona. Surplus: sui titoli di coda una canzone bellissima degli amati nazionali, qui insieme all’ottima Sharon

Poi c’è ‘Scialla‘. Son sempre molto critico verso i film italiani. E questo film pur presentando difetti comuni a molte commedie italiche, lo schematismo dei personaggi, l’eccessiva caratterizzazione geografica degli stessi, l’ho apprezzato per la questione dell’onestà e del cuore. Ragazzino asociale per scelta e stile incontra un inaspettato maestro di vita. Cresceranno insieme. Molto natalizio, bis. Il film è leggero ma ben scritto, gli attori funzionano e i difetti si perdonano. C’è anche una specie di ‘inside joke‘ sulla criminalità romana e la sua rappresentazione e un bel finale che vale mezzo punto in più. Poi, non ne so molto di adolescenti problematici, però magari potrebbero consegnare un dvd a ogni studente di certe scuole con la fascetta ‘Propedeutico per tentare crescita interiore‘.
Ecco, se in questo periodo volete un film che all’uscita vi faccia pensare ‘ah, è proprio Natale’, cercate una sala dove proiettano ancora questi film.

Palco n.25 OR.1/D (Pt.III, the South American Chapter)

Programma: “una pietra miliare della musica colta latino americana“, una suite per un balletto scritta da un compositore russo, una sinfonia ‘fantastica’ scritta da un francese.

Numero orchestrali: ne ho contati centodiciotto. Il giorno dopo ho letto da qualche parte centoventotto, facile che in quell’ammasso di sedie e leggii mi sia sbagliato. Comunque, un sacco di gente sul palco di un’ orchestra ‘particolare’ inserita in un sistema che non produce soltanto musica. Ci sono due arpe e pure, strano, anche una batteria là in fondo che mi chiedo a cosa serva. La risposta sul finale, come un thrilling.

Mood: l’avevo già ascoltata quest’orquesta, sapevo che erano bravi e potenti, una certa elettricità nell’aria tipica dell’evento, la voglia di farsi prendere e trasportare dai millemila violini.
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alla ricerca dell’età dell’oro

(quanto è bella la locandina ‘impressionista’ del film? assai, te lo dico io)
Woody Allen (no, è Owen Wilson che interpreta il regista ma è la stessa cosa ed è un bene) cammina per le strade di Parigi cercando ispirazione e trovando una macchina del tempo che lo porta a conoscere i suoi idoli personali.
Diventa un gioco citazionistico con riflessione sulle aspirazioni artistiche e consiglio esistenziale, tutti servito con un retrogusto di romanticheria e di malinconia per il passato che ti si appiccica addosso come una caramella mangiucchiata fra i denti.
Se poi ti piacciono i giochi e i salti ‘temporali’ ancora meglio. I viaggi nelle varie epoche sono l’arma vincente e il personale omaggio o contributo del regista alla materia, costruito con ottimi dialoghi rapidi e taglienti che si intrecciano con molte citazioni culturali e colte che a volte io me le son perse perchè poi sfido voi a sapere chi è Djuna Barnes.
Come in tutte le recenti opere di Allen il film è imballato di caratteristi eccellenti fra i quali spiccano l’ovviamente ‘pugnace’ Hemingway, un incredibile Dalì e il sempre ottimo Michael Sheen.
Fra i personaggi, menzione d’onore, naturalmente, a Parigi che forse ha stancato, ma anche no. In fondo l’amore romantico che sia vero, sognato o soltanto immaginato come un miraggio da cartolina è sempre pronto a fare capolino, lassù, sopra a qualunque ponte sur la Seine.
Un film leggerissimo, ma gustosissimo, servito con tocchi di classe e intelligenza a profusione, il che è un gran bene.
Unico difetto, il finale, un pochetto ‘tirato via‘ come si dice in gergo. Peccato veniale.
Da vedere.
(magari in versione originale che temo per i personaggi francesi, che doppiati avranno nella versione italiana quell’orribile erre moscia da ‘doppiamo un franscesè’ che a me, possessore di erre moscia, dà meganoia)