2019, di stelline #atthemovies

Come tutti gli anni anche questo 2019 termina con una bella ondata di classificone che sono sempre interessanti da leggere, soprattutto perché permettono di segnare pellicole per futuri recuperoni.
In molte di queste classifiche ci sono tre film che evidentemente sono piaciuti molto, a me un po’ meno.

Il primo è ‘Joker’ a cui ho dedicato l’ultimo post sul blog. Il giorno dopo la visione aprendo l’internet dei commenti ho visto decine di persone entusiaste e di inni al #filmdellavita. Sentendomi un po’ scemo sono tornato a vederlo per verificare se non avevo capito qualcosa. La seconda visione ha semplicemente confermato le mie sensazioni ossia un film discreto, a tratti buono, derivativo anni ’70, Joaquin bravo ma fisso in overacting (come si dice overacting in italiano? e comunque le prove le aveva fatte in questo film) non sta parabola messa in scena del mondo moderno, anzi, soprattutto il finale mi è sembrato abbastanza posticcio giusto per dare una patina di attualità socio politica a una storia molto più semplice e meno pretenziosa, perché alla fine, spesso, i sensi ai film li mette il pubblico. E questo, è un discorso un po’ più complesso anche se interessante, lo facciamo un’altra volta. Comunque ho messo tre stelline, ecco. 

Il secondo film è ‘The Irishman’. Visto un sabato sera che mi ero tenuto libere quelle comode tre orette e mezza sul divano (purtroppo non sono riuscito a vederlo al cinema, forse avrebbe cambiato il giudizio, anche questa è una bella discussione da fare su Netflix e la politica da divano, sulla fruibilità dei film, ma si fa una certa, andiamo avanti) e con tutto il rispetto e l’amore per Mr.Scorsese (che ha scritto film pazzeschi e uno dei pezzi più importanti di quest’anno sullo stato dell’arte cinematografara, a prescindere se si sia d’accordo con lui o meno, lo leggi qui) il film mi ha annoiato a lunghi tratti. Troppo lungo, troppo parlato e tutto già visto, oltre agli effetti sul lifting facciale (brutti e fastidiosi) di DeNiro. Il finale, di classe con la bellissima riflessione sulla morte, lo risolleva però mi è sembrato un omaggio fuori tempo massimo a un genere che lo stesso Scorsese aveva inventato. Leggendo le critiche dopo la visione mi son chiesto se per rispetto (certamente dovuto) in tanti che contano non hanno avuto il coraggio di dire ‘oh, noiosetto, eh‘. Comunque ho messo tre stelline ecco. 

Terzo film della serie ‘avere dubbi‘ è ‘The farewell’. Finita la visione apro il Letterboxd, ormai indispensabile guida e commento ai film, e mi trovo una pioggia di stelle e una carrellata di giudizi esaltanti. Il film parla dei gradi di separazione culturali fra la Cina e l’America, raccontando il ritorno a casa di una trentenne per un matrimonio fasullo organizzato come scusa per dare una specie di estremo saluto alla nonna ammalata, nonna tentua all’oscuro della malattia. La protagonista attraversa il film, girato in una palette di grigi, con un’espressione fissa tra l’annoiato e il dubbioso, incastrata in questo mondo di mezzo fra Oriente e Occidente, il retaggio familiare e il futuro in cerca di risposte. Tutto giusto se non che personalmente non mi sono né appassionato, né mi sono divertito (nonostante qualche gag sia apprezzabile) né mi sono commosso. Un film abbastanza monotono e pure un po’ mono tono. A questo ho dato due stelline e mezzo perché non ci siamo proprio amati o capiti, come due emisferi diversi, forse.

Già che ci sono due righe su un film a sorpresa e molto bello che ho visto giusto ieri sera.
‘Ritratto di una giovane donna in fiamme’ è la pellicola meno considerata nelle classifiche di questo fine anno. L’ho trovato un film magnifico, pittorico, sensuale, delicato ma potente nel raccontare la storia della passione fra la pittrice incaricata di fare un ritratto da mostrare al marito scelto per corrispondenza e la giovane donna, promessa sposa e soggetto del ritratto. Cinema d’essai, però anche gran cinema con due attrici perfette e un finale da ricordare.

Per finire questa carrellata: cinque film che ricorderò del 2019:
‘Dolor y Gloria’  perché è bellissimo e commoventissimo e forse è il mio film pref dell’anno insieme a ‘Parasite’ dove c’è della brillantezza e del senso profondo e la sequenza della stanza nascosta che ti spacca la faccia;
poi ‘Once upon a time in Hollywood’ perché in una stagione di tanti film, molti belli o piacevoli, altrettanti troppo lunghi, questo sarei rimasto altre due ore a guardare Brad Pitt scorrazzare guidando o la Margot guardare suoi film in una sala, quindi piedi nudi e via;
‘Booksmart’ perché adoro le commedie ben fatte e qua c’è tanta bravura;
e ‘Rocketman’ perché sono uscito dal cinema volando di gioia.
Bonus, un film del ’18 ma visto a gennaio ’19: ‘La favorita’, un film meraviglioso
.
Il mio ‘Letterboxd’ 2019 con le stelline di cui sopra e qualche commento è qua. E speriamo che anche il 2020 orti tanti film belloni bellò.

in fila al palazzetto

bgStare in fila è un’attività utile anche se non sembra. Si allena la pazienza e si fa antropologia – antropologia è la mia nuova parola preferita, praticamente il post lo scrivo solo per poterla scrivere ancora, a caso – restando in piedi con serenità, attendendo che la fila avanzi e ascoltando quello che la temuta, famigerata, antropologicamente fondamentale GENTE dice.
Le file a cui partecipo, solitamente per entrare in impianti sportivi, sono composte da una certa trasversalità sociale che, per comodità e hobby (com’era la cosa dello spettacolo che è guardare la gente che è gratis? Ok, quella cosa lì) si può decifrare dall’abbigliamento. Tute fashion e tute in acrilico, jeans anni novanta e jeans da vetrina, sneakers fake e tacco dieci, giacche a vento sponsorizzate da officine e Peuterey e così via.
Stanno riqualificando, ammodernando, il palazzetto di Reggio Emilia, ora circondato da un grande cantiere a cielo aperto, manna per umarells. Domenica si è disputata la prima partita di basket dopo l’inizio dei lavori di ampliamento e restyling. Fuori si è formata una fila discreta, una dodici, forse quindici minuti di coda per l’ingresso.
Roba da ridere per veri professionisti delle code, ma la fila notoriamente genera tensione fra molte persone.
L’approccio della maggior parte infatti si svolge antropologicamente in questo modo:
– arrivo al luogo dell’evento (parola orrenda, prima o poi scriverò un elenco delle parole che mi stimolano la repulsione lessicale) col sorriso e una certa fretta, anche se l’evento inizia dopo quaranta minuti;
– posizionamento in coda, però rallentando la velocità del passo;
– instant ‘TRUE ITALIAN Style 100%’ tentativo di sgamo per superare la massa di corpi, svicolando, cercando pertugi, volandoci sopra, qualunque cosa pur di non fare la fila;
– tentativo fallito a meno di essere maghi veri, l’altra sera ahimè non presenti;
– spegnimento del sorriso, sostituito da un broncio, accompagnato da domanda rivolta teoricamente allo sconosciuto vicino di coda, in realtà rivolta al DESTINO: ‘Perché c’è la fila?’;
– confronto col vicino forzato o con chi risponde alla domanda, elucubrando teorie, sparando illazioni, concludendo che nulla MAI funziona come dovrebbe, ovviamente senza sapere il perché si è in fila (dove sarebbe bello vigesse la regola del silenzio, tutti zitti, in attesa, ascoltando il tempo che passa, come una massa di peccatori diretti verso l’espiazione dei peccati, non verso uno spettacolo);
– esibirsi in una incredibile trasformazione, osservando i lavori in corso all’esterno, diventando in un’unica persona: architetto, esperto di viabilità, muratore, vigile e general manager di palazzetti moderni;
– esibirsi in gioia composta, quando si vede la meta, l’ingresso, per poi entrare in modalità ridanciana (‘e pensa se pioveva!’) che una signora con la piega del sabato pomeriggio condensa in un gioioso ‘Sono emozionata! Il nuovo palazzetto’.
(in realtà, il nuovo palazzetto, dentro, è identico a quello ‘vecchio’, ci hanno messo solo i seggiolini nuovi, per ora).

Per correttezza antropologica, nelle file si nota anche serenità, non solo astio e tuttologia, per esempio coppie di ragazzini che si sbaciucchiano, gente che guarda dei video, un padre che gasa il figlio probabilmente alla prima partita dal vivo, un vecchietto che sopporta stoico il mal di schiena, uno che scrive una bozza di post nelle note del cellulare, eccetera.
Da sottolineare un tizio che per correttezza di report chiamerò ‘l’avvocato’ perché un suo conoscente lo chiamava così. L’Avv. è stato il perno della discussione su ponteggi, scale e misteri delle file. Sapeva di tutto un po’, aveva letto di tutto un po’, indossava firme di successo, cosa che non c’entra, ma forse l’antropologia futura stabilirà un contatto fra un certo tipo di abbigliamento e il rompere i coglioni in fila.

 

Ps.: per estimatori dei miei post passati sulla piccionaia:
no, difficilmente ne leggerete ancora, ma volevo informarvi che ok, adesso in piccio ci sono i sedioli, non più il nudo cemento. I sedioli sono di plastica e hanno il poggia schiena. A me risultano piuttosto scomodi ma non faccio testo causa altezza, però mi sembra di stare sempre in posizione ‘falco che guarda le prede dall’alto’, inoltre il mio ginocchio sinistro risulta essere spesso a contatto con una vertebra del tipo davanti a me, subito avvertito del fatto che ’spiacente se ti punto il ginocchio, ma non saprei dove metterlo’. Il problema dei sedioli però è un altro. Come noto il microclima della piccionaia prevede una temperatura media di trenta gradi, senza il nudo cemento a rinfrescare e con il poggia schiena a trattenere il calore, sembra di essere in un guscio, cosi che la temperatura percepita si innalzi a sfiorare i trentatre gradi. Buono che nell’intervallo, sopra la piccionaia, vengano aperte le porte che danno sulle nuove scale esterne del palazzetto (sicuramente costruite con l’aiuto dell’avvocato/carpentiere) che permettono di rinfrescare vagamente la piccionaia.
Ps2.: per sportivi cestistici:
com’è la Grissin Bon di quest’anno? Nucleo italiano che gioca a memoria, Cervi che è molto migliorato dal suo anno avellinese, Aradori che fa il boss, Polonara che rischia di diventare ala di dominio, Della Valle sempre coi riccioli e la mano a rischio cannonate dall’arco lungo e gli stranieri nuovi che devono ancora inserirsi bene, ma paiono funzionali. A occhio, una squadra sempre da semifinale con la sigaretta e poi chissà.

 

 

 

Io, lo zapping e Prince

NYPRStamattina nei circa venti minuti di macchina per arrivare al lavoro ho fatto zapping selvaggio sulle frequenze radio, senza riuscire a trovarne una che passasse un pezzo di Prince Rogers Nelson.
Uno speaker prima ha parlato della triste notizia e poi hanno messo non ‘Let’s go crazy’ ma un pezzo di una di quelle urlatrici italiane. Sono inciampato in ‘Born to be alive’ pezzo vecchissimo e che mi è sembrato un momento di ironia in questa mia caccia a un piccolo tributo radiofonico a uno dei più grandi di sempre.
Mi sono pure mezzo anchilosato un dito a forza di premere ‘avanti’ alla ricerca della stazione giusta ma niente, zero brani, nemmeno un ‘Alphabet Street’.
Intorno a mezzogiorno ho fatto altri venti minuti di macchina, l’anchilosi era passata, riparte lo zapping, riparte il niente, manco un semplicissimo ‘Kiss’. Un impegno, altri quindici minuti e ancora niente, neppure una struggente ‘Purple Rain’ per limonare i ricordi di quando partiva quell’accordo di chitarra e si correva a cercare di baciare ragazzine a caso.
A metà pomeriggio, altro giretto e il nulla, neppure una danzereccia pre weekend ‘I would die for you’.
Poco fa, torno in macchina, stessa scena di zapping. Sento un andamento funky e dico ‘Ci siamo!’ e invece niente, Bruno Mars. Altri venti minuti e ancora nulla. Nemmeno sulle radio della Rai che insomma, un minimo ci si spera sempre, ma lo zero, men che mai la mia preferita canzone di Prince che è poi ‘Raspberry Beret’.
Forse son io che non sono in target, sicuramente le maledette coincidenze, errori di sincronizzazione, capirai eh se oggi le radio non hanno passato a nastro cento canzoni di TAFKAP, ma la somma fanno quasi ottanta minuti di rincorsa a una canzone di Prince e zero canzoni di Prince ascoltate. Forse un ‘Sign ‘O the times’? In compenso ho scoperto che c’è una radio che si chiama ‘Marilù’ e mi è spuntato fuori il rimorso per non esserlo andato a vedere una decina di anni fa. Chissà perché non andai poi, bah non ricordo.
‘Money don’t matter 2 night’ e le radio italiane, per quanto mi riguarda, non ti considerano.
Bella Prince, non sarai dimenticato.

 

venticinqueperduemilaquindici = cose di playlists

 

2015(a inizio anno mi sono accorto che non avevo più una gran voglia di scrivere un post per ogni film. Così mi sono messo a fare una playlist al mese, un riassunto di cose viste, lette, ascoltate. Per celebrare la fine dell’anno e il fatto che sono arrivato a farne dodici, la cosa non era affatto scontata, quella di dicembre arriverà, ma direi che sia ora di mettere un punto, quindi ecco qua un giga riassunto annuale.
venticinque cose dell’anno mixate che mi hanno fatto dire ‘WOW’, emozionato e che ricorderò nei prossimi mesi)

25. Floating Points, ‘Elaenia’, album.
L’elettronica che incontra il jazz e ci limona con una classe sopraffina, una delle pochissime vere sorprese di quest’anno dove ho ascoltato tanta musica bella ma disconi pochi. Ci sta e questo è uno di quelli. E ‘Silhouette’ è un pezzo straordinario.

24. Ant Man 
Il film Marvel che non mi aspettavo e che mi ha divertito tantissimo. Contiene la scena definitiva (spoiler, ma tanto è uscito mesi fa, è quella dove con lo scacciamosche fa fuori il rivale. Se finiva così, legend-wait for it-dary, ma va bene lo stesso)

23. Foo Fighters a Cesena
Perché è stato un caso, perché la faccenda del ‘Rockin’ 1000‘ è stata una cosa veramente bella e perché ricordo ogni momento di quella serata. (ciao, Andrea, sii buono nei commenti…)

22. Man Up
Perché il mondo ha bisogno di credere nel romanticismo, nel fato buono e io ho bisogno di ‘romantic comedy‘ fatte bene. Non è ancora uscito, che il pubblico italiano evidentemente non è pronto a certo humor (mica vero, eh).

21. Brad Mehldau, ’10 year solo live’, album
quattro cd oppure otto vinili per un torrente di note, variazioni, cover che esplodono in mille pezzi, team romance, un’orgia su tasti di grande bellezza. Necessario (poi, io sono super fan, magari faccio poco testo)

20. Donne con le chitarre
Innanzitutto perché sul palco son sempre il sì e sempre state troppo poche. Due dischi molto belli e stra ascoltati: Courtney Barnett è un’esordiente che ha fatto un disco divertente e gasante e le Sleater Kinney perché non tutte le reunion vengono per nuocere.

19. Anthony Doerr, ‘Tutta la luce che non vediamo’
Una ragazza cieca, un orfano appassionato di radio, la seconda guerra mondiale, essere dentro la storia con una bellissima e commovente storia. Premio Pulitzer, ma non importa. Leggetelo se non vi arrivano libri per Natale.

18. Tobias Jesso Jr, ‘Goon’, album
Perché uno così mancava, con le orecchie nel passato e il cuore nel presente e perché è arrivato nel momento perfetto (dai, Tobias vieni in Italia a suonare… e invece, nessuna data prevista…)

17. Kendrick Lamar, ‘To pimp a butterfly’, album
Sta dominando tutte le classifiche serie, disco grosso pieno di ottime canzoni e ambizioni. La rinascita del rap forse passa per questo ragazzo.

16. Sicario 
Sequenza d’apertura da ricordare e un film teso, avvincente e convincente, che quando mi sono alzato ho pensato ‘Oh, che roba’. Attori eccellenti con bonus della più bella del mondo.

15. CHVRCHES, ‘Every open eye’, album
disco ‘forever young‘, disco ‘ballare sotto la doccia rischiando la frattura multipla‘, disco ‘prendo i biglietti e me li vedo a Londra, poi invece compro una macchina e divento povero e quindi niente Londra‘.

14. Nickolas Butler, ‘Shotgun Lovesongs’
Libro bellissimo, in nome del padre la provincia americana, del figlio Bon Iver e dello spirito santo che mi ha incantato davanti a certe pagine, certi personaggi. Libro ‘rock’ dell’anno, fra l’altro.

13. Whiplash
Quando l’ho visto, prima che uscisse perché doppiato anche no, poi l’ho rivisto al cinema, tranquilli, bollivo dall’entusiasmo. Sarà perché avrei sempre voluto suonare quella musica, quando suonavo la batteria, ahimé non avevo talento né voglia di farmi sanguinare le mani. Filmone, che ricordo ancora bene e di cui ho strascoltato pure la colonna sonora.

12. The Bad Plus w/Joshua Redman, in concerto ad Albinea
Una villa nel cuore reggiano, una band nel cuore da anni, il piccolo sogno di avere concerti favolosi a mezz’ora di macchina, una serata perfetta, il momento musicale più ‘Oh, come fate ad essere così bravi, eh!?!‘ dell’anno (un aggancio di melodie con batteria e piano, una roba che non riesco a spiegare a parole e ovviamente non ho trovato alcun video)

11. Mattia Signorini, ‘Le fragili attese’
Perché sono pochi i libri in cui leggendo, mi sono fermato per prendere un fazzoletto, pochissimi. (link)

10. Kurt Vile ‘Pretty Pimpin’
La canzone che ho ascoltato di più in questo 2015.

09. Mr.Robot
La serie tv per nerd paranoici è bellissima, girata in un modo particolare, straniante, psico qualcosa e quasi ogni puntata finiva con ‘eh, vabbé, un’altra, ora‘. Binge-watching dell’anno. (e questo ragazzo è bravissimo)

08. Il momento sportivo del 2015
Una posizione extra playlists, me la concedo. La mia faccia tristissima, appena uscito dal palazzetto dopo la sconfitta in gara sette della finale playoff. Il bello di tifare le squadre della tua città, le tante emozioni, il perdere, ma è stato bellissimo, ci ho scritto pure un post.

07. Kamasi Washington, musicista dell’anno
Arriva un triplo disco con dentro il jazz, il funk, roba nera che fa luce. Un gigante (letteralmente) col sax. E non ho mai smesso di ascoltarlo. Concerto eccellente, pure.

06. Mad Men + Justified 
Premio ‘so long and thanks for all the fish‘ a due serie che han finito la loro corsa, lasciando un grande vuoto. La prima, un capolavoro, non inizio nemmeno, ci vorrebbero sette post, tante quante le stagioni di pubblicità, cigarettes & alcohol, classe, storie. La seconda, sulle orme di Elmore Leonard, il western moderno allo stato puro.

05. Jonathan Miles, ‘Scarti’
Avrei potuto fare copia incolla dai vari post ma pazienza. Scrissi: ‘Una scrittura ricca per 572 pagine di racconto corale, narrativa minima con sguardo ai massimi sistemi, in un libro ambizioso, potente, godibile, affascinante, emozionante.’ Un esempio di quanto mi è piaciuto, servito, leggere in quest’anno. Un esempio di gioia di leggere, di ‘quando arriva la pausa che devo andare avanti?’

04. Netflix
Era ora. Buoni ultimi o quasi, il futuro della tv (e della serialità, oserei) è approdato nel Belpaese. Molte delle serie da vedere sono loro e non solo perché sono loro. ‘Daredevil’, ‘Jessica Jones’, ‘Narcos’ (la lucha y la plata), ‘Unbreakable Kimmy Schmidt’, la imperdibile intelly-comedy ‘Master of None’, ‘OITNB’. E poi gli one man show dei comedians, filmetti da rivedere per caso, e insomma, c’è materiale e contentezza.

03. Mad Max, film dell’anno
Solo a ripensarci scatta il CAPS LOCK, MAMMA MIA CHE FILM CLAMOROSO. (ne ho scritto, MA CHE ROBA RAGA, DA USCIRE CON LE GAMBE CHE TREMANO E LA GIOIA NEGLI OCCHI!)

02. Daniele Rielli ‘Lascia stare la gallina’, libro dell’anno
Era settembre, sembra sia passato un sacco di tempo, o anche no, eppure, questo romanzo resta la cosa migliore letta quest’anno. Fossi stato bravo ve l’avrei consigliato prima, così avreste fatto un figurone con i regali. Come ho scritto (autocitarsi fa male, lo so, confido nel vostro perdono): ‘Eccolo, quindi, il grande romanzo italiano. Scritto da dio, divertente, intelligente, quasi perfetto. Un librone, davvero‘. Davvero. (link)

01. ‘Star Wars – The Force Awakens’ 
Perché l’ho aspettato per troppi anni un sequel degno, perché l’hype ha segnato metà di questi 365 giorni, perché è l’ultimo post che ho scritto, perché ‘may the force be with you‘ risuona ancora potente, perché una numero uno pop e grossa ci sta bene.

Ecco fatto, se la scrivo domani cambia qualche numero, ma siamo lì.
Altro, a caso: 
altre serie da vedere:
‘Rectify’ resta imprescindibile per gli amanti della serialità, ‘Last Man on Earth’ è stato il recupero migliore con rideroni incorporati, ‘Show me an hero’ premio alla sceneggiatura, ‘The Affair’ è sempre notevole.
altri dischi belli:
Ought, Alabama Shakes, The Weeknd, Jamie Woon, Martin Courtney, Jamie XX, The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die (la band con il nome più lungo di sempre che però gira da un mesetto in heavy rotation)
altri film da ricordare:
Inside Out, Ex Machina, Suburra, Dio esiste e vive a Bruxelles, Foxcatcher.

Clicca forte qua, dove trovi tutte, ma proprio tutte eh, le playlist, se vuoi leggerne di più.

Ci vediamo alle prossime playlist.
Bring it on, 2016!

macchina bere, paghi la nuova

 

la macchina del millennio
la macchina del millennio

Dopo due settimane di giri in giro per concessionarie e una settimana di profonda riflessione e comparazione, è andata. Ho comprato la macchina nuova. Era necessario. Un campanellino sotto forma di cigolii assortiti al mattino, mi ha suggerito che era ora, prima che la mia antologica ‘macchina del millennio’ diventasse troppo vecchiotta. A proposito, sei stata una macchina fantastica, fedele, comoda. (sì, certo, parlo con la mia macchina, voi no? Male).
Infinite mattine di abitudini stradali, mille ricordi di trasferte per concerti, mare, stadi, gente passata sui sedili, prove speciali, momenti illegali e insomma mi sto già commuovendo che lasciarla sarà difficile perché, non c’è nulla da fare, lasciamo un pezzetto di noi negli oggetti che ci accompagnano e so già che domattina le lancerò uno sguardo carico di grazie e rimpianto. Ci vorrebbe una musica romance di sottofondo per il momento dell’addio, invece ci sarà soltanto il rumore del traffico, peccato, o forse azzeccato. Ma anche le macchine vogliono lasciate andare, no? Quindi, dopo tredici anni, sono entrato in una concessionaria.

Stando ai luoghi comuni e alle frasi fatte, gli ‘uomini’ dovrebbero quantomeno ‘saperne’ riguardo alle macchine. Quindi, mi ritengo un uomo atipico. Faccio un esempio: cos’è una cinghia di distribuzione? Mumble mumble.
Ho una vaga idea dell’utilizzo di questa cosa misteriosa che sta nel motore di una macchina, ma non so manco spiegartelo bene e assolutamente non ho idea di dove stia. Ci sono state mie domande fatte ai concessionari di auto che hanno trovato un’espressione più o meno lunga nei loro occhi che equivaleva a un ‘ma stai scherzando?’ e ci sono state domande fattemi dai concessionari, che hanno trovato un momento di vuoto pneumatico nei miei occhi. A tratti sembravamo persone di due pianeti diversi.

A parte la necessaria comodità per un tizio alto come me, è stato faticoso destreggiarsi nel dedalo di proposte, numeri, percentuali, TAEG , opzioni (ma lo sapete che l’accendisigari per molte case automobilistiche è diventato un’optional? a me questa cosa ha fatto riderissimo), finanziamenti, bonus e sticazzi.
La mia nuova macchina ha questa denominazione. 87J-E3A Al A – Energy R-Link dCi 90cv EDC, una sequenza alfanumerica che sembra adatta al codice di lancio di un bomba nucleare.
Di macchine belle in giro ce ne sono un sacco, l’offerta è troppa, anche se manca sempre, in Italia, paese di allenatori di calcio, esperti di immigrazione e abili guidatori (eh, come no), il pieno appoggio al cambio automatico. Ecco, uno dei motivi per cui ho scelto questa è stato proprio il cambio. Troppo comodo in questo tratto fra la via Emilia e il west dove i mezzi pubblici sono un problema, c’è un traffico mattissimo fra camion, furgoni e rotonde e la macchina è necessaria quanto un cavallo per un cowboy nel far west.
E insomma, cambio automatico e via, domani, avrò una macchina nuova. Così.

Inoltre,  volevo spendere due parole sui concessionari.
Noto branco di lavoratori appartenenti alla macro categoria dei venditori – quindi un po’ tutti ‘LUP.MANN.’ (op.cit.) – ce ne sono di bravi e di meno bravi, ovviamente, dove i meno bravi, secondo me, credono di inquadrarti in trenta secondi. Forse meno.
Quasi tutti sono stati bravi, devo dirlo.
Il migliore forse quello che ha visto entrare me nel suo salone iper fashion dove all’ingresso c’era la macchina usata nell’ultimo ‘M:I5’ e mi ha trattato con la stessa galanteria e piaggeria che presumo riservi alle MILF annoiate che cambiano Suv ogni sei mesi pagandolo in contanti o a ricchi imprenditori che regalano all’amante la Mini. Peccato, la tua macchina era bellissima ma troppo cara.
Invece, tu, caro il mio tizio della ‘marca giapponese con il simbolo che sembra una emoticon‘, hai perso un potenziale cliente dopo venti secondi in cui guardavi la mia ‘mise’ da pomeriggio agostano fatta di bermuda, maglietta di una band e espadrillas, come se fossi un poveraccio (e insomma, io lo sarei anche, ma tu non puoi permetterti) dall’alto della tua postura offensiva con le braccia conserte mollemente appoggiate contro la tua giacchetta che vuole essere giovanile e invece fa schifo e ti invecchia, perché le cose bisogna saperle portarle, e dal basso delle tue scarpe da venditore che si crede figo e invece è esteticamente brutto e con un tono di voce di superiorità che mi ha fatto prudere il palmo della destra. E dopo una settimana ne hai perso un altro perché a uno che conosco gli ho detto di non venire da te, ma di andare nella concessionaria della provincia reggiana dove i venditori della stessa marca sono molto più gentili.

Ps.: sì, macchina nuova, pago da bere, come diceva quella pubblicità antica. anzi, ho già iniziato…
Ps2.: ah, la nuova macchina, è questa.

Fotografie

 
• Una sottile coperta di raso sopra a mani giunte, ferme nell’eterno riposo, un rosario le circonda, manette per l’eternità. Un dipinto dietro, dozzinale, troppo grande. I bestemmiatori vanno in paradiso? Forse quelli che inventavano bestemmie creative, forse sì, per l’impegno.

• Nel buio di un vialetto punteggiato da luci rasoterra, la signora cammina piano. Le fa male una gamba, ma nasconde il lieve zoppicare con la lentezza e il portamento che la contraddistinguono. Sale le scale con eleganza, non muove un muscolo del viso nonostante il leggero dolore che ogni gradino le regala. Si stringe le spalle nel cappotto per il freddo e un pizzico di solitudine, l’aveva sentita anche dentro al taxi. Stringe anche i manici della borsa, dentro una bottiglia di vino e un fiore rosso che scaldano. Suona il campanello. Suona bene.

• Panchine ai lati del parco. Due ragazzi, rinchiusi nelle cuffie, musica in testa, dita veloci che armeggiano sullo schermo enorme. Cercano conforto e distrazione. Commentano brillanti su chat di amici. Nell’altra finestra distruggono foto, cestino cestino cestino. Ne lasciano qualcuna nella cartella, magari domani mancherà.

• Aveva preso carta e una penna nera. Aveva scritto la bozza di una mail ma voleva essere sicura di rivedere i graffi di rabbia sulle cancellature, i buchi di delusione sulle ‘i’, la pressione con cui aveva scritto certe parole. Ricopiare alla tastiera la rese triste.

• L’attesa, la colonna, le parole spezzate di una telefonata con la linea disturbata, i chilometri mangiati con ansia. Si fermò in uno di quei bar nascosti dietro ai distributori di benzina self service. Dentro, una barista coi baffi lo squadrò. I vecchi riuniti intorno al videopoker anziché intorno a carte vere diedero una spinta alla sua tristezza. Prese un caffé, uscì, accese una sigaretta. Quei posti costruiti immaginando un futuro migliore, di traffico e affari sull’asfalto e finiti per essere un set da film apocalittico, le case lontane che sembrano vuote, abbandonate. Pensò al futuro, non gli venne in mente nulla, in quel nulla, in mezzo al nulla.

• Una ragazza enorme. Un mulatto con  un ‘buongiorno’ squillante. Un senegalese che firma con un geroglifico. Un operaio esperto. Un ragazzino brufoloso agitato. Gente che entra negli uffici con fogli fotocopiati. Dati, esperienze, studi, hobby. E una speranza ormai bruciata da troppi ingressi in uffici.

• Nel martellamento quotidiano e incessante di instantanee ad uso e consumo social, c’era una foto, una foto sola, che non doveva vedere. Le rimase impressa subito, marchiandola. Provò a rimuoverla dalla retina, chiuse gli occhi per cancellare, riportare indietro di qualche secondo il giorno. Ctrlaltcanc. Niente. Rimase lì, quell’unica foto, incisa, a raschiarle budella, a scarnificare il suo battito.

• Sangue dello stesso sangue che non si incontra mai. Fluisce in arterie separate da anni di occasioni mancate, prende percorsi separati, nelle vene percorsi ormai obbligati che bloccano la circolazione teoricamente corretta. Sangue che inietta occhi, che guardano muri. Muri che non sanno, che non rispondono.

(fotografie, post sprecati, di un marzo in bilico fra un vento freddo e un sole che prova a scaldare) 

Copa da Cerveja #2 (il primo weekend, non si scorda mai)

foto 1
cerveja e mister mexicano

Venerdì, ore 18.
27 gradi a Natal, 4,8 gradi la Altmuehlthal beer, lager bavarese.
Il Messico ha bomber Dos Santos, che segna dos gol sul filo del fuorigioco e gli vengono annullati. Isso lo striscione ‘Instant replay‘, la FIFA sentirà fra vent’anni, pazienza.
Camerun con modulo corriamo a caso e speriamo, Messico più organizzato. Assou-Ekotto  grandissimo look con capello cespugliato e bella corsa, adesso chiamo Sabatini e glielo consiglio. Gli aperitivi volanti della clientela si mescolano con le domande sulla partita.
Secondo tempo, apriamone un’altra. Messico in vantaggio con tifosi che ridono sotto le maschere da Ray Mysterio e sombrero. Camerun non fa molto per l’X, fa invece molto caldo nel bar,  con mezza noia finisce 1-0.

foto 2
01,35 mondiali notturni = bene

ore 00,10
Niente Spagna-Olanda che ci sono, strano, altri impegni.
Si arriva al centro da Copa Da Cerveja. 
Il tempo di ordinare il caffè e il Cile raddoppia. Pare in controllo ma gli aussie si gasano, accorciano e ci gasano, tanto che scatta tutto uno stappamento di Ichnusa notturne. Giocatore del match, bomber Cahill, in cui riponiamo le nostre speranze. L’Australia non ce la fa, nonostante il nostro tifo. Mondiale di notte, spettacolo, si arriva alle due quasi in carrozza.
Ciro Ferrara al commento, non si può sentire. Dai, fate dei test prima di mandare gente che non sa stare dietro a un microfono ma ha un passato.

Continue reading “Copa da Cerveja #2 (il primo weekend, non si scorda mai)”

Grand Anderson Hotel

gbhCambiano i formati delle inquadrature, non cambia la certosina, maniacale, impressionante ricerca dell’inquadratura perfetta di Wes Anderson che in questo film raggiunge probabilmente l’apice di questa sua ricerca formale.
All’inizio sembra tutto lì, poi il film prende un corpo retrò, diventa un pastiche di altra epoca, con cameo di molti degli attori già approdati nei territori ‘andersoniani’, quasi fosse un lascito, il compendio di una carriera. Sicuramente non lo sarà, servono film di Anderson al mondo, non solo per i maledetti hipster, anche per le settantenni vestite con tailleur salmone che escono contente come noi dalla proiezione del venerdì sera.
Il film è delizioso, a tratti meraviglioso, divertente e raffinato non solo per palati cinefili, con un Ralph Fiennes smagliante, la scena della prigione che vale doppio, rendiamo grazie all’autore e c’è pure una buona dose di malinconia, come crema su un pasticcino perfetto che dona un bel sapore al tutto. Che è molto, tanto, che, quasi quasi, torno già a vederlo.
Imperdibile, davvero.

 

The Singles Collection (# 1)

(rubrica con cadenza irregolare, suggerimenti non richiesti di ascolti misti, cinque pezzi in heavy rotation da queste parti nelle ultime settimane)

How to Dress Well – Words I Don’t Remember
(elettriche carezze via synth, vocalizzi, ‘snap’ ‘snap’, il tizio fa R&B con suoni modernissimi e fragilissimi. dopo venti ascolti fai sempre ‘snap’. speriamo esca il nuovo album, ma non è certo, al limite recuperate il primo che male non fa. clic sul titolo per ascoltare il pezzo) 

Joan As A Police Woman – Holy City
(lei è piuttosto conosciuta ma questo è un clamoroso pezzone, prova a non muovere un muscolo, album in arrivo in questi giorni, merita sicuramente l’ascolto. clic sul titolo per ascoltare il pezzo)

Real Estate – April’s Song

(capita che arriva una canzone strumentale che ti dice proprio quello che vuoi sentirti dire ma non trovi le parole, se poi ha il titolo pure primaverile, cosa volere di più, non so. l’album dei ‘Real Estate’, è bello)

The War on Drugs – Red Eyes

(e allora, scappiamo no, sull’onda di canzoni tutte simili, tutte sognanti, in punta di plettro, di synth che stendono un tappeto su cui sedersi stanchi e andare, via, da qualche parte, dove non vergognarsi di ballare la giga. l’album sembra molto bello)

Avishai Cohen – Song for My Brother
(qua c’era un pezzo del nuovo di Beck, ma tanto chi è Beck lo sapete tutti e sì, il disco di Beck è buono, ma in questi ultimi giorni ho rimesso orecchio nelle influenze arabeggianti e sinuose, con un contrabbasso che vola e una sezione ritimica che ti saluta con la mano, dell’ultimo disco di Avisai Cohen. Jazz coi fiocchi facile all’ascolto, pieno di suggestioni, uscito qualche mese fa ma è giusto di pochi giorni la notizia della sua data estiva al ‘Locus festival‘ e quindi, sì)

 

suonala ancora, Solomon

12_Nei campi si librano canti intrisi di tristezza blues. Un canto che è l’unica forma di libertà concessa.
Schiavi appesi alla vita come a una fune pronta a spezzarsi, i piedi che arrancano nel fango, a fatica, per stare su, per non crollare, mentre tutto intorno la vita procede, tutto bene, triste e rassegnata, non è toccato a me. E via così, carichi di lavoro e conteggi del raccolto, in un girone infernale dove le vampate umorali dei padroni possono spazzare via tutto, mentre la schiena è rotta dal lavoro e il caldo della Louisiana liquefa ogni speranza.
12 anni schiavo’ è la storia di un uomo libero, un violinista con famiglia,  che viene rapito e messo in catene. E’ anche, giustamente, un film costruito per fare incetta di Oscar, dal piglio civile, agli attoroni intensi, ai momenti dove una bella fotografia ad orologeria induce a illusori squarci di speranza.
L’operazione è perfettamente riuscita, gli Oscar sono arrivati, fortunatamente anche il film è riuscito.
Preciso e duro nel mostrare, con una punta di sadismo, la spietatezza dell’incredibile logica schiavista, avallata da sacre scritture e rafforzata da frustate a profusione.
Da vedere, senza dubbi.