Benjamin…ronf ronf…Button

il-curioso-caso-di-benjamin-buttonLa storia tratta da un racconto di Francis Scott Fitzgerald, è nota ed è una mega metafora della vita, dello scorrere inesorabile del tempo, del tempo che manca, del tempo che vorremmo riavere indietro, yawn.
No, dai si scherza. (*)
Il protagonista nasce anziano e con le ossa rachitiche in un corpo da neonato e crescendo ringiovanisce nel fisico.
Il film è bello e sono uscito soddisfatto dal cinema, però, ripensandoci il giorno dopo, ha un grave difetto per un film che tratta argomento ambizioso e, penso io, debba ritenersi altrettanto ambizioso.
Seppur sia girato con perizia, supportato da una buona cifra stilistica e da valide interpretazioni, non riesce ad appassionare fino in fondo.
Nè alla storia, forse perchè risaputa o vagamente “telefonata”, nè al suo significato metaforico, probabilmente tanto triste quanto naturale e comunque talmente evidente ed esplicitato da non emozionare davvero durante il racconto.
Eppure il film non mi è dispiaciuto. E’ un buon film che però mi pare si dimentichi troppo in fretta, una pellicola di ottima fattura ma che non lascia tracce.

Ho apprezzato molto la prima parte costruita sullo stupore del personaggio alla scoperta del mondo e sul comunque forse troppo poco stupore del mondo stesso in relazione al personaggio. (**)
Non mi è piacuta la parte dell’ospedale. Espediente narrativo secondo me inutile, quasi da tagliare e lasciare il racconto così com’è, lineare, tanto non mi pare aggiunga molto alla storia se non un paio di rinforzi alla metafora di cui sopra.
Come sempre, ho sogghignato alle 3/4 scene da cosmopolitan o da tumblerin’ estremo per le fan di brad pitt, ma ci stanno e secondo me lui – che ho sempre apprezzato, lo giuro – le mette nel contratto, mentre cate blanchett è splendida come sempre, ma forse meno brava che in altre prove. I due amanti in molte scene sembrano troppo i fidanzatini di Peynet ma in modalità “celebrity cool”.
Invece l’altra storia d’amore del buon vecchioggiovane Benjamin mi è sembrata resa molto meglio, nei modi e nelle emozioni.
Mai parlerò male di David Fincher di cui ho amato ogni film. Qui si lascia guidare, direi forzatamente, dato il genere di film, dal classicismo della storia e non è un difetto, alcune immagini sono potenti e notevoli, però mi sarei aspettato qualcosina di più, uno sforzo di originalità maggiore soprattutto nella parte dell’ammore….ehmehm….suvvia, lì uno sforzo ci stava, anche se il film è uscito il giorno di Natale, bradpitt, botteghino, ok.
Comunque non ho parlato male di Fincher no ?

(*)  il titolo del post e questa sciocca battuta si riferiscono a questa gag di Jon Stewart.
(**) il momento in cui il capitano nota vagamente che Button è sempre più in forma si risolve con una gag sull’etilismo dello stesso capitano ?

Mocassini vs. Stringate

frostnixon-locandina-inglese1Servono script di ferro e attori di talento per riuscire nell’impresa di tenere incollati gli spettatori alle proprie poltrone, guardando uomini seduti in poltrona che parlano.
Non è semplice rendere interessante una serie tv come “In treatment“, due poltrone + dottore + paziente, a volte pazienti.
Non è semplice pensare alla trasposizione di un dramma teatrale su pellicola con due poltrone, intervistatore, intervistato.
Trattandosi di un film ci sono anche scene in esterni, per dire ovvietà, ma tenere l’attenzione giusta, l’interesse alto non è semplice, nonostante l’argomento sia conosciuto ai più, un pezzo di storia moderna. L’operazione riesce assai bene a Ron Howard che si fa perdonare “il codice davinci” (cine-pard dixit) mettendo in scena la sfida fra il presentatore dandy, superficialotto, a digiuno di politica ma assetato di successo e armato di sorriso smagliante e ciuffo importante e l’ex presidente Nixon, dimessosi dalla carica dopo lo scandalo Watergate (Wikipedia è di , eh).
Lo fa con una sceneggiatura ad orologeria che porta lo spettatore in una sorta di esplicitato, poichè le citazioni pugilistiche non mancano durante il film, incontro di boxe con le parole che sostituiscono i guantoni. Prima nello spogliatoio (l’albergo quartier generale di Frost, la villa del buen retiro di Nixon) durante la preparazione per la sfida e poi sul ring, davanti alle telecamere, per il faccia a faccia. Così l’attesa per il primo giorno è elevata mentre la tensione prima della cruciale ultima intervista è notevole quando la tragedia del re improvvisamente nudo esplode in una frase sbagliata.
La riuscita del film è assicurata da un cast strepitoso dove Frank Langella nel ruolo del presidente desideroso di riabilitare il suo nome, di sopraffare l’inesperto Frost in cerca di un lasciapassare gratuito per l’opinione pubblica, con surplus di cospicuo assegno, offre un impressionante lavoro di trasformismo accompagnato dal fidato e ottimo Kevin Bacon. All’angolo di Frost, i tre preparatori-consulenti dello sfidante, fra i quali spicca il sempre valido Sam Rockwell, sono eccelse spalle per l’altrettanto bravo Martin Sheen nei panni dell’intervistatore che diventa impresario di sè, barcamenandosi fra aspirazione personale, le difficoltà dell’impresa, il dovere di denuncia politica che l’intervista presuppone, i mocassini e una fidanzata da urlo.
Il film oltre a riproporre la famosa intervista, parla anche dell’uso della televisione per fini personali e di come un’immagine sullo schermo possa trasformarsi in sintesi estrema, sintetizzando ore e ore di conversazione in un fotogramma, parziale ma insieme totalizzante.
L’ultimo giorno dell’intervista è davvero un pezzo di bravura di alta scuola chiuso da uno sguardo pietoso verso il campione battuto, il re senza trono che comunque mantiene un contegno e una sorta di allure presidenziale anche durante la definitiva sconfitta.
Bonus, leggi gioia per gli occhi: il film contiene una dose di fascino notevole, poichè oltre ai già citati Bacon e Rockwell che si fanno un boccone di altri attori spesso citati alla voce “sexy”, c’è Rebecca Hall che è una stragnocca.

Purtroppo, non si può stare in silenzio.

Ho letto stamane che alcuni in rete chiedono il silenzio sulla vicenda Englaro dopo la morte della ragazza. Ho letto che un blogger importante ha scritto “Noi siamo i buoni: vediamo di dimostrarlo“.
A malincuore, con tutto il rispetto personale per il dolore della famiglia Englaro e con altrettanto rispetto per le opinioni altrui, non sono d’accordo perché su questo dramma privato infami politici senza vergogna spalleggiati da lugubri e medievali religiosi senza vergogna e senza quella cristiana pietà che dovrebbero rappresentare, stanno costruendo un castello di menzogne, opportunismi e ambiguità indegne e inaccettabili.
Ora, da questo minuscolo blog non si può alzare null’altro che un piccolo, risibile, esecrabile volendo, poichè scritto comodamente seduto davanti a uno schermo, grido di vergogna, ma non va dimenticato che questo caso potrebbe diventare lo spartiacque per chi crede in certi valori liberali (realmente liberali, non la “libertà” abusata e continuamente violata dalla privata necessità del premier e dei suoi lacchè) e per una visione della vita sociale e politica che si rispecchia in questi valori, se questo è ancora possibile.
Quei signori senza vergogna che ieri sera hanno attaccato il capo dello stato e gridato all’omicidio non staranno fermi, non staranno zitti ma continueranno a calpestare il ricordo di una persona, il dolore di una famiglia per inseguire i loro privati interessi, nascosti dietro a falsi ideali. Per questo non si può stare in silenzio, a malincuore, ma continuare a scrivere e a parlarne perché questa destra neo-prolife, non perderà occasione per sfruttare ancora più meschinamente questa triste vicenda e mettersi i guanti bianchi non va bene, pur sapendo che sarebbe la cosa giusta e nobile da fare, ma troppo spesso si è stati nobili non volendo sporcarsi le mani in nome di giusti ideali o per non abbassarsi al livello degli urlatori, pataccari e professionisti dell’insulto che circondano il boss.
Certo, quanto può essere utile un post, una foto, una dichiarazione nel nostro piccolo “pubblico” ? Probabilmente l’utilità può essere pari a zero, però non si può essere buoni e silenziosi davanti a questo scempio, a certe dichiarazioni, a questo sfruttamento di un fatto privato ad uso pubblico. Occorrerebbe una opposizione dura e incazzata che non c’è, un leader che non c’è e forse un miracolo, quindi queste righe servono a zero in ultima analisi. Però, essere buoni e silenziosi non credo possa essere utile.
Certo, utile a rispettare i sentimenti del signor Englaro di cui non riesco a immagine il senso di perdita che può provare. Al riguardo, ci vorrebbe un applauso simbolico, una calorosa stretta di mano, a quest’uomo che ha combattutto la sua battaglia, in prima persona e sempre a viso aperto, sempre spiegando il suo punto di vista, sempre disponibile al confronto e con una compostezza e un senso civico che quella squadraccia di facinorosi e falsi che ci governano si sognerebbe di possedere se potessero capire qual è il loro vero ruolo. Che dovrebbe essere quello di servire il popolo non le ambizioni di gloria e potere del loro capo.
Ci sono momenti in cui il silenzio è d’oro e questo sarebbe uno di quei momenti, ma ci sono valori che non sopportano il silenzio ma avrebbero bisogno di una voce forte a sostenerli.

Hopeless emptiness in Revolutionary Road.

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Revolutionary road” è un dramma che si svolge in gran parte in una bella casa situata proprio nella via del titolo dove una giovane coppia prova a vivere il sogno romantico, americano ma non solo, di essere vivi, felici, di bell’aspetto, di provata borghesità.
E’ un film molto teatrale con parecchie scene di dialoghi in interno “casa dei sogni“, dove i due si parlano, si confrontano, si cercano, trovandosi o meno, sognano una via di uscita, scontrandosi con le proprie diverse verità nascoste e dissotterrate o racchiuse nei dialoghi con lo specchio demente della realtà dei suburbs impersonificato nello straordinaro personaggio del figlio dell’affittuaria della coppia.
Una di queste scene è molto lunga, inizia con cinque persone sedute e la conversazione passa dalla banale convivialità del buon vicinato a giudizi non richiesti sulle scelte dei protagonisti. Qui, le parole lentamente quanto inesorabilmente si trasformano nei componenti di una granata e a ogni frase completata, l’ordigno cade pesantemente a terra deflagrando, lasciando buchi nel pavimento e nell’animo, squarci nelle pareti e nei ricordi, tracce di esplosivo sui vestiti e sotto pelle.
Le frasi esplodono con una potenza devastante, prima intorno al tavolo, poi in cucina, poi all’aperto e solo qui lasciano lo spazio a un silenzio doloroso sottolineato da dolenti note di pianoforte sui residui di un campo di battaglia distrutto dal combattimento di parole.
E una mattina a colazione, tutto cambia.
Ottimi gli attori con Kate Winslet che, se sta facendo man bassa di premi per la sua interpretazione in “The Reader“, allora quella (il film deve ancora usire) sarà l’interpetazione del millennio, perchè qui è notevole.
Leonardo Di Caprio si conferma ottimo e con la faccia giusta per rappresentare l’uomo/bambino che rincorre la donna volitiva cercandone il perdono, la comprensione, l’accettazione per la propria codardia.
Corre sempre quest’uomo e fatica assai a trovarsi, ma come fattomi notare, il mio punto di vista è sempre sbilanciato e “femminista” però non cambio idea.
Gli  uomini nel film, a parte la solita eccezione demente, sono stupidi bambini che rincorrono le sottane per ottenere ragione o per sputare in faccia torti o per rincorrere amori inestistenti creati ad arte per riempire vuoti non colmabili da abbracci stentati.
Immancabili e inevitabili per chi ha visto “Mad Men” le similitudini alla serie tv, come ambientazione, tematiche, quantità di sigarette fumate, uffici, cappelli e altro.
Nota criticona: poteva finire prima delle scene finali, che in fondo sono solo sottolineature accettabili ma con un sapore di spiegone, dell’inelluttabilità e ripetitività di molti meccanismi nella vita di relazione. Perchè tutti sembravano speciali e molti abbassano il volume per non sentire.
Un film bellissimo e che lascia il segno ben dopo la fine della visione.

Ps.: peccato non avere letto il libro e, per abitudine consolidata, non leggo i libri tratti dai film che ho visto, perché so che ne avrò un’immagine compromessa da quanto, appunto, visto sullo schermo. Magari vedrò di recuperare qualcos’altro di questo autore.

Got “Milk”.

milk-poster-sean-pennSono Harvey Milk e vi recluto tutti“.
Questa è la frase che Harvey Milk, primo politico dichiaratamente omossessuale eletto a una carica pubblica negli Stati Uniti, era solito pronunciare all’inizio dei suoi comizi.
Era il 1977, Reagan lottava per la nomination presidenziale nelle file repubblicane, mentre i gay del quartiere di Castro a San Francisco si raccoglievano intorno all’ascesa del loro “sindaco”.
Una frase che è lo slogan del film dedicato alla sua storia e alla sua carriera politica, opera naturalmente, e qui si rischia di cadere nella retorica più facile, che è un manifesto militante, liberale e progressista che ripercorre le difficoltà e le continue e caparbie lotte del protagonista e dei suoi fedeli assistenti/seguaci per il riconoscimento dei loro diritti civili contro l’ostracismo della polizia e il bigottismo religioso di vari esponenti politici. Un film che probabilmente, con un breve sguardo distorto dalle nostre ben meno nobili vicende, non può piacere a molti elettori del Pdl, in fondo.
Sean Penn è intenso e credibile nel ruolo, intorno a lui un cast perfetto diretto con mano sicura da Gus Van Sant che seppur costruendo un impianto “classico” e sicuramente agiografico nonchè probabilmente necessario in un film a stampo biografico, lascia la sua firma su ottime inquadrature, lampi di idee e momenti molto belli nonchè intensi. Per dirne un paio, la scena del fischietto e le scene delle “vetrate”.
Quella dove James Franco (applausi, miglior ruolo di sempre?) si specchia guardando in strada il suo amato attorniato dai sostenitori, ormai diventato personaggio troppo ingombrante per la loro vita privata, scena che inoltre mi ha fatto per un momento pensare che effettivamente ci sono uomini parecchio sexy in giro (fatto sottolineato da un “brrrr” prodotto dai fenormoni delle signore presenti in sala) e la scena finale che secondo me è stupenda, a partire dalla telefonata, oltre che commovente.
Ecco, “Milk” mi è parso essere un film che è sì un tributo ma sincero, appassionato, importante in tempi in cui certe libertà vengono messe in discussione da certe persone ma ripeto, cadere nella banalità retorica è un’attimo, soprattutto per chi, come me, ha sempre ardentemente tifato per i buoni nei film di impegno politico, forse perchè non ha mai avuto il fegato di essere parte di un impegno politico, ma questo diventa un’altro discorso.
E comunque mi sono proprio commosso come da copione, durante il finale, tanto da dovere prendere un paio di bei respironi nell’aria gelida all’uscita, prima di dire “Uh, che bel film”.
Difetti? Forse una scena in più per esplicitare il confronto fra Milk e l’ossessionato Dan White (sempre più film per Josh Brolin, grazie) magari ci stava. Inoltre, a tratti la caratterizzazione di qualche personaggio (l’amante di cui ora mi sfugge il nome, l’incontro con Clyve) è assai stereotipata.
Nel 1977 anche Bertrand Delanoe, venne eletto consigliere comunale a Parigi. Rivelò pubblicamente la sua omosessualità nel 1999. Oggi è il sindaco della capitale francese.