concerto al buio

FullSizeRenderRicordavo con esattezza il momento in cui avevo risposto: ‘Sì. Spero solo non sia troppo claustrofobico’. Emoticon, occhiolino.
Evidentemente l’uomo al mio fianco ricordava anche lui il messaggio in cui avevo accettato l’invito. Non mi guardava, era palesemente nervoso come se l’oscurità che avvolgeva la sala lo avesse catturato. E dire che fino all’ingresso non era stato male.
Un signore: gentile, sorridente, ‘dopo di te‘ e tutte le cose giuste da manuale del corteggiator cortese.
Gli avevo risposto perfino distrattamente, addentando un panino, seduta al sole in uno dei primi pranzi all’aperto di quella primavera stramba, nel piccolo parco dietro l’ufficio. ‘Concerto di una cantautrice americana bravissima, in una piccola chiesa sconsacrata, dovrebbe essere figo! Ti va di andare?‘ Emoticon, occhiolino. Non ci avevo pensato troppo. Emoticon, occhiolino.
Le persone che hanno troppa fiducia in loro stesse non mi erano mai piaciute. Come se dovessero nascondere qualcosa di grosso, lo nascondevano dietro una maschera luccicante ma sottile come un velo di domopack sopra a un pezzo di cibo. Bastava un graffio e l’odore guasto sarebbe uscito. E lui era indubbiamente insicuro. Molti messaggi, un caffè e un invito via whatsapp.
Mi sembrava fosse anche ora di uscire con qualcuno. Intorno a me, si contavano sulle dita di una mano le persone senza occhiali con grossa montatura nera. Pareva un dress code per la serata ma era un codice preciso, quello sì. Anche io li portavo, certo, non volevo restare indietro. Tondi, perlopiù, figurati.
Conversazione di basso cabotaggio. Lui adesso era tranquillo, anche se non riuscivo bene a vedergli il viso, solo il riflesso delle lenti prodotto dalla luce che illuminava, quella fortissima, il palco.
Eravamo a sedere, si bisbigliava, come per rispetto a una sacralità esaurita. Si aspettava, le luci della città, fuori, oscenamente luminose. Dentro c’era essenza di esclusività per un circolo ristretto. Dal nulla, la ragazza sbucò sul palco. Era troppo carina per stare da sola in quel posto. Come se la bellezza fosse una prigione. Accese un sintetizzatore e un fruscio riempì l’aria di attesa.

La musica era quella che definivo, rubando le parole da una rivista: ‘snobelectrosoft‘. Una voce suadente e in falsetto che armonizzava sopra un tappetino a basso voltaggio di beat e sotto, accordi di piano come gocce di pioggia. Dopo due canzoni, rimbalzavo lo sguardo di lui rispondendo, falsa, alla domanda ‘E’ proprio brava, vero?‘.
Avrei voluto che una band di motociclisti urlanti fosse entrata per picchiare quella gente.
Guardali, tutti attenti e concentrati, mostrarsi ricolmi di quell’intellettualoidismo sensibile che sprigionava da ogni angolo.
La cantante avrebbe potuto fare la popstar, forse, se la porta dello showbiz avesse girato nell’altro senso. Con un po’ di marketing giusto, due foto con la dose sana di Photoshop e una band ad aiutarla a tirar fuori il meglio di sé, altro che quella musica che sembrava appesa per aria, velata di malinconia e nobile autorialità esistenziale, mascherata da moda da webzine e lei avrebbe calcato palcoscenici più importanti di questo.
Il mio accompagnatore era avvinto dalla voce, batteva una mano sulla coscia, avrebbe voluto prendere la mia, ‘
non ci provare, ti prego‘. 
Non ci provò. Peccato, forse. No, meglio così. Se le mie porte della vita avessero girato diversamente adesso sarei in una casa, in tuta e struccata ad annoiarmi o a pormi altre domande guardando un telefilm, per poi addormentarmi.
Invece, quell’immagine di un vestito appeso mi aveva fatto prendere un’altra porta.
Poi, la voce da usignolo in gabbia della cantante sparò una vocale alta, un arpeggio si conficcò nei miei polmoni e ascoltai veramente. Pochi secondi, non più di venti, in cui quella musica da stronzi prese posto dentro di me. Sopra alle note passò un treno carico di ricordi e di mancanze e afferrai la mano del mio accompagnatore. Si girò ma non trovò il mio sguardo, le sue ossa forse tremavano ma erano abbastanza solide da farmi da ancora provvisoria.
Stai qui per un momento.

E poi il momento cessò, la canzone terminò, lui mi guardò con fare sicuro, cercò ancora la mano che però applaudiva con troppo vigore, in realtà scacciava cose, cercando di schiacciarle forte all’interno dei palmi. Ero già da un’altra parte. Dove, non lo so.
La ragazza terminò il concerto. Piccole luci illuminarono l’uscita. 
Continuavo a volere uno stupido pezzo pop.
Forse in un’altra serata.(grazie grazie per foto e ispirazione @ lapaolina)

Maggio, playlist

 

Maggio è stato un mese di impegni pazzi e quindi non c’è stato tanto spazio per le classiche attività diciamo ‘de curtura’.

Quindi, senza ulteriori indugi e in ritardo, la playlist di maggio, tutta d’un fiato.
Al cinema ho visto ‘Civil War’ che mi è sembrato un eccellente prodotto Marvel con gran botte di menare, uno Spiderman figo e dove, finalmente, non ho percepito quel senso di stanchezza seriale che a volte avverto guardando i film sui supereroi. Più botte nei parcheggi per tutti.
La pazza gioia’ è un bel film italiano, giusto per continuare la stagione dei film italiani fighi. L’ho visto insieme ad altre sei signore, in un orario da signore. All’inizio le signore parlavano molto, classic. Di quanto sia sciupata la Michela, della classe della Valeria, ma ‘cosa fa?’, ma ‘perché vanno via?’ e altri commenti da #teamsignore. Poi a un certo punto del film c’è stato un progressivo aumento del silenzio e poi tutto un gran sospirare in coro delle signore, e pure mio. Più film con le signore per tutti.
Infine – roba di giugno ma già che ci sono – ho visto ‘The nice guys’, un film con due attoroni che fanno gli investigatori privati nei settanta, film che dimenticherò presto perché non è originalissimo però è divertente, un quarto d’ora in meno era meglio ma forse ero stanco io. (la giusta recensione del film la fanno su ‘i400calci‘).

Poca roba di serie tv, sto guardando Gomorra, la serie coi guagliò e tutt’ a ppuost.

Invece, e fortunatamente, ho trovato bei dischi e visto che gli album interi che vanno in heavy rotation sono pochi negli ultimi anni eccovene quattro.

Per caso ho scoperto che Aaron Parks, uno dei pianisti più bravi che ho ascoltato negli ultimi anni, ha pubblicato nuovo materiale. In trio con sezione ritmica made in Denmark. Che dire. Non trovo niente on line, ai jazzisti capita spesso di evitare il web per motivi ignoti ma ok, tanto a nessuno frega di questo disco e quindi bon. Però è bellobello eh, si chiama ‘Groovements’ e lo puoi trovare su Spotify.

E’ finalmente uscito ‘Day of the dead’ enorme raccolta di canzoni dei Grateful Dead rivisitate da un parterre de rois di gente che fa buona musica oggi. Curata da quei bravi ragazzi dei The National, fossi in voi l’ascolterei e se non trovate minimo cinque pezzi ottimi, vi offro il caffè.
(nel frattempo faccio come i jazzisti e non metto un link che sia uno, amen)

Altro discone che ho ascoltato molto (e #teamballetty) è quello di Kaytranada. Il titolo è ‘99,9%’ ed è al 90% pieno di suoni e beat giusti.

Infine, il nuovo album di Gold Panda è delizioso, poi io non me ne intendo di musica da giovani, però magari ascoltatelo. Il titolo è ‘Good luck and do your best’ che è un bellissimo titolo, ammettiamolo.
Più, bonus track, letteralmente, un pezzo che è questo scovato grazie a uno dei miei involontari pusher di musica, ed è una melodia di piano avvolgente, mezzo romance mezzo dance, che mi ha fatto venire in mente storielle da scrivere che probabilmente resteranno quattro righe di note su un paio di fogli che perderò e direi sia tutto, per maggio, quando è già molto giugno.

 

Finale, a noi

playoff2016…e allora si va. Per la seconda stagione consecutiva, si va in finale.
Con i riccioli che ballonzolano di Della Valle che fa la ‘faccia cattiva ™‘ e mostra i muscoli mentre buca le difese in penetrazione. Si va contro Milano, con quell’immortale trentanovenne di Kaukenas che danza in terzo tempo, alza la parabola e segna per noi. Si va con la grinta di De Nicolao, lillipuziano dal cuore grande in mezzo a giganti che se lo vedono sbucare da chissà dove, coi passettini di Polonara che poi, a un certo punto del match, vola, stoppa, schiaccia, mister highlights, ci gasa bene sempre.

Saremo in piccionaia a guardare Silins fare a sportellate, reggere l’impatto con gente più grossa di lui, magari metterla dall’arco o affondare lo schiaccione come l’altra sera col palazzetto vecchio, sporco e vociante che vibrava dall’entusiasmo. Ci sarà l’urlatore che non capisce niente di basket ma è fondamentale per la cabala e l’umore del settore, quando lui si esalterà per un movimento di Lavrinovic, suo idolo di esperienza e magie lituane, sapremo di essere sulla giusta via. Ci sarà l’ostacolo ‘+5’ il massimo di divario nel punteggio dove essere sereni, che già a più quattro, il palazzetto avrà bisogno di Xanax sotto forma di palle rubate, sporcate, rimbalzi agganciati, per riaccendere la speranza, che siano passati due minuti o due quarti. Saremo in apnea davanti alla tv che il Forum è un postaccio per vincere, sperando nei movimenti giusti di Pietro My King Aradori che con Avellino è stato temuto e forse era un po’ stanco ma le sue mani sono d’oro e Repesa avrà un problema.

Servirà tutto. Servirà l’energia delle gambette veloci e della difesa aggressiva di Needham, arrivato da poco ma già dei nostri. Servirà la mole e l’espressione smarrita di Golubovic per avere peso sotto canestro. Servirà il recupero di Vereemenko, pilastro fondamentale contro i bruti milanesi. Servirà un grande allenatore, ma quello ce l’abbiamo. E’ il tipo che pesta le sue stringate sul parquet quando un giocatore difende appena molle, che si sbraccia in maniche di camicia per chiamare un gioco, ha gli occhi spiritati, il piano partita preciso in testa, per poi uscire dal palazzaccio facendo il segno di Churcilliana memoria con le dita a’V’ che vuole dire ‘ce l’abbiamo fatta‘ ma anche due volte di fila in finale. Guardandolo, ho pensato che Menetti non ha abbastanza considerazione sui media, la provincia ripaga col cuore dei suoi abitanti non con titoli sui giornali, ma avrà per sempre un grande spazio nella nostra memoria, spero possa bastargli.

E speriamo bene.
Che siano un paio di settimane in cui cullare questo bel sogno che si chiama scudetto. Come compagnia i soliti che ci sono sempre, comunque vada, e anche quei gufi orridi e incompetenti, con le dita pronte a scrivere su bacheche qualche loro frustrazione, quelli che dopo gara quattro persa male decretavano la fine della squadra e l’incapacità della dirigenza.
Tifosi da vittoria che dovessimo perdere sarà stata una stagione negativa. Folli. Voi, a parte non capire niente del gioco, proprio dello spirito del gioco, non vedreste una pepita in una pozza di petrolio, ma venite anche voi in finale, anche se non verrete mai, dovesse andare male e dovessimo tornare a lottare per mantenere la serie.
Anche voi, venite da stasera. Venite tutti, simbolicamente, che nel palazzaccio ci stiamo stretti noi, figuriamoci tutti. Venite, tifate e applaudite e insomma, speriamo bene eh.
Comunque vada, è stata un’altra fantastica stagione. Grazie.

Ps.: queste note le ho scritte martedì mattina, subito dopo gara sette contro Avellino, col timore di dovere giocare a Bologna, un po’ in trasferta. Timore scongiurato dopo saggia decisione della società di restare al Bigi, a casa, nella nostra tana.
Come per le altre serie di questi playoff scudetto, che la cabala non conta nulla ma ha la sua importanza, eccovi di seguito le note tecniche sulla finale del mio pard di piccionaia, quello che si alza e urla qualcosa, poi si siede e mi spiega uno schema, ma tanto io spesso non lo sento nemmeno, dalla grande confusione che c’è. Ahah, Daicandom.

 

Arrivare alla finale scudetto non è mai cosa facile a causa di molteplici fattori che incidono e non poco sul
risultato finale. Fattori che iniziano dal posizionamento finale in stagione regolare, passando dalla griglia playoff, dagli adeguamenti che si devono fare in serie che possono diventare lunghe, fino ad arrivare ai singoli momenti e alle singole giocate all’interno di una singola partita.
Arrivare alla finale scudetto per due anni consecutivi alle volte può diventare proibitivo anche per le squadre meglio allestite.
Reggio Emilia quest’anno ha ottenuto questo obiettivo dopo un’estenuante serie con un’ostica Avellino,
che si è arresa solo a gara 7. Una vera e propria dimostrazione di forza quella di Reggio in questi due anni,
figlia della continuità di un progetto tecnico a lungo termine, fatto di scelte oculate nell’inserire giocatori
adatti al già collaudato sistema di gioco e di un proficuo connubio fra società, squadra e ambiente.

A questo proposito però, è doveroso fare un nome su tutti, ed è quello di Max Menetti.
Noi che lo abbiamo visto crescere da secondo di Frates, piangere abbracciando il presidente Landi dopo una salvezza in A2 all’ultima partita contro Imola, oggi lo ritroviamo a gestire egregiamente una squadra, partite e serie playoff di alto livello.
Sarà  a lui che ci si aggrapperà  in questa finale che sta per iniziare, sperando che riesca con le sue capacità a trovare soluzioni per scardinare la solida resistenza di Milano.

Milano è forte ed ha il fattore campo a favore.
Reggio parte un gradino sotto, ma se riuscirà ad evitare scomodi scivoloni esterni che possono minare il morale (in stagione ha perso partite fuori casa con oltre 40 punti di scarto), potrebbe riuscire a fare un colpo esterno per potersi giocare nel proprio palazzetto le partite chiave della serie.
La parola d’ordine per Reggio sarà limitare i rimbalzi offensivi, una difesa press energica, alzare possessi e ritmo partita per correre e trovare tiri e penetrazioni in transizione.
Per Milano invece l’esatto opposto, giocare a difese schierate, tenere ritmi bassi e sfruttare tutto il tempo di ogni singolo possesso, cercando con la circolazione di palla e pnr insistiti di trovare i propri giocatori in comodi 1vs1 o buone linee di penetrazione.

Se in terra lombarda si puó contare su tutti gli effettivi , Reggio Emilia deve fare i conti con la mancanza di Gentile ma dovrebbe recuperare  Veeremenko, presenza fondamentale  per limitare la pericolosità dei lunghi fisici di Milano in post basso.

Naturalmente quanto detto sopra potrebbe essere smentito dai due coach, ma noi ne saremo ben lieti se a trionfare saranno le scelte del nostro reggianissimo d’adozione Menetti.

E, daicandom!

 

 

Un voto, un perché

3fotoCon questo post provo a spiegare perché voterò per la lista ‘Contini sindaco’ alle elezioni amministrative di domenica 5 giugno.
Lo conosco da quando ho sei anni. E’, penso lui sarà d’accordo, uno dei miei migliori amici. Spesso siamo in disaccordo su tante cose, dal calcio, alla politica ad altro, ma non importa, anche se lui, pensa te, non beve la birra. So che se dovessi avere grossi problemi, sarebbe il primo, massimo il secondo a cui chiedere un parere, una mano, un consiglio, un aiuto.

Quando mi ha parlato mesi fa per la prima volta della sua idea di candidarsi, subito mi sono stupito, ma poi, ascoltando le sue ragioni, gli ho detto ‘Sai dove ti infili, vero? Ma vedo che lo vuoi fare, quindi fallo’.
Perché conoscendolo, appunto, gliel’ho letto negli occhi che aveva dubbi, ma nel profondo era già convinto di buttarsi in un’avventura sconosciuta.
Non è vero che bisogna avere esperienza politica per entrare in politica, altrimenti non ci sarebbe ricambio, altrimenti una cosa come il M5S non esisterebbe. E’ vero che ci sono persone così false che dividono i buoni dai cattivi soltanto perché hanno una idea politica diversa dalla loro. O la cambiano. Gente che dopo che la mia faccia è apparsa su un manifesto elettorale per la campagna di Alberto, fatica a salutarmi. Gente ridicola e risibile.
Perché sarà la prima volta che voto un partito che non aleggia nel campo del centro sinistra. Nonostante le mie convinzioni politiche e sociali non siano cambiate, penso che sia giusto provare a cambiare.
Non ho niente di particolare contro le altre liste, conosco qualche candidato, saluto Giorgio e se capita faccio due chiacchiere con lui sul basket e non penso affatto ci siano persone disoneste nelle altre liste (scusate grillini, di voi ne conosco giusto un paio ma il ragionamento non cambia).
Quello che mi piacerebbe vedere per il paese dove abito è un cambiamento e mi sembra giusto, conoscendo benissimo la persona, dare il mio voto e la mia chance a lui. Non solo perché lo ritengo una persona in gamba, sveglia, tenace, preparata dal punto di vista economico che una laurea e vent’anni di esperienza manageriale credo possano aiutare nella gestione finanziaria del paese, anche se, a differenza di gente che sostiene questo, il Comune non è un’azienda per motivi ovvi che vi risparmio.

Lo voto perché mi sembra che abbia una visione nuova per il paese che, secondo me, ha bisogno di una scossa. Certo, non sarà facile per tanti motivi. La gente digerisce a fatica i cambiamenti, i soldi delle casse comunali sono un problema e il resto mettetelo voi.
Ci tenevo a scriverlo, avere un blog serve anche a questo. A proposito Alberto, porto male eh. Di solito chi voto io non vince. E’ proprio storia, si può cercare qua sopra. Però pazienza.
Questo è il mio voto, spero mi seguano in tanti. Poi, il 6 giugno avremo comunque un nuovo sindaco e una nuova opposizione. Farò comunque il tifo per tutti, perché siamo tutti sotto la Rocchetta, sperando che questo paese possa migliorare.

P.s.: ho un sassolino in una scarpa, lo appoggio qua: la gente che ha una tastiera non è che diventi credibile solo perché la sa usare, spesso male.