Presente la pillola va giù, supercalifragilistichespiralidoso? Bene. La Walt Disney Co. ha fatto un film su come Mr.Walt Disney convinse la scrittrice di Mary Poppins a cedergli i diritti del libro per farne il film che tutti (ma non ne sono così sicuro) abbiamo visto.
La Disney è un po’ il male, cioè è una multinazionale che vende entertainment, ma lo fa d’un bene che spesso non puoi dirgli più di tanto. In questo caso fa un film con un attore che non sopporto (Colin Farrell per me è odioso e incapace), una tecnica narrativa che mi fa arrabbiare (l’uso smodato e ricoperto di melassa del flashback è così insistito da risultare monotono) oltre ad utilizzare tutti i trucchi possibili del cinema americano sezione ‘sentimenti’ (come nella miglior tradizione disneyana, ovviamente).
Eppure al momento X, quando tutto l’impianto del film arriva a dirti ‘dai, fazzoletti!‘, ci sono cascato dentro come una delle pere che la protagonista odia (spoiler! ma tanto non è che ci sia da spoilerare, cioè il film l’hanno fatto, no? Ok)
Walt Disney con una mano ci sfila i soldi dal portafoglio, usando la forza del suo marchio per auto celebrarsi, rafforzando così la sua stessa immagine, mentre con l’altra ci tranquillizza, dicendo che i narratori danno fiducia al genere umano, che è cosa in cui credere fortemente. Insomma, il male è insidioso e probabilmente irresistibile.
(per curiosi, che almeno i film mezzi biografici servano a scuriosare nella vita degli altri, un bel pezzo di Vulture da dove partire per scoprire cosa è vero e cosa, ehm ehm, è stato piegato alle esigenze del ‘male’)
Ovattato in un (come si dice) elegante bianco e nero, ecco il viaggio di un padre pieno di acciacchi alla ricerca di un ultimo sogno di una vita, un premio di un milione di dollari.
Novello Signor Bonaventura, parte accompagnato dal figlio col cuore d’oro, attraverso un’America di provincia che presenta facce stanche e strade enormi ma depresse e vuote di traffico, dove il miraggio di soldi facili ha sempre troppa presa. Un road movie a sfondo familiare e anzianità.
Il film è stilisticamente ben fatto e costruito per strappare, letteralmente, empatia agli spettatori. Una commedia amara che nonostante qualche buon guizzo pecca di brillantezza, è troppo lunga, soffre del suo manierismo da b/n arty, e dell’eccessiva attenzione a mostrare un cuore indie che risulta essere una scorciatoia verso un sentimentalismo troppo scontato, seppur non del tutto inefficace.
Non è un film brutto, anzi, e complimenti agli anziani attori, ma è troppo facilmente dimenticabile.
Oppure io ce l’ho con Alexandre Payne e con il suo cinema sempre ad alto tasso di ruffianeria (vedi puntate precedenti).