Forse Tim Burton avrebbe bisogno di una vacanza dal suo solito mondo per evitare che quanto fatto fin qui, molto, diventi una sorta di abitudine a cui, lui stesso per primo, pare non credere.
E dire che ci si era entusiasmati a vedere le prime foto. Potenza del marketing e anche fiducia in un regista che poche volte aveva fallito.
Invece, trasferire Alice nel paese di Edward mani di forbice e dell’immaginario “burtoniano” non va bene.
Pare un compitino realizzato svogliatamente, con qualche sprazzo di bellezza e tutto avvolto in una carta da parati che riveste un paese delle meraviglie povero di emozioni, fra funghi, orologi, cuori e pedine su una scacchiera dove i giocatori hanno poche idee vincenti e dialoghi davvero poveri.
Non è che sia proprio brutto, ma è troppo lineare, con un incipit incollato alla bell’e meglio, un finale che lascia a desiderare, senza grandi gag nè sorprese. Un film sciapo come un tè senza zucchero servito in una tazza con troppi buchi che non fai nemmeno in tempo a berne un sorso che è già sparito. Colpa anche del cappellaio matto di cui si nota il make-up e poco altro fino alla ridicola scena del balletto.
Da salvare lo stregatto a cui si è affezionati da sempre e la regina di cuori con la sua fissa per le teste.
Pare piaccia ai bambini e comunque incassa bene. Per me, una discreta delusione, un film assai dimenticabile. E questo è un peccato perchè un po’ ci si puntava, nonostante le enormi aspettative create da un marketing colorato e complice fossero già scemate a sentire i primi commenti.
Tim, riposati un po’, suvvia.
Ps.: onore sempre al proprietario del cinema del paesello che ha resistito alle multisale e resisterà al 3D, di cui, anzi, ha profetizzato la rapida scomparsa con solidi argomenti come “cosa vuoi mettere degli occhialini a dei bambini?”, occhialini che “pò i’en seimper sporc e costen dimondi e in van mia bèin”. (dialetto, come il titolo, per i non emiliani)