Giugno, playlists

At the movies

 

Fury
Un solido film di guerra, con attori maschissimi in gran forma.

Jurassic World
Ok, Hollywood avrà finito le idee e a me è sembrato di vedere la cover di un film di venti anni fa, però con più ritmo, machismo (Chris Pratt, fossi donna ti amerei), denti, velocipiccy, critica alle rose a genetica-militari-corporation ed FX, con bonus addirittura di romance in giro per il parco. Tutto un po’ finto, come il parco, ma divertente. Però non (ri)fatelo più eh (e invece…).

(poi, vabbé, ho rivisto quella bomba perenne di ‘Mad Max‘ in versione originale, dove i grugniti di Max sono ancora più fighi)

 

Sul divano

(la terza parte sulle detenute nel carcere di Lichtfield. ennesima conferma per una serie commovente e divertente, scritta benissimo.  ‘team panty-sniffing’!)

 

 

Cinque canzoni in cuffia

 

The Arcs – Stay In My Corner
La canzoncina estiva da dedicare alla morosa l’ha scritta Dan Auerbach, che fuori dai Black Keys ormai funziona meglio e fa sempre cosine blues, lievi e classy.

This Ain’t – American Wrestlers
In ritardo, scopro questo disco di un tizio one man band, ricco di ottime canzoni. Questa poi, l’ho consumata a forza di ascoltarla. (il link porta a ‘spotify’ che non ho trovato un video che sia uno…)

Smooth Sailin’ – Leon Bridges
E’ la seconda volta che questo ragazzotto che sembra uscito dai sessanta entra nella playlist. Ci sarà un perché, no? Play, please.

Feeling good – Lauryn Hill
Cover di Nina Simone. Giocare sul velluto. Però ci vuole una certa presenza, diciamo carisma, per farlo bene. Et voilà.

Mozart – String Quartet
Questo mese mi son visto quattro concerti per quartetto d’archi e sono andato in fissa, finendo per ascoltare molto quelli di Mozart. Sono tutti facili all’ascolto e belloni e #teamromance.
Al link sopra ve ne potete ascoltare uno.

 

Sul comodino

Giugno sarà stato un mese impegnativo, adesso che ci penso, perché ho letto pochissimo. Ho iniziato un libro che adesso finirò, però purtroppo non mi ha preso, nonostante la brillantezza di molte pagine. Non dico niente della trama, perché dovrei tirare uno spoiler colossale e centrale alla storia. Il titolo è ‘Siamo tutti completamente fuori di noi‘. La protagonista è una ventenne che ripercorre le vicende della sua famiglia. Vi metto un link, vedete voi. Intanto, lo finisco, chissà che non cambi idea.

 

hey hey, Finale Scudetto (la maledetta Gara Sette)

FullSizeRender‘Purtroppo arrivare secondi non è la stessa cosa di arrivare primi’.
Lapalissianamene e tristemente, Max Menetti, il grandissimo allenatore di Reggio Emilia, lascia questa frase in sala stampa, a mò di epitaffio sulla serie finale.
E’ una verità. La sconfitta è una brutta bestia che si può accettare o superare in vari modi. Nello sport e anche nella quotidianità. In fondo, lo sport, può essere visto anche come una metafora dell’esistenza, oltre che spunto per innumerevoli narrazioni che possono, letterariamente ma anche praticamente, aiutare nella vita.

La serata della gara decisiva di questi infiniti playoff, è iniziata con la classica passeggiata verso il palazzo, in compagnia di una fiducia che mi abitava i nervi, fiducia che non leggevo in molti sguardi apprensivi e in qualche parola smozzicata, afferrata per caso mentre consumavo l’ultima sigaretta di vaga tensione pre gara. Come detto in gara uno, il tifoso reggiano sembra avere nel DNA l’attitudine alla sconfitta. Però io non mi rassegno a questa cosa, contro casistica e risultati. Naturalmente non avrò ragione. Quindi, niente, si sale in piccionaia, sapendo che sarà l’ultima volta della stagione, comunque vada.
Si parte. Il nostro urlatore è classicamente a petto nudo. Davanti una scritta ‘Godo’ in biancorosso, che coglie la bellezza di esserci. Sul retro, la riproduzione della #facciacattiva che Della Valle aveva regalato iconicamente a tutti i tifosi reggiani in gara cinque, diventando un instant tormentone sui socialini. La stessa faccia è su un foglio sistemato sui posti numerati, insieme alla scritta rossa ‘Stand up for glory‘. Il mister aveva chiesto in conferenza pre gara di assistere alla partita in piedi, per tifare come una unica grande curva.
Eseguiamo, ligi al dovere, sperando di potere. Ci proviamo. Siamo tutti in piedi in piccionaia, nessuno che si lamenta, per spingere la squadra, che si vede accoglie lo spirito e sprinta sul vantaggio pesante. Di solito prendo qualche appunto volante se so di scrivere un post, ma ieri sera è stato impossibile. Caldo feroce, umidità ottomila, urla matte ovunque, tremendo odore di humus umano che saliva dal basso, i jeans, sempre gli stessi, che la cabala è una cosa importante, incollati al corpo che rendevano difficile l’estrazione del telefono per scrivere notarelle.
E quindi, a memoria, dopo il primo quarto che ci avvicina all’obiettivo, c’è il secondo dove Sassari rientra in partita, dove l’attacco reggiano sembra un deserto sahariano. Si esce per respirare ossigeno e una Camel a più sei. La mia fiducia è incrollabile, il timore di molti pure. Il terzo quarto è una pugna con mani addosso ovunque, è Silins che non ce la fa a restare in campo dopo l’infortunio di gara sei, è Lavrinovic che gioca su una gamba sola e non ce la fa nemmeno lui, è Dalla Valle che ha finito la magia, è un vero bomber del parterre che fa cinque metri, arriva ai margini del campo e chiama il tecnico in faccia a Sosa, i due si scambiano carezze, tecnico per il giocatore, scorta verso l’uscita per il tifoso matto. Per l’episodio, quasi un intermezzo comico, si ride molto in piccionaia. Sudiamo ancora di più all’inizio dell’ultimo quarto, con la certezza che finirà punto a punto. ‘Questa sera muoio‘ dice il pard, già provato da un raffreddore colossale. Andrà così, punto a punto, con Diener che ci fa impazzire con un tiro difficile, con Logan inguardabile per metà partita che entra nel match sganciando micidiali botte da tre punti, con un paio di fischi che vengono accolti con boati di insulti, bestemmie, basso cospirazionismo, con Kaukenas fuori per cinque falli, con Dyson che entra sigillando il match, con un instant replay a tre secondi dalla fine, con l’ultima possibilità, un tiro di Diener triplicato, che non entra, perché deve finire così. Con un momento in cui tutti gli occhi reggiani sono fermi in un oceano di delusione.
73-75 dice il tabellone, sancendo la fine.

E allora bastano gli elogi, la certezza di avere espresso la pallacanestro migliore nel senso di squadra, di collettivo che va oltre le difficoltà compattandosi nelle stesse?
No. Non bastano. È la squadra con le individualità che esplodono in siluri da tre, in penetrazioni acrobatiche e che possiede un certo killer instinct nei momenti decisivi, che alza la coppa, ma io non la voglio vedere la premiazione degli altri, mi spello le mani per applaudire i nostri, vedo Max che piange ringraziando i distinti, poi sono già fuori dal palazzetto che cerco di trattenere due lacrime di delusione che poi scappano anche alla mia veneranda età. Due gocce cadono dagli occhi, mi rigano le guance, su una c’è scritto peccato, nell’altra delusione, ma sono giuste, sono luccicanti della luce gialla dei lampioni che impedisce di vedere le stelle, dove volevamo tutti scrivere quelle tre parole che chissà, forse, non scriverò mai. Non me ne vergogno, anzi.
E’ passato un giorno dove le immagini del match, mi sono tornate in mente, insieme ad apprezzati messaggi di amici, dispiaciuti per il risultato, anche un po’ per me.

E allora, va bene lo stesso. A chi vuoi dare la colpa? Ai giocatori? Impossibile. Han dato tutto, in serie lunghissime con poco riposo fra un match e l’altro e vari infortuni ad accorciare rotazioni e possibilità di gioco. (a proposito, mio MVP, Polonara, strepitoso. Uno che diventerà un campione grosso). A Menetti? Massé, fantastico lui e i suoi assistenti nel gestire tutto il gestibile. Agli arbitri? Qualche fischio ha favorito Sassari, per me, ma siam di campagna e siam signori. Reggio ha avuto la possibilità di vincere tutte e sette le partite, ne ha vinte ‘solo’ tre. Sarebbe più semplice ci fosse qualcuno a cui dare la colpa, come sempre.
Il basket è quello sport fantastico dove spesso l’equilibrio è sovrano, dove una partita, la finale scudetto, si perde di due punti. Per un tiro che entra e poi esce, per un antisportivo dubbio, per ferri che accolgono tiri liberi, per infortuni assortiti, per stanchezza, per un avversario che va ‘on fire‘. E via così. Un equilibrio delicato che non ha preso la direzione che speravo. Una delle delusioni più cocenti della mia carriera di tifoso di squadre di provincia.
E allora è andata così.
‘Purtroppo arrivare secondi non è la stessa cosa di arrivare primi’.
Purtroppo certe occasioni vanno prese, non perse. Però, banale e semplice, non me li dimenticherò mai questi playoff. Perché, è sempre uno sport, ma viverlo intensamente è una bella parte di vita, sia che si pratichi sia che si segua con passione.
E’ stato bellissimo, divertente, gasante, emozionante, infine un po’ triste.
Ma, a ottobre si ricomincia. Ci vediamo in piccionaia, a tifare, a tirare dei cancheri, a gioire e a volte, capita, a piangere un po’.
#daicandom

Ps.: la foto sopra è ‘rubata’ dal profilo IG del club

(le ‘mie’ altre gare scudetto)
(tutti i post dalla PICCIO) 

 

hey hey, Finale Scudetto (Gara Cinque)

FullSizeRenderUn recap volante delle partite giocate a Sassari.
Reggio non può avere paura, poiché Sassari è una squadra costruita sul talento individuale che l’ha premiata in gara tre con Logan e in gara quattro con Dyson. Gente che la mette da casa loro, se in serata, mentre Reggio in entrambe le gare si dimostra una squadra con carattere, schemi e gioco. Può bastare per vincere lo scudetto? No. Infatti Reggio perde due partite rientrando in entrambe grazie al cuore, al team e agli ups and downs dei rivali, viene dominata a tratti ma riesce sempre a riemergere.
Questi ragazzi meriterebbero lo scudetto a prescindere, già adesso prima di scendere in campo, in primis il mister, abile nel leggere le partite e nel gestire i pochi uomini che danno tutto quello che hanno.
Se Cinciarini ha detto che gli arbitri non hanno influito sul risultato di gara quattro, mi fido e non scrivo dell’arbitraggio. Poi cambio idea e dico che la compensazione arbitrale è sempre sbagliata e facciamo che il fallo di Polonara sull’ultimo tiro dei quaranta regolari fa pari con il fallo inventato sulla rubata di Cinciarini e il tecnico punitivo fischiato a Lavrinovic a otto secondi dalla fine, che i ‘piangina‘ a me non son mai piaciuti e se pensassi alla malafede arbitrale, andrei a vedere le bocce, che poi, fra l’altro, le gare di bocce son fighissime.
Torniamo al palazzetto? Daje.
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hey hey, finale Scudetto (Gara Due)

FullSizeRenderPiove. Poco e a tratti ma piove. Reggio si muove e va al palazzetto in questi infiniti e bellissimi playoff. Vado pure io, mollo i pard a recuperare un ingresso last minute nel roboante e antico catino del Palabigi, parcheggio arrembante e via. Il tempo di entrare e le squadre sono in campo.
A un centimetro dal naso, mi è cresciuto un brufolo che manco quando avevo quindici anni ed ero tutta una tempesta ormonale. Sarà l’umidità, la fatica di salire le ripide scale che conducono in piccionaia, la gioiosa botta di ansia da attesa e, boom, mi esplode il brufolo. Drama e raccapriccio. Fazzollettino d’urgenza a rimediare, mentre l’urlatore, stasera in versione capelli colorati di rosso e sparati in aria da una vagonata di gel, si toglie la maglietta, contagiando anche il figlio in una combo familiare di petto nudo. Si può iniziare.
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hey hey, Finale Scudetto (Gara Uno)

FullSizeRenderIl bello di tifare le squadre della provincia è che le gioie, intese come risultati sportivi, sono ben inferiori alle delusioni. Ci si fa l’abitudine, ovviamente. Le speranze si mantengono, ci si aggrappa, a volte sono pure elevate. Gente matta l’aveva detto a inizio stagione  ‘Andiamo in finale con Milano quest’anno’ ma non è che ci credesse fino in fondo, forse.
E invece. Milano non c’è, c’è Sassari. E c’è sempre una sorta di disillusione preventiva, per storia e abitudine. Nel reggiano poi, saranno le origini contadine, sarà una certa umiltà di fondo, sarà che vincono i famigerati ‘altri‘, questo sentimento è accentuato.
E invece, bis, a Reggio Emilia, sta succedendo.
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Maggio, playlists

 

 

At the movies

 

 

Mad Max
Probabile film dell’anno, perché una roba così, era un pezzo che non si vedeva. Adrenalina in autorialità action e polvere di deserto in purezza. Ne ho già scritto, lo torno a vedere prestissimo. Vrooom!

Youth-La giovinezza
Un personaggio del film dice: ‘Gli intellettuali non hanno buon gusto‘. Sorrentino ha ottimo gusto, le riprese del buen retiro per gente di successo sono splendide, geometriche, vivide, sontuose. Il problema di Sorrentino, è che sta sempre sul confine di un intellettualoidismo (o di retorica) a volte autoreferenziale (Maradona docet), che non sempre funziona, di una forma che spesso non riesce a comunicare sentimenti. Un film pieno di spunti, suggestioni e riflessioni (sulla vita, sulla celebrità, sull’amore e l’amicizia, sul passato da recuperare, sul perdono, sul futuro) che a volte sono una toccata e fuga. Fortunatamente nella parte finale, si libera della testa e punta alla pancia, concludendo in maniera semplice ma efficace un film che rimane negli occhi, ma a cui il cuore non manca, seppure a tratti. Bene.
(si prega di notate l’assoluta mancanza di riferimenti con opere precedenti o con famosi registi di rfierimento del regista)
Ps.: evviva i mancini!

Il racconto dei racconti
Garrone è sempre bravissimo. Film strabiliante (a parte due momenti di CGI brutta) per visionarietà, colori, contrasti, scelta dei personaggi (i deformi, i migliori). Le favole (originali del seicento) sono raccontate bene e hanno una loro semplice morale, trattano di amore, sacrificio, dovere, sogni. Eppure, nelle lunghe discussioni fra me e me, mi sembra, ma non ho ancora deciso, che manchi qualcosa per renderlo un film da ricordare. Forse, non appassiona come dovrebbe, forse potrebbe. L’inizio spacca, poi si perde un po’, come se una certa ‘freddezza’ (non trovo parola migliore) affiorasse. Anche se a tratti, si tifa, si schifa (bestiacce! sciò!) ci si emoziona. Andrebbe rivisto? Probabile. E chi lo paragona a Game of Thrones, gli si infili la testa su una picca, perdiana!

 

Sul divano

Si può scegliere un fotogramma per ricordare sette stagioni? Forse. Sarebbe anche un bello spunto per un racconto. Di questo racconto, di Don Draper e del suo clan di pubblicitari, dei suoi segreti, delle sue donne, delle sigarette, degli alcoolici, dello charme, si potrebbe parlare a lungo. Un capolavoro della narrazione moderna in forma seriale. Scelgo quindi una sola immagine, (SPOILER, anche se la ‘pic’ non è dell’ultima puntata che, fra parentesi è incredibile, piena di piangeroni misti di gioia e commozione e con un finale perfetto, ovviamente, su cui sarebbero da spendere diecimila battute) per ricordare sette stagioni stupende. Don, da solo, occhiali da sole e i capelli impomatati, un sorriso, seduto sulla panchina di una fermata di un autobus in mezzo al nulla, il panorama di alberi e tralicci dell’elettricità, su una strada che porta verso un futuro.
You’ll be missed, thanks for all the fish (and the ads)

Paddington
Inglesissimo ma universale, un film con attori e un orso. Puccioso, divertente, edificante al punto giusto. Delizioso. E Nicole Kidman in versione ‘cattiva’ fa una bella figura. Non solo per bambini, anzi, forse più per grandi che avrebbero bisogno di film del genere.

 

 

Cinque canzoni in cuffia

 

Tape Runs Out – Friends
Una canzone brevissima che si pianta da qualche parte, fra pizzicori anni novanta e una giusta malinconia chitarristica.

Kamasi Washington – Change of the guard
Una canzone lunghissima, per un disco che suona jazz ma dentro c’è tanta, forse troppa, roba. Dura tre ore ed è piuttosto clamoroso, nonché essere il disco che ho ascoltato di più, e di gran lunga, in questo maggio che è sembrato un pochetto novembre, dentro e fuori.
Se clicchi sul titolo, ascolti il primo pezzo, dura dodici minuti, secondo me vale la pena.

Jamie XX – Loud Places
Pezzo di una eleganza danzereccia, primo estratto, credo, di un disco che sarà in moltissime top ten a fine anno. A occhio e croce, giustamente. Repeat su repeat.

Metric – The Shade
Più o meno fan sempre la stessa canzone? Per lo meno lo stesso singolo? Circa. A me piacciono sempre, i singoli. Anche questo funziona. Ed Emily Haines invecchia da dio come solo i giusti san fare.

Beirut – No No No
Baro, perché questo pezzo è uscito ieri, il primo giugno e sono in ritardo con la playlist. Ma Zach è un mio favorito da troppi anni per non avere già ascoltato il brano varie volte. Classico Beirut, una specie di cartolina di una felice Parigi zingara che sculetta e canticchia.
E mi sembra anche un bel modo di iniziare quella che si prospetta essere una lunga estate.

 

Sul comodino

 

Joachim Meyerhoff – Quando tutto tornerà ad essere come non è mai stato
Titolo bellissimo per un buon libro con la voce narrante del terzo figlio del direttore di un ospedale psichiatrico in Germania. La vita, la famiglia e gli ospiti speciali di un posto particolare. A metà rallenta, girando su se stesso, perdendo un pochetto la mia attenzione, ma ci sono capitoli molto belli e un finale commovente e sentito. Promosso.

 

(come si dice) grazie, ragazzi!

regiaIeri sera, intorno alle nove, è terminata la stagione della Reggiana. Ai rigori della semifinale playoff, nel modo più crudele, con tre tiri parati, in uno stadio orrendo, con una tifoseria al seguito stupenda.
Non ho ancora aperto un sito, una pagina FB, un giornale, niente.
Forse, molti tifosi dell’ultima ora, criticheranno rigoristi, occasioni sprecate, tenuta atletica e altre cose. Per questi, a chi vuole vincere sempre, al netto che le critiche ‘da bar’ sono il sale del tifo sportivo e delle opinioni che ovviamente possono avere anche i famigerati ‘saltatori sui carri‘, regalo una frase detta ieri dal mio sodale da stadio. ‘dovrebbero seguire solo la juve che tanto quelli, bene o male, vincono sempre‘.
Invece, qua, vorrei ricordare, un piccolissimo omaggio, la stagione di questa squadra, perché la memoria è importante, anche quando segue le traiettorie, spesso casuali, di un pallone.
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