30 per AGO

augQualche anno fa lessi su un giornale che il vero capodanno è ferragosto. Ogni anno a ferragosto questa cosa mi torna in mente. Non riesco a decidere se sia una banalità, può essere sia vero.
E’ infatti in questo mese, dedicato a questa anomalia italica del ‘chiuso per ferie’, che si ‘stacca’, ci si ‘rilassa’, si viaggia (chi può), si postano foto in giro, eccetera. Probabilmente si fanno più veri propositi per il futuro sdraiati in una spiaggia, in fila per un traghetto, camminando in montagna che con il cappotto, andando a un cenone di capodanno.
Vi ho convinti di questa cosa? No? Pazienza.
Comunque questo post è su agosto ed è ‘nato’ una sera (ovviamente di agosto) chiacchierando con una gentile signora che sostiene che questo mese sia un po’ da odiare perché prima tutti che chiedono delle ferie poi dopo tutti che raccontano delle ferie, che a volte è un bel sentire ma come tutti i racconti bisogna saperli fare e sono pochi quelli che li sanno fare e forse ancora meno quelli davvero interessanti, quelli che riescono, dal loro personale buco della serratura, a catturare una vera attenzione che non sia solo l’informazione buona per la chiacchiera, ‘tizio è andato nel posto X, tizia è andata a Y’.
Forse, pensavo, a molte ‘narrazioni vacanziere’ manca un po’ di particolarità perché non si sottolineano le piccole cose, diverse da posto a posto o simili ma con le differenze negli occhi di chi guarda, appunto, dal buco della serratura di una vacanza di pochi giorni o di due settimane.
Quindi, agosto è un mese un po’ da odiare ma anche da apprezzare per le tante piccole cose che offre essendo comunque un mese dove si sta fuori, ci si muove oppure si sta fermi, magari, come si dice, con la testa più libera (ah, le benedette ferie).

Perciò, ecco trenta mie piccole cose belle di agosto, una al giorno, come una medicina, anche se il mese non è finito, e il giorno che manca è il giorno in cui il mese, che può essere bastardo, in silenzio, presenta quel conto fatto di malinconia e rimpianti, dove si piange un po’ o si è molto tristi perché anche ad agosto non è che si può sempre stare allegri, eh.

Via:

1. Pedalare in bicicletta mentre il sole spacca l’asfalto e brucia la pelle anche attraverso la maglietta;
2. Capire chi è davvero contento di andare in ferie e chi invece è costretto ad andarci;
3. Un mojito ben fatto con i cubetti di ghiaccio interi, la menta appoggiata, lo zucchero obbligatoriamente di canna;
4. Gli abiti lunghi e leggeri delle donne che tutti questi scosciamenti e ammiccamenti in favore di micro camera fanno perdere un po’ di fantasia;
5. Il rumore sussurato della marea di notte;
6. Uscire con una persona adorabile che si vede solo ad agosto, causa impegni vari, e dopo pochi secondi fra due sbuffate di sigaretta e due cancheri per il caldone, recuperare una perfetta sintonia;
7. Leggere del calcio mercato bevendo una birra gelata;
8. Svegliarsi presto la mattina, prendere un caffè con il paese ancora addormentato, rubare l’unico momento fresco del giorno;
9. La stanchezza negli occhi dei lavoratori alla sera che sognano una doccia fredda;
10. I visi corrucciati delle ragazze, appena sveglie, dopo essersi addormentate al sole, su lettini, scogli, prati, che poi diventano un sorriso che accende ancora di più il giorno;
11. Passeggiare sotto ai portici all’ora di pranzo calcolando l’umidità, percependo il tempo che sembra immobile;
12. Un calice di vino sopra un tavolo, riparato dagli alberi, per festeggiare la chiusura dell’ufficio;
13. I sandali delle donne, sottili ed eleganti, impreziositi da pietre, fiori, piccoli lacci;
14. Il rumore delle posate che danno il ritmo alle chiacchiere sparse in una piazza accaldata;
15. Le corde pizzicate del contrabbasso, le spazzole leggere, il tocco di pianoforte in un concerto in un cortile;
16. I grilli dietro casa mia in una notte insonne a decifrarne la cantilena, il ritmo, le note, la sinfonia gracchiata;
17. Guardare le effusioni all’aperto degli innamorati, senza paura di essere nudi di fronte al sole e agli occhi di chi li guarda;
18. Incantarsi a guardare la linea dell’orizzonte al mare, come guardare nel futuro (scusate, in montagna non ci vado, presumo ci sia anche lì la linea dell’orizzonte…) ;
19. Guardare la luna piena, rischiare di parlarle un po’;
20. La luce che filtra dalla finestra aperta, sono le sei, girarsi nel letto per un’altra ora di sonno;
21. Le chitarre fulminanti, la batteria che pesta come i piedi sull’asfalto di uno spiazzo nei concerti all’aperto;
22. I fuochi d’artificio, gli occhi pieni di stupore anche se il cinismo di undici mesi prova a nasconderlo;
23. Le feste di paese col liscio, la coda per il cibo, gli odorazzi di fritto, i sorrisi e la fatica dietro ai banconi;
24. Una camminata ai bordi di un fiume, a specchiarsi nei balletti che i riflessi del sole regalano all’acqua;
25. Gente folle che gioca a tennis alle due del pomeriggio, le magliette incollate come una seconda pelle;
26. Macchiarsi il vestito mangiando un cono con troppo gelato sopra;
27. Una canzoncina con una melodia stupida che risuona in testa camminando sulla spiaggia;
28. Un giorno di binge watching con finestre e tende chiuse, come fosse novembre;
29. Leggere al sole, le pagine che si bagnano di sudore;
30. Fumare una sigaretta guardando un tramonto: domani è settembre, chissà se l’inverno sarà lungo. Intanto, agosto non è finito e il tramonto è bello.

(foto: via, snoopygrams)

Luglio, playlist

 

 

 

 

At the movies
(nella desertificazione cinematografara estiva) 

 

Terminator Genesys 
Ripompare il gasamento in un franchise è un’operazione delicata. Il risultato è un paciugare con le linee narrative e temporali, inserire a forza gag che ‘mh’, anche no, perdere completamente la forza visiva e narrativa della storia e lasciarci con qualche scena discreta, due strizzate d’occhio al passato, mille spiegoni e schemi abusati e poco convincenti. Quest’uomo entra dritto nell’olimpo degli attori inespressivi, Emily Clarke è un’altra roba senza dragoni sulle spalle, Arnold che incarna lo stereotipo del ‘padre assente’ è abbastanza fail e insomma. E’ un no, o un film che dopo dieci minuti non ricordi.
Il futuro non è ancora scritto‘, l’ultima frase del film, suona come una minaccia. Dovrebbero farne altri due. Dai, basta. Magari una recensione giusta la dovrebbe scrivere un ventenne che era un progetto nella testa dei genitori nel’84, mentre io uscivo dal cinema con gli occhi sbarrati e il terrore di Skynet dietro l’angolo perché sono impressionabile.

(poi, qua c’è un articolo esaustivo sulla questione commerciale e intellettuale della fabbrica dei reboot-sequel & Co. hollywoodiana. cose note, ma fa bene ripeterle)

 

 

Sul divano

(tredici puntate da venti minuti che sono uno spasso, brillante e cinico. Freakin’ Phil. Ops, la seconda stagione è in arrivo)

 

 

 

 

Cinque canzoni in cuffia

 

 

Foals – Mountain at my gates
come ha scritto il sempre preciso ‘attimo’, ‘Quattro minuti e tre secondi di estate, spiegati bene’

Kurt Vile – Pretty Pimpin’
la mia canzone perfetta del mese. Perfetta eh. Non ci provo nemmeno a scriverne altrimenti viene fuori un papiro. Heavy rotation baby.

Tiggs Da Author – Georgia
Quei good fellas di ‘Going Solo’ mi han spifferato sto nome. Questo è un pezzone. Se il dj dei vostri bagni o chiringuito la mette su durante l’aperitivo in spiaggia o dopo o non lo so, andate da lui e limonatelo.

Ought – Beautiful Blue Sky
Nuovo brano per questi ragazzotti che da queste parti piacciono molto. Potrebbero essere i Pavement per i ventenni di oggi, potrebbero eh, magari scrivo una boiata. Detto ciò, altro gran pezzo, dinoccolato e un po’ storto come da loro usanza. Non averli visti all’Hana-Bi un mesetto fa è già un rimpianto.

Beck – Dreams
Dopo la gioventù qui sopra segnalata, una sicurezza stagionata come Mister Beck con un pezzo allegrotto e estivotto, ottimo da selezionare prima di uscire alla sera.

 

 

Sul comodino

 

Da qualche parte ho letto che le donne scrivono di sentimenti meglio degli uomini. Il dibattito è aperto, sarei per il sì, ma nel dubbio, ho letto due libri scritti da donne.

Mary Miller – Last Days of California
E’ un piuttosto classico road book con al centro due sorelle e una famiglia che va verso la, letteralmente, fine del mondo, così come prevista da uno di quei guru del talebanesimo (si dice, ‘talebanesimo’? facciamo di sì) cristiano a stelle e strisce. La religione, fortunatamente, c’entra poco, i meccanismi fra le sorelle invece sono cuore pulsante della vicenda che ha un bel ritmo e fa appassionare con delicatezza e precisione narrativa. Un post scritto bene per invogliarvi alla lettura è qua.

Guia Soncini – Qualunque cosa significhi amore
Lascio perdere il ‘chi è’ dell’autrice che Google è qua di fianco e non è bello schierarsi a prescindere, quasi mai. Distoglierebbe l’attenzione da un romanzo ben scritto, fin troppo pieno di arguzia ma che chiudendolo mi ha fatto scattare l’applauso grazie al bel finale e a personaggi antipatici che abitano un mondo a me lontano (Tv, salotti milanesi, intellettualoidi alla deriva) ma resi molto bene e ai quali ci si affeziona. Una sorpresa positiva.