in fila al palazzetto

bgStare in fila è un’attività utile anche se non sembra. Si allena la pazienza e si fa antropologia – antropologia è la mia nuova parola preferita, praticamente il post lo scrivo solo per poterla scrivere ancora, a caso – restando in piedi con serenità, attendendo che la fila avanzi e ascoltando quello che la temuta, famigerata, antropologicamente fondamentale GENTE dice.
Le file a cui partecipo, solitamente per entrare in impianti sportivi, sono composte da una certa trasversalità sociale che, per comodità e hobby (com’era la cosa dello spettacolo che è guardare la gente che è gratis? Ok, quella cosa lì) si può decifrare dall’abbigliamento. Tute fashion e tute in acrilico, jeans anni novanta e jeans da vetrina, sneakers fake e tacco dieci, giacche a vento sponsorizzate da officine e Peuterey e così via.
Stanno riqualificando, ammodernando, il palazzetto di Reggio Emilia, ora circondato da un grande cantiere a cielo aperto, manna per umarells. Domenica si è disputata la prima partita di basket dopo l’inizio dei lavori di ampliamento e restyling. Fuori si è formata una fila discreta, una dodici, forse quindici minuti di coda per l’ingresso.
Roba da ridere per veri professionisti delle code, ma la fila notoriamente genera tensione fra molte persone.
L’approccio della maggior parte infatti si svolge antropologicamente in questo modo:
– arrivo al luogo dell’evento (parola orrenda, prima o poi scriverò un elenco delle parole che mi stimolano la repulsione lessicale) col sorriso e una certa fretta, anche se l’evento inizia dopo quaranta minuti;
– posizionamento in coda, però rallentando la velocità del passo;
– instant ‘TRUE ITALIAN Style 100%’ tentativo di sgamo per superare la massa di corpi, svicolando, cercando pertugi, volandoci sopra, qualunque cosa pur di non fare la fila;
– tentativo fallito a meno di essere maghi veri, l’altra sera ahimè non presenti;
– spegnimento del sorriso, sostituito da un broncio, accompagnato da domanda rivolta teoricamente allo sconosciuto vicino di coda, in realtà rivolta al DESTINO: ‘Perché c’è la fila?’;
– confronto col vicino forzato o con chi risponde alla domanda, elucubrando teorie, sparando illazioni, concludendo che nulla MAI funziona come dovrebbe, ovviamente senza sapere il perché si è in fila (dove sarebbe bello vigesse la regola del silenzio, tutti zitti, in attesa, ascoltando il tempo che passa, come una massa di peccatori diretti verso l’espiazione dei peccati, non verso uno spettacolo);
– esibirsi in una incredibile trasformazione, osservando i lavori in corso all’esterno, diventando in un’unica persona: architetto, esperto di viabilità, muratore, vigile e general manager di palazzetti moderni;
– esibirsi in gioia composta, quando si vede la meta, l’ingresso, per poi entrare in modalità ridanciana (‘e pensa se pioveva!’) che una signora con la piega del sabato pomeriggio condensa in un gioioso ‘Sono emozionata! Il nuovo palazzetto’.
(in realtà, il nuovo palazzetto, dentro, è identico a quello ‘vecchio’, ci hanno messo solo i seggiolini nuovi, per ora).

Per correttezza antropologica, nelle file si nota anche serenità, non solo astio e tuttologia, per esempio coppie di ragazzini che si sbaciucchiano, gente che guarda dei video, un padre che gasa il figlio probabilmente alla prima partita dal vivo, un vecchietto che sopporta stoico il mal di schiena, uno che scrive una bozza di post nelle note del cellulare, eccetera.
Da sottolineare un tizio che per correttezza di report chiamerò ‘l’avvocato’ perché un suo conoscente lo chiamava così. L’Avv. è stato il perno della discussione su ponteggi, scale e misteri delle file. Sapeva di tutto un po’, aveva letto di tutto un po’, indossava firme di successo, cosa che non c’entra, ma forse l’antropologia futura stabilirà un contatto fra un certo tipo di abbigliamento e il rompere i coglioni in fila.

 

Ps.: per estimatori dei miei post passati sulla piccionaia:
no, difficilmente ne leggerete ancora, ma volevo informarvi che ok, adesso in piccio ci sono i sedioli, non più il nudo cemento. I sedioli sono di plastica e hanno il poggia schiena. A me risultano piuttosto scomodi ma non faccio testo causa altezza, però mi sembra di stare sempre in posizione ‘falco che guarda le prede dall’alto’, inoltre il mio ginocchio sinistro risulta essere spesso a contatto con una vertebra del tipo davanti a me, subito avvertito del fatto che ’spiacente se ti punto il ginocchio, ma non saprei dove metterlo’. Il problema dei sedioli però è un altro. Come noto il microclima della piccionaia prevede una temperatura media di trenta gradi, senza il nudo cemento a rinfrescare e con il poggia schiena a trattenere il calore, sembra di essere in un guscio, cosi che la temperatura percepita si innalzi a sfiorare i trentatre gradi. Buono che nell’intervallo, sopra la piccionaia, vengano aperte le porte che danno sulle nuove scale esterne del palazzetto (sicuramente costruite con l’aiuto dell’avvocato/carpentiere) che permettono di rinfrescare vagamente la piccionaia.
Ps2.: per sportivi cestistici:
com’è la Grissin Bon di quest’anno? Nucleo italiano che gioca a memoria, Cervi che è molto migliorato dal suo anno avellinese, Aradori che fa il boss, Polonara che rischia di diventare ala di dominio, Della Valle sempre coi riccioli e la mano a rischio cannonate dall’arco lungo e gli stranieri nuovi che devono ancora inserirsi bene, ma paiono funzionali. A occhio, una squadra sempre da semifinale con la sigaretta e poi chissà.