Team Stupid

pg“Il mio voto parte dal sette e mezzo”.
Con questo commento deciso un tipo nella fila dietro di noi, si è meritato un cinque alto e ha sancito il successo di ‘Pain & Gain‘.
Questo film l’ha voluto fare Michael Bay, imponendosi una sterzata, o una pausa, dai suoi soliti film grossi e con tanti esplosivi dentro, per girare una storia vera, domani appureremo quanto vera, che racconta di una impresa criminale, un rapimento, commesso da tre palestrati coi muscoli cerebrali inversamente proporzionali ai bicipiti.
Il buon Michael, verso cui molte contumelie si sono riversate, anche recentemente a proposito di robottoni, ha centrato il bersaglio. Il film è molto più divertente del previsto, con una discreta dose action ma soprattutto è stupidissimo. Spingere sulla comedy è ovviamente un taglio di scrittura nel raccontare la vicenda (che viene narrata in prima persona dai protagonisti, scelta che a volte pare forzata ma infine funziona) ma c’è da dire anche che la vicenda, o meglio, i loro protagonisti, sono così stupidi che esistesse un gotha delle stupidità criminali, entrerebbero nei primi posti.
A tratti, e qua metto un po’ di steroidi ‘letterari’ nel post, mi è sembrato di vedere tracce di Elmore Leonard e dei suoi personaggi scombiccherati ma decisi a tutto pur di perpetrare fino in fondo i loro piani criminosi. Bay e i suoi sceneggiatori ci mettono un giusto livello di motivazione patriottica, una puntura di aminoacidi fatta di american dream e redenzione e poi li mollano all’azione. Dove ogni loro mossa è il FAIL e questo non può essere che un bene per un film che scorre via liscio, che esagera senza farsi dei problemi, col regista che si diverte un mondo ad infilarci i suoi stereotipi patinatissimi, i colori accesi, la Florida anni novanta, ralenti no problem e i suoi movimenti di macchina (addosso, attraverso buchi, in girotondo vorticoso).
The Rock si conferma uno dei nostri beniamini, mostrando ormai usuale brio comedy, Wahlberg ha quella mono espressione che in questo caso è un dono, in più ci sono una banda di caratteristi che funzionano, rendendo il film spassoso.
Una piccola, anche inattesa, chicca? Probabile. E comunque si parte da sette e mezzo, eh.

che faccio signò, lascio?

(rubrica a cadenza random di consigli musicali non richiesti)

immunityUna cosa electro: Jon Hopkins, tizio inglese a me sconosciuto fino a un paio di mesi fa. Elettronica ‘minimal’ così dicono, cinematica con balletti, dico io.
Colonna sonora post industriale per camminare lungo distretti una volta produttivi e ora piuttosto preoccupati, o preoccupanti. Lunghe vie con capannoni abbandonati che potrebbero ospitare feste ‘rave‘ dove ballare qualche brano in cassa dritta, per poi finire abbracciati, malinconici ma speranzosi, sentendo però che c’è un battito che pulsa sempre, un bip continuo, una cadenza che supporta una melodia per una speranza invisibile.

Bonus electro A: Fuck Buttons,  han fatto un nuovo disco che è magma sonico senza compromessi, con almeno tre brani (su sette) pesantissimi, con possibilità visionarie da cogliere nel fuoco sintetico oppure soltanto droga tagliata con musica elettronica per estraniarsi.
Bonus electro B: Disclosure, duo di ventenni inglesi di cui tutti han parlato. Fanno dance, house, muovere il capino e se non ti fanno muovere il capino o battere il piedino, non ballerai mai più. (prova) Se il vostro dj della spiaggia (esistono ancora?) non li ha in scaletta, abbattetelo.

satellites02Una cosa da cameretta: Satellites è il nickname dietro cui un londinese che vive a Copenaghen sguazza con classe in atmosfere pop-rock altamente emozionali, cantando con una voce che è uno spin off di quella di Matt Berninger.
Un disco molto bello, da ascoltare con cura dato che ispira amore per la musica fatta con amore.
(ascoltalo)

Una cosa chitarristica: Surfer Blood han fatto un cocomero con le chitarre, giusto giusto per la stagione, per bersi una birra ciondolando la testa. Se questo non vi basta, c’è un disco dell’anno scorso ma in heavy rotation da mesi, soprattutto dopo averli visti dal vivo. Sono gli Allah-Las, sound anni settanta dalla West Coast che contribuisce al ciondolamento e pure al dinoccolamento, in ciabatte, sognando California o Cervia che è più vicina. (hanno un tumblr, son troppo fighi)

Una cosa jazz: pochi giorni fa ero a un concerto. Piano trio, classic. La pianista, dal giappone con tubino nero e tacco dodici, mi ha tirato la scuffia jazz del momento. Mani rapide come lingue di fuoco pianistico che si abbattevano sulla tastiera. Ha eseguito una versione di ‘Take Five‘ affrontando la partitura come se avesse conti in sospeso con la stessa, da regolare con la forza impressa dai polpastrelli sui tasti, in una versione ‘jazzy-heavy‘ trascinante, poi ha reso molto grossa la versione omaggio di ‘Estate‘, inspessendo la musica fino a renderla violenta. Uno swing ed una energia eccezionali senza perdere il tocco. Si chiama Chihiro Yamanaka, non fatevela sfuggire.

broadwayUna cosa soul, R&B, antica: Myron and E sono un duo vocale. Convinti? No? Duo vocale. Figata. No? Ok. Allora via, andare in soffitta, recuperare croonerismo black, con molto soul e arrangiamenti di gusto e d’annata per un disco incantevole, scoperto cercando tutt’altro. Retromania, e così sia. Per limonare, ballare, darsi la crema, tutto sotto l’ombrellone. Disco dell’estate totale sulla spiaggia che scotta.

That’s all folks, have fun.

qua è dove si urla ‘Fuck Yeah Robottoni!’

PRCol senno di poi e dopo due ore e qualche minuto di pura gioia, si sapeva che ‘Pacific Rim‘ sarebbe entrato dritto nei film da amare sempre.
Vivo in posti che ‘una volta era tutta campagna‘, ma anche un po’ adesso. In questi posti, andando in macchina per esempio verso il cinema della cittadina più vicina, si vedono campi di grano, con sopra balle di fieno. Sono belle rotonde (quelle rettangolari no, che fanno troppo modernità e poca romance) e si abbrustolisco al sole.
A quarant’anni, non ho ancora smesso di sognare a occhi aperti cose che non so se altre persone vedono. Come per esempio, robot (o mostri, dipende) che usano le rotoballe come munizioni per attaccare paeselli o per combattimenti in campo aperto fra robot (o mostri) di diverse fazioni. Un retaggio, probabilmente, di una gioventù passata, anche, ad inventarsi guerre fra mondi inesplorati con pupazzi e giocattoli e a fermare il mondo familiare per non perdersi la puntata di ‘Goldrake‘, lanciando lame rotanti per pomeriggi interi. Quindi, a me ‘Pacific Rim‘ lo han venduto in un secondo.
Robot grossi che difendono la terra dall’attacco di mostri grossi. Facile. Il film te lo dice fin da subito com’è. Facile, appunto. O ci stai o no. Se ci stai, preparati ad affrontare l’apocalisse, preparati a vivere un esperienza cinematografica diversa.
Una cosa diversa al cinema, è merce sempre più rara.
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il ranger (nel nostro cinema paradiso)

Forse la cosa più interessante da dire su ‘The Lone Ranger‘ è che per essere un film Disney a un certo punto (mezzo spoiler alert, ma suvvia, si sa come finisce il film no? non conoscete il ‘Lone Ranger‘? no, nemmeno io, essendo il personaggio piuttosto datato, ma insomma, avete finito di leggere se vi interessa non sapere nulla della trama? ok) mette in scena un mezzo genocidio e dice senza mezzi termini che gli USA, che è poi vero ma oh, sono nati sul sangue di un popolo sterminato. Una cosa da niente, con una carneficina che mostra sprezzo del pericolo e del rating PG-13 e un certo strabismo, sicuramente avallato dall’ufficio marketing della Disney, perchè oltre a questa cosa il film (che punta a rinverdire i fasti commerciali dei Pirati, con lo stesso team di produttori, registi)  si rivela poi essere una commedia action in ambito western.
E, nonostante le pesanti bocciature dei critici, è piuttosto divertente. Anzi, la prima ora è proprio buona. Verbinski si conferma uno dei pochi a sapere cosa farsene dei tantissimi soldi a disposizione, Johnny Deep fa un personaggio che a tatti regge il film e, surprise, varie volte mi ha fatto ridere, Hammer è la conferma di avere davanti un buon attore. Per il resto il fim gioca palesemente con tutti gli stereotipi del genere, inquadrature incluse, per esempio la camera che fende il fumo del treno. Ciò è cosa buona e giusta visto che quando c’è del western io sono sempre IN. Le scene dei treni valgono il biglietto e le due ore e venti di durata quasi, quasi eh, non si sentono, anche se una sforbiciatina era doverosa. E poi, con gli occhi che si intonano a tutto, c’è Alice Morgan che per tutti i fanz scatenati di ‘Luther’ vuol dire punti bonus di gradimento.

Quindi, esco piuttosto sorpreso e quasi soddisfatto, dalla sala. Ultimo film della stagione per il magico, irresistibile, un vero indiano nella prateria dei multisala, cinema del paesello. Doveroso frequentarlo, anche solo per salutare il gestore.
‘Allora, ultimo film dell’anno?’ ‘Eh, la Disney me l’ha fatto prendere, ma va bene così. Non è male, vè’. ‘E la prossima stagione?’ ‘Vediamo a settembre, se la salute ci assiste’.
Ben detto, caro gestore della ‘riserva’, vero ranger di noi pochi fedelissimi, silenziosi e concentrati visionari del sabato sera, che lo stimiamo molto quando si precipita fuori a cicchettare regazzini stupidi e irrispettosi della magia contenuta in questo cinema, che bussano dall’esterno alle porte di sicurezza della sala. Infami. E lunga vita al nostro ranger cinematografico.

 

Salvo, Superman

slvL’altra sera sono andato al cinema per vedermi ‘Superman’. Decisione dell’ultimo momento, sapevo solo che ‘Superman’ volava in quel cinema. Arrivato, scopro dalle locandine che era in programmazione anche ‘Salvo‘, film italiano presentato a Cannes, girato in Sicilia, opera prima di due registi/sceneggiatori italiani che finalmente trova distribuzione nell’estate poco calda dentro e fuori le sale. kekkoz nei pregiudizi aveva dato la bomba, io premio il coraggio del cinema nel programmare un film che sicuramente non è da incassoni, pago col bancomat il biglietto d’ingresso, mi sistemo in mezzo alle altre nove persone e BAM. Un piano sequenza lunghissimo, intenso e pesantone, apre una storia piccola e intima di mafia, seguendo il rapporto che si instaura fra un killer ovviamente silenzioso e una ragazza non vedente che ascolta in duro repeat un pezzo dei ‘Negramaro’. (solo al termine del film scopro che non erano i Negramaro ma i Modà. Io e la musica italiana da classifica, un rapporto vincente)
Una storia che tiene la tensione, creando un ambiente chiuso, grazie a fin troppe poche parole (necessarie, in un paio di passaggi, di sottotitoli per non parlanti il siculo stretto) e a un lavoro enorme sui suoni (spesso, per mancanza di soldi, ma piace pensare, per avere avuto l’idea che le cose si sentono accadere).
Qualcosa da ridire sul finale forse, dove il film paga l’autorialità eccessiva, ma tutto sommato, promosso a pieni voti.
Consiglio, spero non solo per cinefili.

s_Non contento il giorno dopo torno per ‘Superman’. Aspettative bassissime perché al timone dell’ennesimo tentativo di rinfocolare il gasamento per il primo fumetto trasposto in celluloide, c’è Zach Snyder, firmatario di un film per fasci e di uno dei più brutti lavori degli ultimi anni, nonché di un film sui gufi ma lasciamo stare.
Eppure, incredibilmente, nonostante la storia notissima e la durata olimpica, non mi sono mai annoiato.
Il film ha un buon inizio con Russel Crowe che gigioneggia bene, tanto che vorrei lo spin-off/prequelone su Krypton. Poi racconta vari momenti della crescita terrestre del nostro, si perde in inutili passaggi dove si instilla con grazia di come Superman = Gesù = ma lascia stare Zach che è troppo sottile per te, e poi esplode in un finale dove spaccano tutto.
Finale lunghissimo dove ci sono corpi che bucano grattacieli e dove Snyder dà il meglio di sé (l’azione) recuperando così i momenti di inutilità e una scena molto ‘EEH?!?’, quel momento riderissimo dove c’è la mega spiega di cos’era la civiltà kryptoniana, col plastico in movimento color argento metalizzato, che scorre dietro la figura di papà Crowe a sua volta digitalizzato dal passato. Poi c’è Amy Adams che dona un paio di punti in più perché sì, il cattivone Michael Shannon che non spacca come potrebbe, probabilmente frenato dalle capacità registiche, valoroni americani a pioggia incarnati da Kevin ‘Daddy’ Costner. Non mi sono addormentato, mi sono perfino un po’ gasato, molti dubbi su un paio di cose nello script, chissenefrega, le patatine erano buone, a posto.

Bloodbuzz Roma

3483f5d4e1b711e2a2ab22000a1fb84b_7Sarà l’estate.
Sarà il profumo dei tigli e dei glicini, che riempie i sensi e abbassa i rumori di una città.
Sarà la luce gialla che si fonde nel rosso di una domenica sera, mentre il tramonto riscalda i riflessi degli esoscheletri architettonici di Renzo Piano.
Sarà l’aria tiepida che accarezza il bel prato lucido all’ingresso dell’Auditorium.
Sarà che parte il drumming ipnotico di ‘Squalor Victoria‘ e a me sembra che sia la Vittoria della Bellezza.
I The National a Roma.
Hai già visto il concerto di Ferrara, che un po’ sembra ieri e un po’ sembrano due secoli fa, ma è come se fosse di nuovo la prima volta. Matt, stiloso e di scuro vestito, lancia microfoni, aste, corre fra le gradinate, sempre magnificamente elegante. La classe non è acqua, forse nemmeno vino bianco, probabilmente dei castelli, che il nostro beve per vincere le sue paure, senza perdere il ritmo del concerto.
Mi giro spesso a guardare la cavea. Il pubblico è attento, educato e rapito. Le canzoni si susseguono rapide, il tempo vola, in un loop di malinconia, rabbia, consapevolezza e alla fine ci ritroviamo tutti, con molto amore, a cantare ‘Vanderlyle Crybaby Geeks, con vecchi o nuovi compagni di concerti a fianco, come abbiamo già fatto e come forse, speriamo, rifaremo.

(testo e foto -> @Cayce -> quasi twit-star, pilatessa PRO, appassionata di Roma e di un romano in particolare)