Copa da Cerveja #5 (la fine dei gironi, fra Cinderelle e resistenza)

 

prosegue la #copadacerveja. dal bar del paesello, birrette e partite del mondiale 2014 (qui, le puntate precedenti)
(nei link, twittamenti, rating di birre e altro) 

 

foto 1 (4)Lunedì 23 giugno, 18,44
Il lavoro colpisce duro al lunedì, arrivo che l’arbitro fischia la fine del primo tempo. Punto perso nella disfida del bar, dove chi vede più match vince free drinks per la finale.
Una Kitzmann Edelpils, rimette subito in sesto la serata.
Ultimo turno dei gironi.
Doppio appuntamento tv, doppa partita. Nel secondo tempo si segue ‘diretta mondiale‘.
Zapping del regista Sky fra le due partite, ci capisco poco, gli oranje segnano e dominano il girone, la Spagna fa i tre punti della bandiera prima di salutare.
Saluto anche io, a dopo.

foto 2 (2)Ore 22,04
Palleggio fra le due tv, Rai per i padroni di casa brasiliani, Sky per Mex-Cro. In piedi a metà bar mi massaggio il collo, palleggiando gli occhi sulle tv, seguendo spezzoni di entrambe.
Legnate croate, spintonate dei leoni agli avversari, traversa messicana, vantaggio brasileiro.
Difesa verde oro un minimo da registrare, di là poca roba, Neymar sdoppietta.
Secondo tempo. Ammerndorfer, quella rossa, spezial e buona.
Non ce lo vedo un bimbo brasiliano che si gasa per un centravanti come Fred che comunque segna. Ah, in fuorigioco. La ballotta pensa già di puntare sul Cile ai quarti.
Que viva Mexico che ne segna due in un amen e passa il turno, premio tifosa del giorno alla tizia vestita da Frida Kahlo, premio mister ad Herrera che ha pancia giusta, mimica tempestiva, bella disperazione, eccellente esultanza.
E’ mezzanotte e non ci sono più incontri in notturna. Come Cenerentole abbandonate, andiamo a letto, orfani della partita, senza la carrozza di divertimento e sonno, un po’ tristi, come se tutto fosse già finito. Anche questa è #copadacerveja

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Copa da Cerveja #4 (la grande abbuffata)

 

C’è gente che porta il divano allo stadio. Qua, si va al bar.
Prosegue #copadacerveja, birrette & mondiali.

let's start
let’s start

Giovedì 19, ore 18,15
Prima birra dell’abbuffata per Colombia-Costa d’Avorio.
Ammerndorfer, Quella verde‘.
Non faccio in tempo a pensare che la Colombia non mi esalta che prendono un palo e fan due gol con bonus di balletto celebrativo. Poi quel grande giocatore di Gervinho regala l’entusiasmo. Guizzi africani alla caccia del pareggio con gran tifo del bar. Secondo tempo sontuoso e spettacolare, vince la Colombia, giusto. Breve pausa.

Babz, da Firenze
Babz – Firenze

Ore 21,10. Tifo duro per l’England perché sì. Arriva contributo da Firenze: ‘Birre da pochi cent per partite con molto hype‘.
Suarez spacca il match, poi sagra degli angoli british. Nel secondo tempo la seleste uruguagia ha un paio di chance poi scatenaccia.
Su assist del telecronista, parliamo della morosa di Sturridge, megamodel che alza la cinquanta milioni di sterle l’anno e boom, Rooney. Manco il tempo di esultare che su assist inglese Suarez la appoggia piano.

Dandy – Marino (Roma)

A volte mozzica gente ma questo è forte davvero‘. (cit.)
Arriva #copadacerveja dal sodale ‘er Dandy‘ che tiene fede al suo nickname e manda contributo da Marino.
L’England non ce la fa proprio ad essere protagonista e al fischio finale instant mood di calcoli per il passaggio della nazionale. Immagino il ‘Sun’ domani, se quello di stamane apriva così.
Il passaggio dalle undici a mezzanotte è un golgota di stanchezza, al quindicesimo minuto di Giappone-Grecia non vedo più la palla, abbandono con mestizia.

 

 

(pausa)
lo stolto guarda il pallone, convinto che il calcio sia esclusivamente quella cosa rotonda e non il modo in cui la si approccia
(cit.: ‘Ultimo Uomo‘)

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Copa da Cerveja #3 (la strada è lunga ma è una bella strada)

cerveja e 2-0 tedesco
cerveja e 2-0 tedesco

Lunedì, 16 giugno. 18,15
Abbiamo giocato triplo over sui match di oggi. Il tempo di ordinare la #copadacerveja che arriva il raddoppio tedesco.
Il bar frigge di battute in basso politichese quando appare la Merkel in giacca rossa sporty.
Espulso Pepe con zelo ma non senza motivazione, avventore si lancia in ricordi di espulsioni mondiali di edizioni passate.
Poi arriva la terza rete deutsch e ciao.
La Germania è troppo forte tranne quando incontra l’Italia‘ (cit.)
La Germania ce la ritroviamo di fronte‘ (cit.)

 

weiss e sostituzione Nigeria
weiss e sostituzione Nigeria

21,04
Vera partita imperdibile per malati di mondiale è Iran-Nigeria.
Il livello del mio nerdismo esonda al calcio e sono l’unico interessato al match e l’unico seduto in bar.
Imprecisione in campo. Una weiss per me che qua le partite avanzano e la selezione birre va a finire.
Gutmann Hefeweizen, non troppo pesante e gustosa per essere una weiss.
Iraniani rocciosi, mentre arrivano rinforzi accanto a me. Proviamo a gasarci ma non vediamo manco un cross fatto bene. Maglia nigeriana che fa perdere diottrie.
Queste non fan gol nemmeno se giocano tutta notte‘ (cit.). Difatti, over saltato, primo pareggio del torneo.

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Il barman lotta con noi e scatta #copadacerveja durante la notturna USA-Ghana.

 

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Copa da Cerveja #2 (il primo weekend, non si scorda mai)

foto 1
cerveja e mister mexicano

Venerdì, ore 18.
27 gradi a Natal, 4,8 gradi la Altmuehlthal beer, lager bavarese.
Il Messico ha bomber Dos Santos, che segna dos gol sul filo del fuorigioco e gli vengono annullati. Isso lo striscione ‘Instant replay‘, la FIFA sentirà fra vent’anni, pazienza.
Camerun con modulo corriamo a caso e speriamo, Messico più organizzato. Assou-Ekotto  grandissimo look con capello cespugliato e bella corsa, adesso chiamo Sabatini e glielo consiglio. Gli aperitivi volanti della clientela si mescolano con le domande sulla partita.
Secondo tempo, apriamone un’altra. Messico in vantaggio con tifosi che ridono sotto le maschere da Ray Mysterio e sombrero. Camerun non fa molto per l’X, fa invece molto caldo nel bar,  con mezza noia finisce 1-0.

foto 2
01,35 mondiali notturni = bene

ore 00,10
Niente Spagna-Olanda che ci sono, strano, altri impegni.
Si arriva al centro da Copa Da Cerveja. 
Il tempo di ordinare il caffè e il Cile raddoppia. Pare in controllo ma gli aussie si gasano, accorciano e ci gasano, tanto che scatta tutto uno stappamento di Ichnusa notturne. Giocatore del match, bomber Cahill, in cui riponiamo le nostre speranze. L’Australia non ce la fa, nonostante il nostro tifo. Mondiale di notte, spettacolo, si arriva alle due quasi in carrozza.
Ciro Ferrara al commento, non si può sentire. Dai, fate dei test prima di mandare gente che non sa stare dietro a un microfono ma ha un passato.

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Copa da Cerveja

Ho un rapporto conflittuale con la nazionale di calcio. Per motivi che non sono solo calcistici.
Perché il codice etico ahahah; perché i giocatori della Juve mi stan sempre antipatici, anche con la maglia azzurra; perché la gente che si ricorda dei mondiali e poi sputa sul calcio il resto degli anni, anche no; perché il nazionalismo aperto solo per il football mi sembra uno spreco e altri motivi più o meno importanti.
Però, come ricordava ieri un mio amico, quando poi son davanti alla partita, scatta quel black out della logica da cui nasce il tifo. Lui si ricorda benissimo della mia esplosione di insulti folli verso la tv e i santi e il resto del mondo, dopo la sconfitta con la Slovacchia nel 2010.
Insomma, a me il calcio piace e quando arrivano i mondiali sono, come dice l’ottimo John Oliver nel video qua sotto, both excited and extremely conflicted about it.

Il mondo va così, un po’ di merda, e mentre noi ce ne stiamo a scrivere post di vario genere sui mondiali c’è gente che manifesta e viene menata. Al riguardo, leggetevi anche questo, magari. E anche un pezzo sulla mafia pallonara, magari bis.

Dopo il momento del moralismo da smartphone, inizio questa rubrichina, che avrà cadenza casuale detta anche ‘nonsisacomeoquando‘.
Il titolo è ‘Copa da Cerveja‘, coppa della birra.
Che non sarà l’orrida Bud, sponsor senza scrupoli (vedi, ancora, perché andrebbe visto molte volte, il video di cui sopra) e senza gusto, bensì saranno le birre del bar.
Non ho Sky, non lo faccio e mi guarderò le partite, mica tutte eh, appunto nel bar che frequento di solito.
Due schermi grandi, un frigo grande, con molte birre import formato 50cl.
Chi volesse aggregarsi e scrivere dei post a tema mondiale+birre, ‘Copa da Cerveja‘, è ovviamente libero di farlo, qui (mandatemi una mail) o dove vi pare.
#copadacerveja hashtag ufficiale della manifestazione, per il LOL.
Regole: una foto della birra che stai bevendo mentre guardi una partita, con magari lo schermo tv sullo sfondo e qualche riga più o meno alcoolica sul match, un giocatore o l’ambiente che ti circonda.
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digital paesello

Il cinema del paesello ha resistito a tutto. Apertura di multisale, crisi economica, diktat della distribuzione, offerte immobiliari, cambi generazionali. Eppure, è sempre al suo posto.
Fuori, la rassicurante scritta al neon, il cartoncino con la scritta rossa su sfondo bianco ‘Questa sera’, attaccato con le puntine sopra alle locandine. Dentro, il velluto che ricopre le pareti della sala e trattiene anni di emozioni cinematografare, di bambini che ridono, ragazze che si commuovono, anziani che passano il tempo, coppie che si tengono per mano, maschi che si esaltano per un paio d’ore.

Il cinema del paesello però non ha resistito alla tecnologia. Digitale. Prendere o lasciare. Fine delle pellicole, delle ‘pizze’, che costano troppo, prendere o lasciare. Per nostra (plurale paesello maiestatis) fortuna il gestore ha detto sì al cambiamento, ok alla rivoluzione digitale.
Il termine rivoluzione non è casuale. ‘X-Men’ è stato il primo film proiettato in digitale nel cinema del paese. Sessantuno anni dopo l’apertura. Il numero me l’ha detto il gestore del cinema, mentre, curioso e grato per la cortesia, ero con lui a vedere la novità.
Alla sala proiezione si accede salendo una stretta scala di cemento che sbuca in una stanza dove al centro ora troneggia il proiettore digitale nuovo di zecca. Una specie di computer da tavolo più grosso, con le ventole che vanno fortissimo e vari led. Sul tavolo, un bloc notes a quadrettoni con gli appunti per lo spegnimento, perché “ho dovuto fare un corso accelerato per imparare come funziona”, perché se accenderlo è un attimo, per spegnerlo occorre raffreddarlo.
Poi, non è che facciamo troppo i sentimentali, che il digitale va bene, i film si vedono ovviamente meglio e il gestore ha anche la comodità di avere un computer di fianco alla cassa, al piano terra. Un gesto del braccio, invio, e voilà, si parte con la proiezione.

Ma mentre diceva sessantuno, quel numero di anni di lavoro in celluloide che è enorme se ci pensi  – e sarebbe ancora più bello sapere il numero dei film proiettati in quella sala, dalle rassegne con cento titoli a poche lire, a ‘Titanic’ che rimase in programmazione un mese e forse più, ai film d’essai con sempre meno pubblico, alle domeniche con la doppia proiezione coi cartoni al pomeriggio e i drammatici alla sera, alla paccottiglia pseudo tv ai Marvel moives –  e, dicevo, mentre sottolineava che “Dopo sessantun anni mi è toccato cambiare tutto qua”, il gestore ha dato uno sguardo, quasi una carezza caritatevole ai due proiettori, parcheggiati ai lati della sala, che sembravano animali da divertimento, ingobbiti sotto il peso degli anni, ma anche un po’ fieri di avere caricato tutti questi rulli, essere stati la colonna portante di un’istituzione.
E mentre diceva quel numero, qualche frammento di tutti quegli anni gli dev’essere passato davanti, la memoria un proiettore in costante aggiornamento e per un attimo avrei voluto abbracciarlo forte e dirgli ‘Grazie’. Grazie, gliel’ho poi detto lo stesso.
Bella Cocco, daje sempre.

 

xIl nuovo ‘X-Men‘, è figo e lo dico senza essere fan dei mutanti. Il giochino dei salti temporali alla base della trama è sempre rischioso, qua viene usato in maniera piuttosto brillante, per prendere il meglio, diciamo pure la figaggine, della saga dei mutanti.
Ci sono tutti i vostri preferiti, una epicità gagliarda e non ci si annoia mai. Già annunciato il prossimo per il 2016, ma visto che questo capitolo mi è sembrato piuttosto… ‘completo‘ diciamo, voglio proprio vedere cosa tirano fuori. La piccola scena in preview post titoli di coda non dice molto, ma insomma, aspettiamo e  vedremo.

 
Imperdibile, anche se non vi piace Tom Cruise, è ‘Edge of tomorrow‘.  La trama comeldr ho letto in giro, mescola ‘Groundhog day’ e ‘Indipendence day’, giorni e battaglie che si ripetono, combattendo l’invasore alieno. Fantascienza da blockbuster, un ritmo impressionante, belle battute, azione d.o.c., alieni con spire e Emily Blunt che ogni volta appare sullo schermo il mio cuoricino sussulta perché poi ho le mie debolezze. Alla fine della proiezione ero entusiasta come veramente poche altre volte negli ultimi anni, è passato qualche giorno e ne scrivo solo ora. Adesso che ci penso lo voglio rivedere.

la Lady

Si avvicinò al B&O nero scintillante. Play.
Un pizzicore di chitarra uscì dalle casse piccole ma potenti. Prese una sigaretta dal pacchetto bianco, accese. Nuoce alla salute ma in quel momento poteva. I suoi ospiti avevano fumato e lei poteva starsene davanti alla finestra ad aspirare lente boccate senza aprirla.
Fuori le gocce di una pioggia primaverile e lenta iniziavano a picchiettare il terrazzo davanti ai suoi occhi. Dietro di lei briciole di dolce sulla tovaglia insieme a bottiglie di acqua mezze vuote, briciole di conversazione ancora nell’aria. Erano scappati. Alla partita i figli, in bar per vedere la partita i padri. L’altra madre non era rimasta con lei, fuggita a godersi poche ore di libertà.
Guardava pigramente i contorni conosciuti dello scenario immobile oltre i vetri. Il pino gigante, la villetta simile alla sua, ma con colori e qualche particolare diverso, come quel gioco per enigmisti alle prime armi, ‘trova le differenze’, solo che lei le differenze le conosceva da tempo, così come da tempo quell’angolo ero il suo piccolo rifugio.
Stava sempre nello stesso posto. Sul lato sinistro rispetto alla grande finestra. La spalla che sfiorava il muro come a percepire la sua casa, un braccio sul petto, l’altro dritto a reggere la sigaretta, il fumo che disegnava arabeschi che accarezzavano il vetro, una gamba piegata in avanti, quasi pronta a scattare, comunque.
Come le aveva detto una volta l’amica ‘sembri una lady‘. Da allora, quel soprannome.
Non si era lasciata andare quasi mai nella sua vita. Le era andato bene così. Niente da segnalare, fino all’università dove il bacio accademico era il principio di una brillante carriera. Poi, lui e quella sera dove, sì, si era lasciata andare, verso una vita che non aveva previsto. Pappe, ciucci e senso materno inatteso mentre lui, lui sì, spiccava il volo verso i sogni comuni. Era divenuto lui il professionista, lei era la signora. La Lady.
La Lady, come l’aveva chiamata lui, l’altro, quel pomeriggio che lo aveva, imprevisto, invitato a casa sua. Non se ne capacitava allora come adesso a ripensarci, mentre il primo brano del cd finiva e iniziava la seconda sigaretta. Lui, dopo, in mutande, le aveva scattato quella foto. Gliela inviò dopo mezz’ora, via mail. La dedica. ‘Alla mia Lady‘. Lei, ferma, come in quel momento. La spalla, la sigaretta, il pino nel giardino dei vicini, enorme, a guardarla come un giannizzero.
Guardava fuori mentre la cantante si sforzava di accoppiare lirismo ed entusiasmo. Pioveva piano con calma, come si addice a una domenica pomeriggio. Come le capitava spesso si concentrava sulla fessura, uno spazio di mezzo centimetro, il confine fra il prima e il dopo quello che i professionisti avevano battezzato ‘il progetto’.
Una ristrutturazione dell’appartamento, per un secondo figlio che non era arrivato. L’unica concessione del padrone di casa alla, stando ai libri di studio, donna di casa, fu quella. Un terrazzo più grande, chiese lei. Si concentrò su quello spazio, un rigo nero dove scorrevano ricordi che in quel momento voleva ricordare, spinta dalla voce malinconica della cantante.
I passi troppo veloci e insicuri del figlio che cadeva proprio a metà terrazzo, sbucciandosi un ginocchio, urlando fortissimo mentre lei lo salvava per un pomeriggio, per poi tornare nell’abbraccio paterno, a cui somigliava ogni giorno di più.
Le tante serate estive con il jazz, che lui diceva lo rilassava, a far da colonna sonora a un rumore di noia che, a quanto pareva, sentiva solo lei.
Lui quella sera, quando giocherellando con l’anello lo aveva perso e manco a farlo apposta, era rotolato nella fessura. Poteva restare lì, come un segnale, come un ammonimento. Un tesoro senza Gollum a recuperarlo. Lui le aveva provate tutte, non si era arreso, aveva fatto arrivare un aspiratore industriale che lei aveva temuto potesse danneggiare casa e invece lui l’aveva avuta vinta, come sempre. L’anello era tornato al suo posto, intorno a lui era cambiato tutto da tempo.
E poi, il figlio e il padre, lo stesso sguardo sdoppiato che la inchiodava alle sue responsabilità, che la guardavano distante, mentre preparavano la griglia di tante serate estive a mangiare fuori. Lei, sempre a sfiorare il suo muro come sfocata, come se la vetrata fosse un velo fra due mondi, ormai scomparsi.
E poi l’altro, che fuggiva coi piedi scalzi, la pianta del piede che passava proprio sulla fessura, sorpreso dal rumore della porta che non si apriva, fortunatamente chiusa col lucchetto. L’altro che spariva dal balcone, saltando nel giardino, un piano sotto. E che era ritornato, sempre più spesso, nei mesi successivi.
Era ritornato anche sul tappeto, dove poche ore dopo i loro gemiti erano stati sostituiti dalle urla del padre e dalle ginocchia del figlio. Lei, in piedi, le spalle che sfioravano il muro.
Poche ore prima, mentre aspettava gli invitati, era nella stessa posizione, il grande lampadario di cristallo che riverberava della luce del mattino. Ripensava alla decisione. Era da prendere, sollecitata dalle parole dell’altro, dallo sguardo distratto del marito al quale aveva dato progetti e futuro che lui non aveva raccolto, concentrato sui propri. Il figlio se ne sarebbe fatto una ragione. Aveva dato quello che poteva, aveva lottato per non farne fotocopia maleducata del padre, senza successo apparente. Poteva ancora provarci ma non ne aveva più voglia. Era da prendere, la decisione. Glielo chiedeva la Lady, ferma davanti alla finestra, a guardare l’albero corazziere, a guardare la fessura sul terrazzo dove era caduta la sua giovinezza, a fumare sigarette ormai senza sapore. Si vedeva qualche anno dopo, gli stessi pensieri, la stessa immagine, l’identica figura, un fossato dove la sua spalla poteva appoggiarsi sempre. Sempre più distaccata, sempre più appoggiata al muro fino ad essere tutt’uno con quella casa che non voleva più.
Si staccò dal muro, aprì la finestra, gettò il mozzicone sul balcone, andò allo stereo, spinse stop.
Il silenzio la assalì, come se fosse un agente al soldo del marito, pagato per perturbarla, per trattenerla. Estrasse un vecchio cd. James Brown. Lo ballava da ragazzina. Lo ascoltava con l’altro, le volte che era stata sua ospite. Finì di sparecchiare, accennando una scivolata sulle ciabattine da casa, ogni volta che il buon vecchio James cacciava un urletto. Spalancò la finestra, inspirò il profumo della pioggia, scuotendo la tovaglia di lino. La piegò e la sistemò nel cassetto della cucina. Spazzò per terra, con vigore, a cercare in un gesto ripetuto di scacciare qualcosa che era più sottile della polvere che le setole raccoglievano. Controllò l’orario mentre il funky in levare la sorreggeva. Passettini si diressero verso la camera, la musica un serpente di ritmo che la sospingeva. Infilò scarpe con un tacco basso. Sfilò la borsa già pronta dall’armadio. Firmò la lettera che aveva già scritto, poche parole che spiegavano l’ovvio, che rispondevano a domande, oppure no.
Non resisto più. L.
Era la firma su un saluto, un arrivederci pensava, forse non avrebbero nemmeno pianto. Senza forse.
Spense James mentre i fiati squillavano come a sigillare il momento. Accettò il silenzio, annusando l’aria stantia di sigarette e umidità e tempo immobile da troppo.
Guardò l’angolo della Lady, vide una statua immobile, una figura, un adesivo che si stava staccando, una figurina che un paio di forbici esperte aveva ritagliato, lasciando un buco, un riflesso sulla finestra che spariva. Pensò che era la terza volta che si lasciava andare. Prese il telefono, chiamò.
E la Lady sparì da quella casa.

Palco n.25 OR.1/D (S03, the season finale)

Il primo post su WordPress è datato sei anni fa esatti. Splinder non andava più. Raccontava del ‘Primavera.
E questo non è un post dove un tizio che ha un blog da anni ne annuncia la chiusura.
No, finché mi diverto, il blog rimane.

Però mi sembrava giusto “celebrare” e visto che ieri sera ero a un concerto di classica, ho pensato anche che ultimamente non ho trovato la spinta per scrivere dal ‘Posto Palco‘. Rimedio così, per la gioia dei tre fan di questa rubrichetta.
Dieci cose dal posto palco che non ho scritto quassù.

Uno: le braccia di una violoncellista possono essere la cosa più sexy vista negli ultimi tempi. Sembrano uscite da uno studio anatomico, magre ma lievemente tornite, accompagnano l’archetto, le dita tese ma leggere che aggrediscono le corde, strizzandole, a disegnare scenari di perfezione sonora;

Due: un palchetto per due nel secondo ordine, abiti da sera, una smodata onda romance che sale dall’orchestra, sono cose che miscelate possono fare scattare un lunghissimo e appassionato bacio in una coppia giovane che poi, non si staccherà più per l’intera durata del concerto;

Tre: Le giovani pianiste, di fronte a un giovane pianista, hanno occhi che brillano di note e sogni modellati da tasti bianchi e neri (e Chopin fa sempre bene alla salute)

Quattro: i corridoi del teatro sono posti sublimi per rivelare segreti;

Cinque: la prossima stagione la vorrei completamente dedicata a compositori nati nell’ex Unione Sovietica, per passatismo e bellezza, grazie;

Sei: non ho abbastanza fantasia da pensare a un giallo ambientato interamente dentro al teatro, durante un concerto e diviso in capitoli che riprendono i movimenti delle sinfonie. Se qualcuno vuole offrire suggerimenti, è il benvenuto;

Setteoceano di sedie, che poi vengono riempite da un solista norvegese al piano, orchestra multinazionale agli strumenti, coro praghese alle vocione. Quando sale tutto, verso la fine della composizione, a pochi metri da me, mi è parso proprio di vedere la perfezione fatta musica. D’altra parte proprio Beethoven diceva: ‘Soltanto l’arte e la scienza innalzano l’uomo sino alla divinità‘.

Otto: ‘La facoltà di creare non ci viene mai data da sola, è sempre accompagnata dalla capacità di osservazione e il vero creatore si riconosce in quanto trova sempre attorno a lui, nelle cose più comuni e  più umili, elementi degni di nota’. Igor Stravinkij

Nove: credo di averlo già detto, ma quando muoio, chiamate un quartetto d’archi per suonare qualcosa. ieri sera, la finale del concorso ‘Paolo Borciani’. Tre quartetti di giovani musicisti, uno più figo dell’altro e un giornalista giapponese di cui ho scritto su IG. Per la cronaca il mio 4et preferito è finito al terzo posto, giusto per ricordare la mia ignoranza in materia, ovviamente gli altri sono stati eccellenti. Puoi ascoltare le esecuzioni della serata finale a questo link.

Dieci: ci rivediamo l’anno prossimo, che il posto palco è un bellissimo posto.
Pp

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