Le canzoni pref.

Qualche settimana fa un’amica per festeggiare il suo compleanno ha chiesto ai suoi ‘followers’ di inviarle una playlist contenente le loro ‘canzoni preferite’. E così, mi son messo lì a pensare alle mie canzoni preferite perché mi sembrava una bella richiesta e perché la cosa aveva il profumo digitale degli anni dei blog musicali, delle discussioni infinite su Friendfeed, del web quello con le liste, le classifiche, i post a punti.
All’inizio ho avuto molti dubbi. Come si scelgono le canzoni preferite?
Se sei una persona per cui la musica ha un ruolo nella vita che non sia solo sottofondo ma qualcosa di più, è una domanda impegnativa perché le canzoni preferite sono un argomento quasi definitivo e pure scegliere certe canzoni ti definisce proprio. (certo, stiamo sempre parlando di musica, ma minimo minimo, parlare di musica è una delle cose più belle che ci sia anche perché, parlando di musica, si finisce sempre, ma sempre eh, a parlare di qualcos’altro, spesso di noi stessi).
Quindi come si fa? Si pensa alle band della vita e si va a scegliere un disco e da lì una canzone? Si calcola, seguendo tabelle personali e mutabili, l’importanza di certi pezzi? Si mettono le canzoni con cui sei cresciuto?  Si punta ad essere fighi o diversi o alternativi, mettendo canzoni di un certo, diciamo, spessore? Si ponderano canzoni che hanno racchiuse nelle loro note momenti della gioventù o momenti importanti?
Troppo difficile, credo che nei momenti importanti la musica non ci sia, oppure si aggiunga dopo, come una colonna sonora applicabile alla memoria, ma questo è un tema magari da affrontare in separata sede, comunque mi sembrava tropo impegnativo. E poi, ho capito.
Era facile.
Le canzoni preferite sono semplicemente quelle che si ascoltano sempre. Da sempre. O sempre da quando le hai ascoltate per la prima volta. Non sono obbligatoriamente legate a momenti, viaggi, cose e mari o monti.
Metti tu le cose sopra a quelle canzoni, o sotto, o sopra a quelle che scegli a lavorare quando ti serve una spinta e selezioni quel brano, a quella che ti tira fuori da un pensiero opprimente quando esci da un ospedale o quella che ti ricorda una persona speciale. Metti un insieme di ricordi e sensazioni. Metti quelle che porteresti su un isola deserta, anziché i canonici tre album di parecchie chiacchierate (per neofiti, la domanda è: ‘Quali sono i tre dischi che porteresti su un’isola deserta?’).
Unica regola che mi sono dato è stato il numero. Dieci sono troppo poche, trenta sono troppe e poi ho scelto una canzone per artista, altrimenti magari dei Police ne mettevo tre, per dire.  Vale mettere un pezzo di Mehldau in solo e uno in trio perché Brad è il re e quindi vale. Poi non è stato facile sceglierne una, solo una, dei PJ, per esempio.
Però alla fine è stato più facile del previsto perché ogni tanto queste le devo proprio ascoltare per recuperare una sensazione, un equilibrio, anche solo per fare un sorriso.
Poi, se la faccio fra dieci giorni magari cambia. Ed è giusto così.
Se vuoi, fai la tua playlist delle canzoni pref.
Poi ne parliamo, oppure la ascoltiamo.

Dei dieci dischi

C’è questa catena su Facebook: “10 dischi della tua vita. Qualcosa che realmente ha avuto un impatto su di te e che continui o continueresti ad ascoltare. Posta solo la copertina, non aggiungere spiegazioni. Uno al giorno. E nomina una persona al giorno“.
Ho ringraziato chi mi ha chiamato in causa ma ho declinato. Perché della cosa a me interesserebbero appunto le spiegazioni. Non importa se scritte brevemente o meno, nei commenti o nel testo.
Perché l’impatto? Perché si ascolta ancora ? Sicuro che l’ascolti ancora?
Però la cosa ha inziato a girarmi in testa e quindi, si va. Scrivo i miei dieci, potrebbero cambiare fra una settimana se ci ripenso, però credo che la maggior parte non cambieranno mai più. Ci metto qualche spiegazione, qualche ricordo, un link per l’ascolto del mio pezzo magico dell’album.

Se ti va, fallo anche tu, io ti leggo.

  1. Led Zeppelin II – Led Zeppelin (1969)
    Mio cugino indossava i jeans senza mutande mentre io ascoltavo sul suo letto i dischi con le chitarre. Lui suonava tutti gli strumenti facendo assoli e riff con le mani che muovevano e squarciavano l’aria ed era il mio idolo. Avevo dieci anni e c’era questa musica bellissima e rozza e questi poster alle pareti. C’era un cannone su sfondo ocra, un ‘Dio’ che si innalzava da caratteri oro e rossi, una band fotografata mentre suonava con la scritta ‘Live in Japan’ sotto e poi c’era questo poster con un dirigibile che prendeva fuoco. Ogni volta ne restavo folgorato prima di immergermi nella musica, mia madre che arrivava a prendermi che era sempre troppo presto. Dei dischi dei Led Zeppelin metto questo perché lo ascolto ancora, appunto. Probabilmente perché c’è ‘The Lemon Song’. Le radici, il blues, un po’ tutto. In una canzone.

  2. Ghost in the machine – The Police (1981)
    Probabilmente il secondo disco che ho comprato. Il primo, ne sono sicuro, fu la colonna sonora di ‘Grease’, meravigliosa. Però non l’ascolto più, se non quando una radio ‘Adult oriented‘ passa ‘Summer nights’. Invece ero un bambinetto comunque alto quando questi ideogrammi che sembrano lancette di un orologio al quarzo, mi colpirono, mi piaceva il nome di questa band, mi piaceva il singolo che passava la tv. Forse il disco che so davvero a memoria, con quella coda di ‘Every little thing…‘ che vorrei non finisse mai e finisce sempre con Stewart Copeland che era un semidio. Il disco che, sicurissimo, ascolto ogni mese fra i dischi vecchi (sì, pure su Spotify)

  3. Live 1975-85 – Bruce Springsteen & The E-Street Band (1986)
    I negozi di dischi e questa scatola massiccia con dentro tanti vinili con l’etichetta rossa della Columbia con dentro tutte quelle canzoni che alcune le conoscevo altre no, con dentro le note dell’album con scritti i posti sperduti dove la fisarmonica e il piano  e la Band avevano incantato gli spettatori e tutto con dentro la voce, l’energia e l’abbandono definitivo a quel sentimento pulsante che Springsteen rappresentò per me in quegli anni in cui formavo il mio gusto, da quel momento in cui parte ‘Thunder road’.

  4. Paul’s Boutique – Beastie Boys (1989)
    Esistesse un LastFm mentale che a ritroso potesse calcolare il disco che ho ascoltato di più nella vita, questo credo sarebbe al primo posto. Ascoltavo un sacco di hip-hop, tutto quello che trovavamo e non era facilissimo. E poi, arrivò questo disco lungo, frastagliato, pazzesco, con samples e  groove micidiali che partono dalle basi della black music, passano attraverso le rime dei tre di Brookyln e approdano in un disco incredibile, secondo me uno dei migliori della storia della musica, ma non faccio molto testo.

  5. Ten – Pearl Jam (1991) 
    LA mia band PREF. Quella che ho ascoltato di più. Senza dubbi. La musicassetta che letteralmente consumai, passatami ‘Ascolta questi, son forti‘ dal mio socio di serate ai banconi dei bar delle discoteche; la lacrima al Forum di Milano quando cantarono  ‘Black’; il viaggio a Seattle e altri ‘Rearviewmirror’ grandi così che non stanno in questo post.

  6. These are the vistas – The Bad Plus (2003)
    Per caso, da qualche parte, su qualche blog salta fuori questa cover di ‘Smeels like teen spirit’ per jazz trio. Avevo appena iniziato ad ascoltare i grandi classici, Miles, Coltrane, Cannonball, Art Blakey e insomma ci stavo provando gusto quando questo disco cambiò completamente la prospettiva. Il jazz non era musica polverosa, tutt’altro. E questi tre lo sapevano e me lo stavano offrendo. Pochi mesi dopo li vidi suonare a Perugia verso mezzanotte in un teatro semi vuoto con mia sorella che dormiva e senza accorgermene seppi che avrei visto moltissimi concerti jazz. E’ andata così.

  7. Live in Tokio – Brad Mehldau (2004)
    Ricordo ancora lo sbalordimento di trovarmi come a precipizio, appeso alle note di un pianista che non conoscevo, su un nuovo mondo fatto di pianoforti luccicanti che emanavano note pazzesche. Come per tutti i dischi che ho scelto, anche questo mi ha aperto una porta. Questo l’ha aperta però più grossa perché la scoperta del ‘piano solo’ ha accelerato la ricerca da autodidatta casuale totale di ulteriore materiale jazz.
    Eccedendo, ma neanche troppo, questo disco ha cambiato un po’ tutto il mio gusto musicale.

  8. Funeral – Arcade Fire (2004)
    Tutti questi coretti, questo saltellare, sul posto, nelle cuffie, nei blog che parlavano di musica che consumavo avidamente, scaricando pezzi a caso di gruppi sconosciuti. L’indie e tutto quanto girava intorno. Uno dei dischi più belli di sempre. Uno dei concerti (il primo) più belli di sempre. Probabilmente LA mia seconda band preferita di sempre. E uno dei miei pezzi del cuore di sempre che però non mi hanno mai fatto dal vivo, maledetti, vi amerò.

  9. Beethoven, Sinfonia no.1 – London Symphony Orchestra (2006, circa)
    Altra porta, gigante, che si apre per entrare in un mondo fatto di mari di archetti e distese di fiati che lo solcavano. Mi ricordo che avevo l’iPad, la prima versione, con la rotellina e nella sezione ‘Classical’ c’era solo questa sinfonia che però ascoltavo sempre consumando suole in passeggiate solitarie brandendo un’immaginaria bacchetta. Da lì al posto palco, il passo è stato breve ed è sempre un piacere.

  10. Kick – INXS (1987)
    Non posso mettere i Clash che sono stati una personale pietra miliare perché oggi non metto mai un loro disco dall’inizio alla fine. Non posso mettere i Wilco perché questi album qui citati hanno la precedenza, nemmeno i Daft Punk, anche se con ‘Discovery’ sarebbero l’undicesimo, non posso mettere il primo Arctic Monkeys anche se allora suonavo la batteria e provavo ad andare dietro a Matt Helder, non posso mettere i Public Enemy perché adesso non li ascolto mai (ma: Chuck D! illumina le menti!), non posso mettere ‘Boxer’ dei The National perché ho messo gli Arcade Fire e c’era solo uno slot per quel periodo (ma è stata la scelta più difficile) e tanti altri. E allora cosa metto che sia stato fondamentale, che ascolto ancora con costanza?
    Questo, stadium pop/rock anni ’80.
    Perché Spotify nella classifica degli ascolti dell’anno scorso mi ha detto che gli Inxs erano al quarto posto, nonostante periddio siano passati trent’anni e io ho pensato ‘Ma peinsa te‘, perché Michael Hutchence era il più figo ma non te lo faceva pesare, perché è per colpa di queste canzoni che con il socio partimmo per il primo viaggio verso Milano per vedere un concerto, perdendo il treno ma questa è un altra storia, perché volevamo canticchiare e ballare i loro pezzi sotto a un palco, perché ancora oggi canticchio e balletto tutti i pezzi, probabile che il mio diciottenne sia rimasto incastrato in quei solchi di un doppio vinile così ascoltato che l’avevo consumato e ricomprato.

 

Io, lo zapping e Prince

NYPRStamattina nei circa venti minuti di macchina per arrivare al lavoro ho fatto zapping selvaggio sulle frequenze radio, senza riuscire a trovarne una che passasse un pezzo di Prince Rogers Nelson.
Uno speaker prima ha parlato della triste notizia e poi hanno messo non ‘Let’s go crazy’ ma un pezzo di una di quelle urlatrici italiane. Sono inciampato in ‘Born to be alive’ pezzo vecchissimo e che mi è sembrato un momento di ironia in questa mia caccia a un piccolo tributo radiofonico a uno dei più grandi di sempre.
Mi sono pure mezzo anchilosato un dito a forza di premere ‘avanti’ alla ricerca della stazione giusta ma niente, zero brani, nemmeno un ‘Alphabet Street’.
Intorno a mezzogiorno ho fatto altri venti minuti di macchina, l’anchilosi era passata, riparte lo zapping, riparte il niente, manco un semplicissimo ‘Kiss’. Un impegno, altri quindici minuti e ancora niente, neppure una struggente ‘Purple Rain’ per limonare i ricordi di quando partiva quell’accordo di chitarra e si correva a cercare di baciare ragazzine a caso.
A metà pomeriggio, altro giretto e il nulla, neppure una danzereccia pre weekend ‘I would die for you’.
Poco fa, torno in macchina, stessa scena di zapping. Sento un andamento funky e dico ‘Ci siamo!’ e invece niente, Bruno Mars. Altri venti minuti e ancora nulla. Nemmeno sulle radio della Rai che insomma, un minimo ci si spera sempre, ma lo zero, men che mai la mia preferita canzone di Prince che è poi ‘Raspberry Beret’.
Forse son io che non sono in target, sicuramente le maledette coincidenze, errori di sincronizzazione, capirai eh se oggi le radio non hanno passato a nastro cento canzoni di TAFKAP, ma la somma fanno quasi ottanta minuti di rincorsa a una canzone di Prince e zero canzoni di Prince ascoltate. Forse un ‘Sign ‘O the times’? In compenso ho scoperto che c’è una radio che si chiama ‘Marilù’ e mi è spuntato fuori il rimorso per non esserlo andato a vedere una decina di anni fa. Chissà perché non andai poi, bah non ricordo.
‘Money don’t matter 2 night’ e le radio italiane, per quanto mi riguarda, non ti considerano.
Bella Prince, non sarai dimenticato.

 

the singles collection #4

Tutti tornati dalle vacanze? Bene, torna anche come una bassa marea di ricordi musicali, la rubrichetta a scadenza casuale di soliti suggerimenti non richiesti. Ascolti misti, pezzi in heavy rotation da queste parti nelle ultime settimane.

Merchandise – Enemy
Ascoltando per la prima volta l’album di questa band, mi è sembrato di essere tornato nella stanza da teenager dove consumavo pop inglese di fine ottanta dopo aver visto deejay television. Mi ricordano una band dell’epoca di cui però naturalmente mi sfugge il nome. zuccherosi, pucci, quattro pezzi killer, serve altro?

Mr.Twin Sister – Blush
Per quelli che sotto l’ombrellone hanno sognato l’avventura estiva che non hanno avuto. In bocca al lupo per l’autunno. Una ballad da restarci secchi, occhio.
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The Singles Collection #3

Avete ciabatte e secchiello, zaino e cappellino, tenda e k-way? Siete attrezzati per le vostre vacanze? Bene.
Magari vi manca qualche nome per la vostra colonna sonora estiva.
Insomma, i soliti suggerimenti non richiesti di ascolti misti, pezzi in heavy rotation da queste parti nelle ultime settimane.

Sharon Van Etten – album: ‘Are we there’
al bar dei cuori solitari Ms.Van Etten serve una collezione di cocktail da assaporare con cuore gonfio di romance. mescolare non agitare.

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The Singles Collection #2

(suggerimenti non richiesti di ascolti misti, cinque pezzi in heavy rotation da queste parti nelle ultime settimane)

Jack White – High Ball Stepper
(‘White Stripes’ 3.0, friggi il tuo ampli nel vecchio brodo primordiale del blues, chitarroni che in questo periodo piacciono molto)

Cloud Nothings – Psychic Trauma
(a proposito di chitarre, i ‘Cloud Nothings’ han fatto un disco velocissimo e da ragazzini, disco ben voluto e che ci vuole, per accontentare il ragazzino che insiste nel fare ‘air drumming’ dentro di me)

Bob Mould – Hey Mr.Grey

(si diceva chitarre, questa ha la barba bianca e la storia del rock dalla sua. finché Bob Mould tira mazzate, va tutto bene. l’album esce ai primi di giugno, daje sempre)

Neneh Cherry – Everything
(sette minuti di ipnosi electro e vocetta di Neneh Cherry, non vedo perché no. l’album è al momento una delle cose più interessanti dell’anno)


Kelis – Rumble
(è uscito da poco il nuovo disco che è molto, ma molto buono. magari venisse in tour in Italia. al momento, ovviamente no. questo pezzo lo canticchio quasi tutti i giorni da settimane, ha il passo giusto che serve per accompagnare bene o per svoltare una giornata)

(bonus track: c’è stato il ‘Record Store Day’. lo dico per due motivi. il primo è farvi leggere questo pezzo che riassume benissimo tutto della faccenda che ci tengo.
il secondo è che per il RSD la ‘John Spencer Blues Explosion’ (#eroi) ha buttato fuori una cover che spacca tutto. finito, play e vai, spacca tutto)


[archivio: singles collection]

The Singles Collection (# 1)

(rubrica con cadenza irregolare, suggerimenti non richiesti di ascolti misti, cinque pezzi in heavy rotation da queste parti nelle ultime settimane)

How to Dress Well – Words I Don’t Remember
(elettriche carezze via synth, vocalizzi, ‘snap’ ‘snap’, il tizio fa R&B con suoni modernissimi e fragilissimi. dopo venti ascolti fai sempre ‘snap’. speriamo esca il nuovo album, ma non è certo, al limite recuperate il primo che male non fa. clic sul titolo per ascoltare il pezzo) 

Joan As A Police Woman – Holy City
(lei è piuttosto conosciuta ma questo è un clamoroso pezzone, prova a non muovere un muscolo, album in arrivo in questi giorni, merita sicuramente l’ascolto. clic sul titolo per ascoltare il pezzo)

Real Estate – April’s Song

(capita che arriva una canzone strumentale che ti dice proprio quello che vuoi sentirti dire ma non trovi le parole, se poi ha il titolo pure primaverile, cosa volere di più, non so. l’album dei ‘Real Estate’, è bello)

The War on Drugs – Red Eyes

(e allora, scappiamo no, sull’onda di canzoni tutte simili, tutte sognanti, in punta di plettro, di synth che stendono un tappeto su cui sedersi stanchi e andare, via, da qualche parte, dove non vergognarsi di ballare la giga. l’album sembra molto bello)

Avishai Cohen – Song for My Brother
(qua c’era un pezzo del nuovo di Beck, ma tanto chi è Beck lo sapete tutti e sì, il disco di Beck è buono, ma in questi ultimi giorni ho rimesso orecchio nelle influenze arabeggianti e sinuose, con un contrabbasso che vola e una sezione ritimica che ti saluta con la mano, dell’ultimo disco di Avisai Cohen. Jazz coi fiocchi facile all’ascolto, pieno di suggestioni, uscito qualche mese fa ma è giusto di pochi giorni la notizia della sua data estiva al ‘Locus festival‘ e quindi, sì)

 

(cosette di fine anno) la musica

Dicembre, tempo di classifiche. E di confessioni.
Confesso che questa stagione mi ha visto ascoltatore mordi e fuggi. Moltissimi ascolti distratti (mannaggia a ‘Spotify’) e pochissime uscite su cui mi sono fermato e ho raccolto in un paio di post.
Sono un tipo old school, il disco me lo devo sentire bene e soprattutto negli ultimi mesi di tempo (Arcade Fire a parte) ce n’è stato pochino. Ho chiesto quindi aiuto a un amico molto più giovane di me, Dj per gioco, sobillatore di hype per scherzo, scrittore di musica online per passione.
Lui da qualche anno ha il difetto di farmi scoprire nuovi suoni, nuove band. Gli ho chiesto di buttare giù una manciata di dischi imperdibili di questo 2013, guardando al target ‘quarantenni con addosso la pigrizia musicale’.
Spero, caro amico coetaneo dei 40 e un po’, che questo post potrà esserti incredibilmente comodo in quel giorno di fine dicembre/inizio gennaio che non ne potrai più di ascoltare la playlist OALD rock di ‘Virgin Radio’ o quella altrettanto OALD ma meno maranza di ‘Radio Capital’.
Vai Lex, sei su Cidindon: 

Mi è stato chiesto dall’amico Cidindon di scrivere un post di suggerimenti musicali in merito a dieci dischi di quest’annata, con una precisa consegna: deve essere qualcosa di assimilabile all’utenza media del blog, evitando quindi una mera elencazione dei migliori album rispecchiante ill mio gusto personale. Ho individuato un archetipo di lettore sulla quarantina, mediamente colto, con un buon interesse nella ricerca musicale ma non troppo “estremo” negli ascolti, che possa dunque sentire questi artisti al lavoro, mentre cucina o magari in auto senza che la cosa gli arrechi disturbo o sforzo di concentrazione.

Spero dunque di farvi da Virgilio per chiunque volesse perdere 5 minuti di tempo per leggere e poco di più per ascoltare la selezione (ad ogni titolo ho inserito un brano tratto dal disco, basta cliccare); l’ordine è stato scelto dal più easy listening a quello un poco più complesso, e dal rock all’elettronica.

Mikal Cronin – MKIIMCII
Il “collega” in diverse uscite di Ty Segall si mette in proprio con un percorso personale che dal garage rock d’origine viene contaminato dal pop dei Beatles.
Da ascoltare con occhiali da sole e cocktail in mano per ricordarsi della bella stagione, mezz’ora che passa leggera in un lampo.

 

The National – Trouble Will Find MeTrouble_Will_Find_Me
Nonostante si possa definire il disco più sperimentale di quella che al momento è la mia formazione preferita, Trouble Will Find Me si fa piacere dai primi ascolti per la stessa impronta rock di capolavori come Boxer o Alligator. Matt Berninger continua con la sua voce ad avvolgerti in un oceano di inquietudini, ansie e malinconie, infondendo un senso di protezione anziché soggiogarti. Pazzesco solo a pensarci.

Local Natives – HummingbirdHummingbird
Questo disco è prodotto da uno dei due gemelli chitarristi dei National, lo si intuisce bene confrontando la freschezza e l’immediatezza del loro disco d’esordio con questo Hummingbird, dove la produzione riesce a limare tutte le lacune patite con la prima uscita.
Non si tratta di conformismo, ma di una sempre più evidente maturazione.

Daughter – If You LeaveIfyouleavedaughter
Chi invece stupisce da subito e si candida come uno degli esordi dell’anno è questo lavoro, da parte di una band che già con l’EP Youth dello scorso anno rappresentava più di una buona premessa.
Se nel 2012 avete apprezzato i lavori di xx e Bon Iver guardate a questo disco come la perfetta fusione dei due stili. Attenti inoltre ai testi perché sono di una depressione unica.

Volcano Choir – RepaveRepave
Parlavamo sopra di Bon Iver. Justin Vernon non è rimasto con le mani in mano, riprendendo un progetto già attivo da anni e adattandolo al suo sound attuale. Repave è in fondo in tutto e per tutto la continuazione del progetto solista, meno avant-folk degli inizi dei Volcano Choir.
Forse stupisce un poco di meno, ma si cade su dieci cuscini.

Bill Callahan – Dream RiverDreamriver
Ok, lo ammetto. Per stilare questa classifica ho pensato in larga parte ad uno stereotipo di ascoltatore con barba incolta, con un bicchiere whisky con ghiaccio in mano e il giradischi sempre pronto. (ndCid: LOL)
E’ così che mi vedo tra tre lustri, e sono sicuro che a quel tempo apprezzerò ancora di più questo lavoro che possiamo tranquillamente definire come il più elegante disco cantautoriale uscito nel 2013; sensazioni che lo scorso anno mi dava The Something Rain dei Tindersticks, per dire.

King Krule – 6 Feet Between The Moon6feetbeneaththemoon
A sentirlo senza averlo mai visto non diresti un sacco di cose. Non gli daresti 19 anni, dalla voce non diresti che è bianco (e rosso di capelli), non penseresti che è all’esordio.
Personalmente è un nome che è saltato alla mia attenzione grazie ai featuring nel disco dei Mount Kimbie, ma la sua personalità ha già stregato il Regno Unito.
Provate a non farvi prendere dal groove di A Lizard State, se ci riuscite.

Savages – Silence YourselfSavages
Piccolo spazio di retromania pura. Queste ragazze vengono da Londra come i Siouxie And The Banshees, suonano post-punk nel suo risvolto più dark à la Joy Division e si dice che ne conservino l’attitudine energica nei loro live.
Il prossimo anno vedrò se è così, a voi non rimane che ascoltare.

Jon Hopkins – ImmunityImmunity
Doppietta elettronica nelle ultime proposte: nella prima andiamo col re incontrastato del 2013.
Se la parola techno vi suona male, sappiate che il buon Jon la modella in una forma accessibile e per nulla fastidiosa; per molti questa sua capacità suona come un tentativo di “voler troppo farsi piacere”, per tutti gli altri per fortuna della cosa interessa pochino.

Forest Swords – EngravingsForestSwords
Decisamente la scelta più complicata del lotto per un disco che personalmente non ho del tutto compreso ma che propongo comunque.
Elettronica fatta più di vuoti e percussioni che di note vere e proprie, va assimilato con tanti ascolti e con tanta tranquillità.

Buona musica.

che faccio signò, lascio? (pt.II)

(rubrica a cadenza random di consigli musicali non richiesti, praticamente cosa passa dalle mie parti con link a spotify, video e nuvole, la prima parte era qua

Smith Westerns – Soft Will: hanno il nome di una pistola o di un serial americano su uno sbirro spaccone e dal grilletto facile, son giovanissimi e snocciolano cosette pop rock da canticchiare in bicicletta anche se uno non va in bicicletta. ci sono arrivato mesi dopo l’uscita ma è uno dei dischi che ascolto più spesso.

Elvis Costello And The Roots – Wise Up Ghost: i Roots come sa chi li segue chez Fallon, sanno suonare tutto. qui si mettono insieme alla voce particolare di Costello, trovando un mix di sonorità a tratti spiazzante, spesso trascinante e sempre interessante.  

Mazzy Star – Seasons of Your Day: una band degli anni novanta, non si sono mai sciolti, lui con pizzicori di chitarra, lei con voce mielosa. dream tutto, slow core di classe. il disco perfetto per guardare le foglie cadere ma anche per limonare sereni.

Volcano Choir – Repave: non è che spiego chi sia Mr.Bon Iver, che qua si mette in mezzo ai suoi amichetti, fa il band leader e spara un album bellissimo, se devi ascoltarne uno di questi, ascolta questo. cioè:

CHVRCHES – The Bones Of What You Believe: non si butta niente, se sei attento ci senti dentro roba di vent’anni fa quando i sintetizzatori vincevano tutto, adesso questa mi sembra roba da giovanissimi, ma anche roba appiccicosa, dance pop imballata di synth, che funzionano incredibilmente bene. lei, una voce bellissima.

Janelle Monáe – The Electric Lady: iper trofico iper prodotto, non bissa il capolavoro dell’album di debutto però, c’è Prince che benedice tutto sto ben di dio non sempre a fuoco, ma con un talento enorme, il funk e tutto il revival della black music frullato da una voce seducente e scattosa.

Justin Timberlake – The 20/20 Experience: è uscita la seconda parte del moloch che punta a riportare justino sul podio del pop. operazione stra riuscita anche con questa seconda parte forse inferiore alla prima ma insomma, siam lì. poppone di produzione sofisticatissima e stratificata e una serie di canzoni che risollevano morale, muovono culi, fan venire voglia di comprare scarpe a punta lucide e fare due passetti di danza sul marciapiede. bounce.

London Grammar – If You Wait: come han scritto tutti quelli che se ne intendono, qui abbiamo le atmosfere ‘The XX’ con la voce simil Florenza. l’incastro funziona, per un pop da classifica d’alto livello. forse lo dimentichiamo fra tre mesi ma i primi ascolti sono da ‘Ohpperò‘.

The Field – Cupid’s Head : elettronica emozionale che non so bene cosa voglia dire e son due parole che messe di fianco fanno schifo o un brutto titolo dei subsonica. sono lunghe suite per grandissimi trip, ma tu premi play qui sotto e se non ti incanti, allora non fa per te, se ti incanti, pagami da bere.
https://soundcloud.com/kompakt/they-wont-see-me?in=kompakt/sets/the-field-cupids-head

UPDATE volante, che ieri sera subito dopo aver postato ho scoperto che è uscito:
Polvo – Siberia: band che affonda le chitarre nei ruggenti anni novanta, tornata in attività qualche anno fa con un disco (‘In Prism’) che avevo divorato. adesso se ne escono con un album nuovo pieno di chitarre stupende che ci vogliono sempre e che spazzano via dopo un solo ascolto decine di rock band attuali senza nerbo. subito bomba.

(poi in Italia c’è un sacco di gente brava a suonare, solo che lo sanno in pochi) 

Three Lakes – War Tales: un amico rilevante mi soffia in un orecchio questo album, dicendomi ‘il bon iver italiano‘. è un inno autunnalissimo alla malinconia, quella bella però. un paio di pezzi sono instant classic e ci sono tutti i suoni che mi piacciono tanto.

Julie’s Haircut – Ashram Equinox: qualcuno dirà che metto sto disco perchè sono amici di amici. mica vero. lo metto perchè l’ho ascoltato tre volte e migliora sempre, una specie di sinfonia psichedelica con dentro influenze di ogni genere. non per tutti, ma appagante. (streaming integrale)

Infine, è uscito il nuovo bellissimo disco dei Massimo Volume che non hanno bisogno di presentazioni, almeno non da me.

(un doveroso ringraziamento alla band di sentireascoltare‘ ottimo sito di cultura musicale con bella scrittura e molti spunti interessanti, mia bussola necessaria, nel mare di pubblicazioni di questi tempi)

che faccio signò, lascio?

(rubrica a cadenza random di consigli musicali non richiesti)

immunityUna cosa electro: Jon Hopkins, tizio inglese a me sconosciuto fino a un paio di mesi fa. Elettronica ‘minimal’ così dicono, cinematica con balletti, dico io.
Colonna sonora post industriale per camminare lungo distretti una volta produttivi e ora piuttosto preoccupati, o preoccupanti. Lunghe vie con capannoni abbandonati che potrebbero ospitare feste ‘rave‘ dove ballare qualche brano in cassa dritta, per poi finire abbracciati, malinconici ma speranzosi, sentendo però che c’è un battito che pulsa sempre, un bip continuo, una cadenza che supporta una melodia per una speranza invisibile.

Bonus electro A: Fuck Buttons,  han fatto un nuovo disco che è magma sonico senza compromessi, con almeno tre brani (su sette) pesantissimi, con possibilità visionarie da cogliere nel fuoco sintetico oppure soltanto droga tagliata con musica elettronica per estraniarsi.
Bonus electro B: Disclosure, duo di ventenni inglesi di cui tutti han parlato. Fanno dance, house, muovere il capino e se non ti fanno muovere il capino o battere il piedino, non ballerai mai più. (prova) Se il vostro dj della spiaggia (esistono ancora?) non li ha in scaletta, abbattetelo.

satellites02Una cosa da cameretta: Satellites è il nickname dietro cui un londinese che vive a Copenaghen sguazza con classe in atmosfere pop-rock altamente emozionali, cantando con una voce che è uno spin off di quella di Matt Berninger.
Un disco molto bello, da ascoltare con cura dato che ispira amore per la musica fatta con amore.
(ascoltalo)

Una cosa chitarristica: Surfer Blood han fatto un cocomero con le chitarre, giusto giusto per la stagione, per bersi una birra ciondolando la testa. Se questo non vi basta, c’è un disco dell’anno scorso ma in heavy rotation da mesi, soprattutto dopo averli visti dal vivo. Sono gli Allah-Las, sound anni settanta dalla West Coast che contribuisce al ciondolamento e pure al dinoccolamento, in ciabatte, sognando California o Cervia che è più vicina. (hanno un tumblr, son troppo fighi)

Una cosa jazz: pochi giorni fa ero a un concerto. Piano trio, classic. La pianista, dal giappone con tubino nero e tacco dodici, mi ha tirato la scuffia jazz del momento. Mani rapide come lingue di fuoco pianistico che si abbattevano sulla tastiera. Ha eseguito una versione di ‘Take Five‘ affrontando la partitura come se avesse conti in sospeso con la stessa, da regolare con la forza impressa dai polpastrelli sui tasti, in una versione ‘jazzy-heavy‘ trascinante, poi ha reso molto grossa la versione omaggio di ‘Estate‘, inspessendo la musica fino a renderla violenta. Uno swing ed una energia eccezionali senza perdere il tocco. Si chiama Chihiro Yamanaka, non fatevela sfuggire.

broadwayUna cosa soul, R&B, antica: Myron and E sono un duo vocale. Convinti? No? Duo vocale. Figata. No? Ok. Allora via, andare in soffitta, recuperare croonerismo black, con molto soul e arrangiamenti di gusto e d’annata per un disco incantevole, scoperto cercando tutt’altro. Retromania, e così sia. Per limonare, ballare, darsi la crema, tutto sotto l’ombrellone. Disco dell’estate totale sulla spiaggia che scotta.

That’s all folks, have fun.