Arrivò sulla sua Ford station wagon blu scura. Duecentomila chilometri ‘ma tenuta come se fosse uscita ieri d’in concessionaria, eh‘.
Parcheggiò nel solito punto, di fianco agli ombrelloni che d’estate offrivano refrigerio di tela a chi si fermava per il classico panino e via.
Il frigo con le bibite lo nascondeva dalla donna dietro al bancone.
Sotto a uno degli ombrelloni, un tizio fumava una sigaretta, leggendo un giornale sportivo che nel titolo ironizzava sulla disfatta brasiliana ai mondiali. Fausto si ricordò della sera prima nella solitudine della sua casa, davanti alla tv, quando fu contento di addormentarsi dopo il quarto gol tedesco, sicuro, per una volta, che il risultato non sarebbe cambiato.
Estrasse dal portaoggetti una lametta usa e getta di colore azzurro spento e si passò il rasoio sulla pelle rugosa. Si accorse che il tizio lo stava guardano. Lo sfidò con lo sguardo, i suoi occhi chiari a dire ‘Cosa c’è? Non posso sistemarmi la rasatura?’. Il tipo tornò ad interessarsi delle ultime povere notizie sul calcio mercato per poi spegnere la sigaretta e sparire nel parcheggio, fra camion con targhe straniere già fermi per la notte. Fausto si controllò il mento passandoci una mano sopra. Un ultimo colpetto di rasoio sotto un labbro e poi ripose lo strumento nel portaoggetti. Si specchiò nel retrovisore, dandosi una sistemata al ciuffo di capelli bianchissimi, sistemò gli occhiali e uscì nell’umido della sera.
Quattro passi ed entrò in bar.
La donna dietro al bancone lo vide entrare dando una rapida ed esperta occhiata allo specchio sistemato fra la macchina del caffé e lo scaffale dei superalcolici. Impiegò più del dovuto per sbarazzarsi dei fondi di caffé e si girò con uno scatto della testa.
‘Vé Fausto’
‘Ciao’
‘Come stai? Cosa fai qua quest’ora?’
‘Eh, devo andare a prendere la piccola danzatrice che la mamma è in ritardo al lavoro’
‘Ma che bravo che sei’.
Si guardarono, loro due, soli, nel locale.
‘Cosa ti posso dare?’
Lui esitò per poi ordinare un Campari con poco vino.
‘Non ti fa mica male vé un goccio’ disse lei mentre abbondava nell’aggiungere vino bianco fermo al rosso analcolico. Fausto prese il bicchiere bevve un sorso e disse ‘Tu? Il tuo ginocch…’
La voce rimbombante di un camionista enorme con addosso una canottiera sudata e penzolante riempì il piccolo bar come un vento caldo, interrompendo Fausto. ‘Signoraaaaa, mi dai una coca ghiacciata che sto moreeendo di sete’.
La donna rivolse un sorriso a Fausto e rispose all’omone, alzando il tono della voce. ‘Bé ma cosa urli, son mica sorda vè’.
Fausto squadrò l’uomo che si curvava sopra la pancia prominente per scegliersi un panino con frittata dai fondi di giornata rimasti dietro la vetrina del cibo. L’uomo chiese di scaldare il pane e iniziò a raccontare alla donna la sua giornata. Fausto aveva sempre saputo stare al suo posto, portò il suo bicchiere al banco dei giornali e lesse qualche notizia locale bevendo il suo aperitivo.
Gli arrivò un messaggio sul cellulare. Scorse il visore lentamente e poi finì il suo drink. Tornò al bancone dandosi il cambio con l’omone che stava parcheggiando la sua mole su uno sgabello già biascicando vorace il panino.
Alla smorfia di disgusto sul viso di Fausto, rispose un sorriso della donna.
‘Vai di già?’
‘Sì, vado’
‘E com’è la ballerina? Brava?’
‘Non me ne intendo molto, mi sembra si impegni, quello sì’
‘Dai che i nipoti sono l’unica gioia che ci resta’.
Fausto guardò sopra allo specchio. La foto ritraeva il marito della donna coi tre nipoti, pochi giorni prima dell’infarto finale. Il suo amico, con cui avevano passato troppi venerdì sera a fare tardi in quel bar a bere e giocare a carte. Fausto a casa aveva una foto simile. Ritraeva la moglie con la piccola ballerina, un paio d’anni prima della malattia fulminante. Specchi.
‘Cosa ti devo, che scappo?’
‘Due euro, dai’
Lei si chinò appena sulla cassa per cambiare una banconota e lui riuscì a vedere un fiocchetto bianco, nello spiraglio fra i due bottoncini della camicia senza maniche che stringeva il seno prosperoso per cui aveva perduto la testa tanti anni prima, quando tutti le facevano il filo.
‘Anche passare a trovarti è una gioia’ le disse di corsa.
Lei ebbe un lampo negli occhi che scacciò con un gesto della mano, come una mosca fastidiosa.
‘Ma va là, Fausto!’ disse, controllando l’unico altro cliente nel bar.
Il camionista nemmeno li ascoltava mentre sbriciolava pezzi di pane su un giornale spiegazzato.
‘Torna a trovarmi, dai’.
Fausto riguardò la foto, sorrise.
‘Certo, a presto, buonaserata’.
Salì sulla Ford, sentì in anticipo i morsi della sua poltrona che lo attendevano a casa, pensò al sorriso della nipote, sicuramente troppo sudata in quel tutù bianco troppo stretto, pensò che prima o poi avrebbe trovato il coraggio, che una sera non avrebbe guardato quella foto.
Ci sarebbe stata la festa del paese qualche settimana dopo. Allora sì che avrebbe avuto l’ardire, sì. Fausto avviò la macchina. Buttò uno sguardo alla vetrata esterna del bar, vide la donna parlare col camionista. Per un attimo Fausto pensò che lei lo stesse guardando. Sì, avrebbe trovato il coraggio. Ingranò la marcia, la Ford fece uno scattò e partì.