il mio isolamento, declinato in film (parte seconda)

La prima parte di questo resoconto dal mio divano si era chiusa a Pasqua.
Che giorno era Pasqua? Mah, un giorno, a caso, di questi giorni un po’ tutti uguali che ho passato fra tanta informazione, qualche telefonata (è stato bello riscoprire le telefonate lunghe, a raccontarsi poche cose, a mancarsi) un pizzico di scrittura e molti film, circa cinquanta film per una quarantena.
Dopo Pasqua (era il 12 Aprile, sembra siano passati tre mesi) si inizia ad avvertire nell’aria dominata dal cinguettare degli uccellini un senso di ribellione verso le misure restrittive. C’è voglia di uscire. Incappo per caso nell’intervista di un primario di pneumologia che dice ‘Calma regaz’ e mi chiudo in un sarcofago aspettando che venga a ripescarmi un vecchio amico (‘Indiana Jones e l’ultima crociata‘ forse il migliore della serie, sicuramente un film divertentissimo).
Si inizia a parlare di tracciamento. Si innalzano le bandiere dei liberisti a comando, in marcia contro la privacy lesa, anche se il dibattito è giusto e la visione di ‘Minority report‘ ne è ovvia conseguenza. E se sapessimo chi si infetterà, lo metteremmo in quarantena preventiva?
Sempre caldo è il tema del confronto con gli altri paesi. Si passa in scioltezza a lodare la Germania, tranne quando siede al consiglio europeo, all’avanguardismo sociale svedese, alla lungimiranza della Nuova Zelanda seppure questa sia in altro emisfero ma si prende tutto. Cosa fanno gli altri è una litania, nella confusione fra numeri e giorni e curve e plateau e riaperture, scelgo un film degli altri, per esempio, i francesi. Bé, fanno grandi piccoli colossal, noi li sappiamo fare? (‘The wolf call‘, sottomarino e allerta nucleare, antichi terrori ma film di bella tensione e solidità).

Scattano dibattiti in libertà. Qualcuno ha scritto che il Covid agisce come una livella sociale, tutti uguali di fronte alla malattia, eppure la visione di ‘Barry Lyndon‘ (stupendo) conferma l’ovvietà di come sia meglio diventare ricchi e vivere in un castello piuttosto che stretti in una tenda. Oppure c’è la questione se si debba privilegiare l’aspetto sanitario o quello economico nella scelta delle date di parziale riapertura e mentre nei laboratori si va a caccia di risposte, le teorie si moltiplicano, come in ‘Zodiac‘ classico di caccia all’uomo e teorie, sperando che il finale sia diverso, l’assassino dovrà essere catturato.
A proposito di potenti, uno ricco e potente ha detto che se ti inietti il disinfettante dopo sei a posto e anziché sminuire questa sciocchezzuola, bisognerebbe ricordarsela perché insomma, mica vero che tutti sono uguali e che uno vale uno, vero invece che un ignorante misogino può diventare capo dello stato e a me scatta il momento de ‘L’odio‘ (un film invecchiato un po’ male eppure sempre potente) ma lo scaccio subito andando a trovare un vecchio amico che mi ricorda che i presidenti degli US non sempre sono stati all’altezza (‘1997: fuga da NY‘).

Che poi in questo 2020 avevo deciso due cose: tornare in piscina con costanza da inizio marzo – certo, credo abbiano chiuso proprio quella settimana le piscine – e limonare il più possibile e stendiamo un velo pietoso. Un giorno però mi sono accorto che mi mancavano le donne, niente di particolare, anzi, proprio solo vederle in giro, guardare una scarpa, un vestito, un movimento con la mano sui capelli. Così mi butto su ‘Bombshell‘ che a parte le bellezze, è un buon (e nuovo di zecca!) film.
Qualche sera è rimasta buia nonostante le tante stelle in cielo e una luna brillante che è stato un vero peccato sprecare. Per rimediare  ho ripescato un paio di gioielli Pixar trovandomi a strofinarmi gli occhi con il carico di romance di ‘Up‘ e la madeleine di ‘Ratatouille‘.
Sono mancate anche le conversazioni sugli amorazzi, le storie, gli appuntamenti. Leggo che perfino Tinder sta fallendo rapidamente e per consolarsi resta un film romantico, letterario ma leggero e bello pastelloso (‘Emma.‘ pure questo un titolo nuovo) oppure la favola musicarella di ‘Begin again‘, un titolo che è tutto un programma.

Fra le tante mancanze, il calcio, andare allo stadio. Dicono che vogliono ripartire ma penso sia un errore perché senza pubblico non c’è passione. Prendo una panacea dall’assenza di sport, ‘The Way Back – Tornare a vincere’ è un drama nuovo di zecca con Sad Ben Affleck pieno di birra che trova una via di riscatto sedendosi sulla panchina di una squadra di perdenti del liceo. Classico film di redenzione o quasi che scorre su binari già visti però a me piace il basket e quindi me lo son gustato.

E insomma, con la cultura non si mangia (infatti viene poco citata nei documenti istituzionali, mentre mi intristisco cancellando i vari appuntamenti già segnati in agenda a teatro e non, ma sorvoliamo) e con la scienza? Ho visto l’ultimo capitolo di  ‘Smetto quando voglio‘ dove nella scena finale della trilogia un paio di studenti si chiedono a cosa serve la laurea che stanno prendendo e questa dovrebbe essere una delle domande importanti per questo paese che pensa troppo ai vescovi e poco ai laureati. E questa è una botta di facile populismo? Mi sa che uscirò da questi giorni con meno risposte e più domande e forse non è un male.

Infine, eccola annunciata, polemizzata, finalmente arrivata. La Fase Due.
Una mia statistica a caso dopo un giro sui social mi dice che il 70% delle persone che dicono la loro, pensi che la fase due sia una fase 1.2 e qua han tutti ragione e tutti torto simultaneamente, si chiama democrazia e pluralismo mi pare, mi stanco presto del dibattito che diventa immediatamente troppo urlato e vado con Thor a menare gente in ‘Tyler Rake‘.
Eleggo come congiunto Baby Yoda (‘The Mandalorian‘ è un trionfo di passatismo per amanti delle guerre stellari, promosso) e dopo c’è giusto il tempo di guardare i capitoli disponibili dell’ultima danza di Jordan & Co. (favoloso) e la storia dei miei amici di una vita, i Beastie Boys (cuori) ed eccoci.
Domani è il 4 Maggio, scatta la ‘fase due’ dove saremo tutti prudenti e rispetteremo le distanze. Non so se sono pronto oppure se ho la sindrome di Stoccolma acquisita. So che andrò a lavorare, all’ingresso mi misureranno la febbre e mi si appanneranno gli occhiali causa mascherina. Poi, verso sera andrò al parco vicino casa, dovrebbe essere aperto, infilerò le cuffie, avrò la mascherina in tasca che non si sa mai, sceglierò una playlist, farò un gran sospirone e farò attività motoria, come si dice adesso, finché le gambe mi faranno male.

(“When this is all over, what should change? Everything”)

Ps.: per sapere dove puoi guardare i film sopra citati o quelli che ti piacciono, questo sito ti sarà utile

 

 

il mio isolamento, declinato in film

I primi giorni dopo essere rimasto a casa dall’ufficio ho letto qualche libro,  invidiando chi lavora da casa e leggendo anche molti articoli sul virus. A volte ho pensato di scrivere una mia inutile opinione, poi ho sempre evitato, contribuendo a una salutare economia della parola che già ci sono troppe voci, spesso stridule, che si sono levate in questi giorni in cui sarebbe meglio leggere pochi, saggi o competenti, ed evitare risse sui social.
Poi una sera, non ricordo quale, i giorni sembrano tutti piuttosto uguali, hanno la forma del silenzio e di speranze, ho visto che ero stato on line per una quantità di tempo, che non rivelerò, veramente eccessiva e quindi ho deciso di prescrivermi una dieta particolare. Due film al giorno, storie, la cura per tanti mali, per evitare le preoccupazioni come si schiva un fendente di spada samurai in ‘Kill Bill‘ (un giorno farò la lista dei film di Tarantino più fighi, non oggi).
Ho continuato a informarmi, come tutti, prima vedendo che i numeri non diminuivano, in quell’appuntamento nazionale delle diciotto precise e poi leggendo che i numeri non sono giusti per difetto e allora mi son chiuso in stanze buie con gente mattissima con  pistole nelle mani (‘Guns Akimbo‘) o che corre dietro a bufali indiani (‘Jallikattu‘, un film incredibile) e dopo non è che l’ansia passava perché a scegliere non son sempre bravo.
E allora magari ci stava un riposino, da cui mi svegliavo non con un kick durante una ‘Inception‘ ma più spesso con un senso di straniamento come fossi bloccato in una cella cinque metri per cinque e non sapessi il motivo, come in ‘Old Boy‘ ma senza voglia di impugnare un martello per vendicarmi, anche perché il virus con un martello non si sconfigge, si sconfigge con la scienza, come provano a fare per salvare il pianeta in ‘Interstellar‘ film molto consigliabile in questi giorni perché lascia un sentimento che servirà alla riapertura molto più di tanti consigli di economisti da tastiera.
In silenzio, mi son fatto anche io varie domande, su questi giorni e sul futuro ma poi devo avere esagerato e mi son chiesto insieme a Kubrick dove andiamo, da dove veniamo, riguardando dopo secoli ‘2001 odissea nello spazio‘. Poi mi son fermato all’alt dei poliziotti annoiati poi esaltati di ‘Hot Fuzz‘ (che è sempre un mezzo capolavoro), non sono andato in visita nelle lande di Mordor anche se la tentazione è stata potente, però visto che mi mancavano le chiacchiere da bar le ho sostituite con personaggi chiacchieroni come i vari Mr. con i nomi colorati di ‘Le iene‘ e poi con ‘Quei bravi ragazzi‘ insieme alle mogli cotonate ed ancora nei locali bui e fumosi con i primi amici di Scorsese in mezzo alle ‘Mean Streets‘ di Little Italy.
A proposito di NYC, a inizio febbraio avevo fatto un pensierino di tornarci dopo tanti anni, uno dei tanti progetti che tutti abbiamo per il momento messo in un cassetto per questo 2020 – che era un bel numero a vederlo da gennaio –  e forse per compensare son rimasto in città a vederne la sua nascita dai Five Points delle ‘Gangs of New York‘ e poi ancora lungo le sporche vie anni settanta dove ‘Serpico‘ provava a combattere la corruzione. E a proposito di viaggi ho anche cancellato una prenotazione già fatta per Stoccolma, dove gli svedesi hanno provato a tenere tutto aperto poi non è andata benissimo neppure a loro purtroppo e per consolarmi mi sono rivisto l’indagine nel profondo nord di ‘The girl with the dragon tattoo
Poi avevo un languorino e mi sono seduto in una cucina di una baracca a Seul, dove fanno il tracciamento e film molto belli, da cui ho seguito le vicende di una famiglia che non è propriamente una famiglia ma è più famiglia, nel senso amorevole del termine, di tante famiglie che si ritengono famiglie (‘Shoplifters‘, bellissimo).
Ci sono state (e forse ci saranno) serate in cui un abbraccio, una pacca o un whisky in compagnia ci sarebbero voluti e allora mi son consolato rivedendo una delle love story più belle (‘Her‘) e un’altra storia di romance che non avevo mai visto, la ‘Trilogia dei Before‘ con Celine e Jesse che si incontrano e parlano, si ritrovano e parlano, sono in vacanza e parlano e nel mezzo delle parole si amano come meglio possono.
Per recuperare punti di mascolinità ho rivisto film di menare duro, nei deserti apocalittici con chitarre che sputano fiamme (‘Mad Max-Fury Road‘) o dentro a hotel per criminali (‘John Wick‘) e dentro a palazzi che pullulano di gente armata di machete o che non ha problemi a farsi spaccare letteralmente le ossa (‘The Raid‘).
Ho anche letto che forse il cinema (previsione fornita dal ‘team pessimismo’) non sarà più lo stesso e allora mi son rattristato che a me manca molto il cinema, per poi sollevarmi guardando qualche film nuovo di zecca, come ‘The invisible man‘ che mi è piaciuto molto o ‘The Hunt‘ che è belloccio.
Ho visto pochissime cose su Netflix perché non funziona benissimo lo streaming, forse per il sovraccarico delle moltitudini che come me hanno cercato in questi giorni conforto nei film, però una cosa l’ho vista ed è stata ‘Il buco‘ che ha una bella idea ma non la ciambella intorno.
Infine, ho anche ascoltato musica, il Boss e la sua saggezza che salvano il protagonista in ‘Blinded by the light‘, i Simple Minds di quando avevo l’acne e volevo far parte anche io di un ‘Breakfast Club‘ e poi Mozart, riguardando quel totem che è ‘Amadeus‘ nella versione da tre ore del ‘director’s cut’ che tanto di tempo ce n’è.
La Pasqua è finita – questo post doveva uscire ieri ma sono sempre lento – il lockdown no, domani guarderò un altro film, magari non ne scriverò ma questo elenco forse, un giorno, fra un anno magari, lo riprenderò e proverò a sorridere di queste settimane.

Put on a – 1/2 – happy face

Mi viene veramente difficile trovare un altro film così oggettivamente bello e così soggettivamente imperfetto.
Provo a spiegarmi. La origin story del nemico numero uno di Batman è girata benissimo in una Gotham City che riprende letteralmente lo spirito, le tensioni sociali e la decadenza cittadina della NYC di fine anni settanta in un palese fin dai titoli di testa, anzi, fin dall’apparire del logo WB, omaggio al cinema che la rappresentò, cominciando da De Niro e dall’ombra di quel personaggio che ‘you talking to me?’ per arrivare alla metropolitana dei guerrieri, passando ovviamente per ‘Re per una notte’. Il regista si diverte a citare un periodo storico con una sceneggiatura affidata a un istrionico, stupefacente attore.
Joaquin Phoenix prende il personaggio e lo divora, in purissimo stile ‘Actor’s studio’ diventando Arthur, clown fallito e con problemi mentali/sociali.
Gioacchino è sempre stato uno dei pref. da queste parti e ovviamente vincerà ogni premio possibile perché è palesemente clamoroso, così come la colonna sonora è eccellente, accompagnamento profondo dei passi di danza o di mestizia di Arthur verso il suo irredimibile destino. Quindi, tutto bene?
Eh, no. “Joker” è come un quadro bellissimo che però ti tiene a distanza. Non saprei dirla meglio. Non sono mai entrato nel film perché mi è sembrato privo di una cosa fondamentale. Una sorta di cuore, di anima, di pathos. Ci sono parecchie scene molto belle, innanzitutto la prima sulla metro che è girata benissimo e merita da sola il prezzo del biglietto, eppure si resta ad ammirare il quadro, non si ‘vive’ mai il film che sembra troppo costruito, troppo furbo forse, incluso il finale. Non si tifa per il cattivo che anzi mi è sembrato giustamente respingente. Non si parteggia per i comprimari che svaniscono sotto l’enormità dell’overacting di Gioacchino, a tratti davvero strabordante, e nemmeno per le vittime, utili solo a scoprire l’essenza dell’assassino psicopatico. Si assiste alla creazione di un gigantesco villain, senza mai davvero entrare nella pellicola. Manco c’è un plot twist, ad agganciare, cioè si sa che Arthur diventa Joker, su questo non ci sono spoiler. Si arriva fino all’orlo della follia, viene da dire, ma si fa, fortunatamente, un passo indietro, come prendere una medicina, sempre che ci siano i soldi della sanità…
Insomma, mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato, né convinto del tutto. Consiglio comunque la visione perché è il film del momento e per vedere un clinic di recitazione, oppure, tranquilli, è piaciuto a tantissime persone che gridano al capolavoro. Ci sta, ci mancherebbe. Però mi sa che ci sia da dire una cosa. In questi tempi ci si divide un po’ troppo, un po’ su tutto, si fa sempre troppo il tifo, ci si esaspera e si esasperano le conversazioni. Un film può essere una schifezza o un capolavoro ma non solo una schifezza o un capolavoro. Può anche essere un film che colpisce per come è fatto, con decine di immagini da .gif o da bacheche di tumblr (esistono ancora) ma che non lascia molti ricordi ‘emotivi’. Possono esistere i film belli e i film discreti, i film mah e i film così così. Le scale di grigio in celluloide, insomma. E non c’è nulla di male.
You ever dance with the devil in the pale moonlight?
(dovevo metterci questa frase…)

Ps.: ieri sera nei lunedì in versione originale del beneamato cinema con una cassa all’ingresso sotto alla ghirlandeina, c’era la filona per entrare. Anni che la meno con sta versione originale e finalmente il popolo giunge. Oppure è perché c’era il film che bisogna vedere?
La risposta al prossimo lunedì. (per esempio: la settimana scorsa a vedere ‘Yesterday’ – a proposito, andate a vedere ‘Yesterday’ super film top romance – eravamo in venti in sala, ieri sera invece il film è iniziato mezz’ora dopo per fare entrare tutte le genti)

Seguendo le favole di Hollywood, indossando stivaletti scamosciati

Quentin Tarantino fa quello che vuole. Si prende tempo, quello che vuole, per fare conoscere tre personaggi, per mostrare lo sfondo, la Hollywood del ’69 e quello che rappresenta(va) che è poi il punto.
Si prende tempo, per mostrare capelli bellissimi al vento di decappottabili o di macchine con i finestrini perennemente abbassati, tempo per carrellate orizzontali, per mostrare tanti piedi e alcune calzature, mettendo dentro i suoi feticismi, facendo il suo film più personale (l’ha anche detto lui).
Si prende tempo, in totale controllo artistico, una cosa abbastanza rara nella Hollywood ’19 in un panorama di ‘filmoni’ dominato da eroi e sequel/prequel e con una storia originale, seppur appoggiandosi alla storia vera. Non dico niente di personaggi e della, esilissima, trama. Sarà un piacere per chi vedrà il film andare poi a leggere (finalmente, il film è uscito nei paesi culturalmente civilizzati a luglio, massimo a metà agosto, solo qui adesso ma, hey, non siamo gli ultimi, in Corea del Sud esce la prossima settimana!) del mix fra realtà e finzione di vari personaggi che il film mostra più o meno a fondo, in una marea, seppur controllata, di citazionismo tarantiniano.
Il regista si prende soprattutto tempo per portare lo spettatore al finale che, senza dire niente, è il tutto.
E’ l’approdo di una favola, come recita il titolo, dove si arriva con tantissime cose viste, con una sequenza in cui Di Caprio dimostra di essere il migliore attore della sua generazione, un’altra che è puro amore per il cinema e gli occhialoni.

Piacerà meno degli incassi, secondo me, al di là del pop, del fashion (Brad Pitt non fa solo l’indossatore, ci mancherebbe, non l’ha mai fatto, c’è una scena straordinaria, quasi sospesa nel caldo e nella polvere, in cui è perfetto, però quando fa il modello, cadono mascelle pure maschili) non è un film per tutti. Piacerà a chi ama il cinema, non solo l’atto di andare al cinema, proprio chi si fa i viaggi con il cinema, ci ripensa, ne legge, ne parla, chi si alza il mattino dopo una visione con gli occhi ancora pieni delle vie di Los Angeles, di sole, piedi sporchi, polvere, sigarette, cocktail, ville, capelli al vento e cappelli, locandine e ranch sentendo quell’effetto che solo il cinema può ricreare, quella sensazione fra malinconia e magia che pochi film sanno rendere e questo lascia, dopo un lungo viaggio che poi sembra troppo breve, volando nella notte di Los Angeles.

 

Ps.: complimenti sempre a chi proietta in versione originale, ieri sera alla “anteprima” era pieno di giovani fra l’altro, bel segnale, spero;
Ps2.: bisognerebbe sapere qualcosa della cultura americana di quel periodo, sarebbe meglio per capire tutto, anche se non è fondamentale, soprattutto un passaggio, un nome, che mi è stato spiegato prima del film da bravi ragazzi che hanno fatto una presentazione dello stesso;
Ps3.: ho scoperto una cosa. Al cinema se uno ha al polso quei robi collegati al cellulare che ricevono gli avvisi e se il tipo/a è gettonatissimo, il robo al polso si accende cento volte durante la visione e solo perché ho abbracciato la via della pace non ho preso la mannaia tagliandogli il polso, al tipo col robo al polso, anche perché Quentin non fa più certi film, quindi sarebbe stato troppo tarantinesque, la scena della mannaia e del polso che cade sul pavimento della sala, il robo ancora acceso.
Ps4.: lo stivaletto mocassinato che indossa Boothe/Brad nel film lo puoi comprare qua

E quindi, ‘Endgame’ (sì, spoiler alert)

Il primo film di quello che poi è diventato il MCU,  ‘Iron Man‘, è uscito nel 2008. Non ricordo dove lo vidi, probabilmente nel solito cinema del paese, però ricordo che non ne fui entusiasta e una ricerca nel blog me lo conferma.
Quel film contribuì, fra le altre cose, a spostare noi ‘nerd’ di livello più o meno ‘PRO’ dalla zona ‘ah, quello che legge i fumetti/va a vedere tutti i film‘ a ‘persona con gusti culturali interessanti‘. Da quell’anno, circa e semplificando, il gusto ‘nerd’ ha conquistato il mondo dello spettacolo. Anche grazie al MCU, ovviamente.
E l’altra sera è stata una specie di festa per quelli come me che hanno seguito tutto lo svolgersi di quel mondo fatto di hype e super eroi perché il film contiene una dose consistente di ‘fan service‘.
E’ una celebrazione commossa della Marvel stessa, di questi undici anni, dei personaggi che ci hanno accompagnato a lungo, del tempo scandito dalle uscite cinematografiche, dalle chiacchiere su film e fumetti, sulle differenze con i fumetti, dai trailer, dalle attese, dai film quasi inutili e dalle bombazze.
La scelta di puntare, dopo l’eccellente sorpresa finale e il perfetto cattivone di ‘Infinity War‘, sui sentimenti, si è rivelata perfetta, con l’inizio e il finale giusti, carichi di un senso familiare che rimbalza dallo schermo al pubblico e viceversa. Le morti sono eccellenti, cariche di sentimentalismo e chi non si è commosso non ha il cuore. La battaglia finale è bella, epica, esaltante, il giusto ‘The end‘ del finalone in due capitoli (e paragonarli non ha molto senso, secondo me) con la corsa con il guanto verso il mezzo quantico di Ant-Man come se fosse l’ultima azione nei secondi finali di un Superbowl avvincente  e con la squadra di casa in svantaggio su un campo impietoso. Spettacolare, come il viaggio nel tempo, indietro al primo ‘Avengers‘ in una sorta di come eravamo che mi ha fatto volare dall’entusiasmo, seppur rimanendo incollato sulla sedia.
A proposito, se ne parlava come una delle possibilità e puntuale è arrivato. Ogni volta che si salta nel tempo ci sono dei problemini logici e dei buchi non solo temporali qua e là e nonostante lo spiegone di Hulk, si resta un po’ nel ‘Mah, fidiamoci‘. Comunque un modo dovevano trovarlo e qua si prende tutto, i tecnicismi poco importano (agli impallinati, magari si, ma i siti italiani e USA sono strapieni di pezzi ben più importanti e arguti di questo sui tecnicismi e non solo) importa ci sia il gasarsi e le lacrimone, elementi base e presenti a profusione nelle tre ore del film.
Si prende anche Thor con la ‘belly beer‘ manco fosse un avventore del nostro bar. Ci stava? Dibattito: sì, perché la combo Thor-Guardiani si era già vista, No, perché troppo macchietta. Eppure, ho riso spesso quando arrivava questo dio alcoolizzato e distrutto dai suoi errori.
Perché al di là delle critiche, dei paragoni, dei più o meno arguti puntigliosi sempre all’erta, è tutto lì. Il passato da ricordare, a volte da cancellare, da modificare migliorandosi, per essere davvero eroi. Oppure da rivivere cambiando, riprovando. Tutto con un giusto sentimento, legato alla fine di questo MCU, perché il prossimo film della serie dovrà inaugurare un nuovo mondo Marvel, dovrà cambiare, per forza, e chissà se li tornerò a vedere tutti.
Chissà se riusciranno a tenere tutti noi, dai quarantenni che accompagnavano i figli ma erano più gasati di loro, ai trentenni che dissimulavano l’attesa, ai ventenni in fissa pieni di teorie, ai quindicenni casinisti che erano in culla quando RDJr iniziò la sua carriera da boss dei super eroi.
Probabilmente ce la faranno a riportarci tutti a casa. Gli incassi spaventosi e la capacità di programmare mostrata, daranno una forza impressionante alla Marvel, però altrettanta responsabilità. Ecco, questa cosa del potere e della responsabilità l’ho già sentita in giro e comunque al prossimo, sì, saremo ancora tutti lì.
Ad aspettare, fiduciosi, come una grande famiglia che fa la coda al cinema di periferia, una cosa che non si vedeva da anni, al cinema di periferia, una cosa che mancava, forse una cosa unica, però è stato bello, chiedere permesso per poter entrare, visto che il biglietto lo avevo fatto un’ora prima. E’ stato bello, l’altra sera. Son stati belli, questi undici anni di super eroi.
[to be continued…]

Nothing really matters, tooo me (and PG-13)

Un minimo di contesto personale. Per me i Queen, quando li conobbi, metà anni ottanta, erano una band con decine di canzoni mediocri e una decina di hit clamorose. Nel novanta durante il servizio militare conobbi Carmine. Un giorno ci portò a casa sua, un appartamento in un palazzo di Quarto Oggiaro pieno di mobili e odore di soffritto dove nella sala troneggiava un luminescente pianoforte a coda. Noi mettevamo su un disco a caso dei Queen e lui suonava e cantava il brano. Qualunque. Era bravissimo, gli chiesi perché non suonava altro, rispose ‘A me piacciono i Queen’. Con lui li riascoltai con una guida a fianco ma non sono mai entrati nel novero delle band del cuore.
Il film lo aspettavo, sapendo che era una bella sfida da vincere, perché i biopic musicali sono sempre stati ardui da gestire per le aspettative e perché spesso l’ego dei protagonisti è difficile da comprimere su pellicola.
Al botteghino del cinema una signora sintetizza bene la questione del film: ‘Uno per Freddy Mercury’. La cassiera le sorride, strappa il biglietto.
Sala affollata per l’unica visione settimanale in versione originale. Si parte, svisata di chitarra sulla sigla della ‘20th Century Fox’. Pessimo segnale, molto anni ottanta, ma ci sta.
Purtroppo, sono rimasto abbastanza deluso. La storia  si appoggia unicamente sulle canzoni, non riesce mai ad entrare in una vera empatia con lo spettatore senza le stesse.  Quando non c’è la musica il film resta superficiale nonostante le possibilità di avere fra la mani un personaggio così sopra le righe, ingombrante, per due motivi: la mancanza di una sceneggiatura con un minimo coraggio, che da il suo massimo spiegando la gestazione di tre canzoni e perché il film deve prendere il PG-13 e quindi per esempio la discesa negli inferi del sesso promiscuo viene fatta vedere con un blando montaggio bruttamente psichedelico di Freddy in giacca di pelle. Abbastanza uno spreco.
E il film è un po’ tutto così. Si intravede il potenziale anche perché Rami Malek ce la mette tutta, dentoni inclusi, però niente, non parte mai la vera emozione, mai ho vissuto i dubbi, la tensione interna del protagonista. Il tono documentaristico che spesso prevale, non aiuta ad entrare in sintonia con il personaggio. Altra pessima scelta quella di dover trovare un cattivo, senza se, senza ma, senza sfaccettature e la scelta del gay cattivo che porta il buon Freddy sulla pessima strada, al netto del fatto che le libertà storiche in film del genere per me sono percorribili basta che mi facciano partecipare e invece ancora no, è veramente forzata.
Poi certo il film piace, perché a chi non piacciono le canzoni che tutti conoscono dei Queen ma è troppo poco per farne un film da ricordare.
Serviva più coraggio nella scrittura. E ripeto non era facile e molto probabilmente un film di una major che deve incassare non può avere il coraggio necessario per prendere un materiale così sontuoso (anni settanta, rock and glam, omosessualità, successo, droghe, fans, malattia e morte) e farne un film memorabile. Non può perché facendolo, osando, rischierebbe di non incassare, al momento, cinquecentocinquanta milioni di dollah. Non c’è niente di male. Però, che peccato.
C’è anche un altro discorso che è il finale dove (SPOILER, ahah) si vede la copia carbone dell’esibizione del Live Aid nel luglio ’85 (madeleine: noi nella sala dell’hotel che non andiamo al mare ma ci mangiamo il Live Aid in tv, coi genitori che rompono perché ‘siamo al mare e non vai al mare?’ ‘mamma cazzo vuoi ci sono i Duran in tv’). Per me una scelta sbagliata e pigrissima. Anche lì, manca una sceneggiatura. Potevano fare altre cose ma non hanno voluto rischiare quasi nulla. Purtroppo.
Restano le canzoni, ma quelle resteranno per  sempre.
Eeeeeh Ooooooh!

Ps.: qualche giorno fa ho letto un twit dove uno spettatore raccontava di gente andare via dalla sala dopo un bacio omo sullo schermo. A parte che è inammissibile non sapere certe cose – cioè vai a vedere il film e non sai che questo protagonista era gay? veramente? ti piacciono le sorprese? boh – siamo veramente messi male se c’è gente (anche da me, ieri sera) che fa i commentini scemi a un bacio. Maledetto Pg-13. 

il mio ultimo Jedi

Prime impressioni dopo aver visto ‘Gli ultimi Jedi‘, ottavo capitolo della saga ‘Star Wars’, scritte sul telefono mentre cercavo di prendere sonno, nonostante incrociatori spaziali mi passassero davanti agli occhi, editate adesso con SPOILER. Ti avviso: se vuoi vederlo, non leggere magari o passa più tardi, SPOILER, capito?

Il film è bello, non c’è dubbio, con qualche difetto.
Questo è in sintesi il giudizio.
Prima di dire cosa funziona e cosa no, bisognerebbe fare un preambolo che sarà noiosamente già detto ma pazienza.
Ci troviamo di fronte a una saga rivitalizzata dalla Disney, dal più grosso produttore al mondo, che ha speso miliardi per acquistare un caposaldo della cultura pop, per farne triliardi, prendendo personaggi creati quarant’anni fa, quindi da un punto di vista narrativo sai che il concetto della ‘Forza’ o ce l’hai o pensi sia una scemenza e allora vai a vedere altro e dal punto di vista della enorme fan base devi cercare di accontentare il vecchio pubblico ma anche di intercettarne uno nuovo, più giovane, smaliziato.
Il primo nuovo capitolo era piaciuto molto, aveva avuto la super propulsione della novità ed era un palese omaggio al passato.
Fanno una nuova trilogia!’ ‘Yeeeee!’. Ecco.
Ovviamente due anni fa tutti noi quarantenni eravamo sull’orlo dell’eccesso di entusiasmo ma avevamo anche qualche sospetto che si riassumeva nella frase ‘Non rovinare la nostra gioventù, JJ Abrams limortaccitù’ ripetuta silenziosamente poco prima che si spegnessero le luci in sala. Poi tutto passò ed accogliemmo bene i nuovi personaggi, anche perché per tutto il film ci avevano portato in giro ammiccando pesantemente all’originale ‘Guerre Stellari’ tenendoci per mano.
‘Gli ultimi Jedi’ è anche il film di mezzo della prima (pare ne faranno altre) trilogia Disney, poteva trovarsi in difficoltà perché stretto fra l’inizio che porta con sé entusiasmo e nuovi personaggi e l’ultimo capitolo che, essendo la fine, deve essere potente e gasante. Quindi il secondo film può essere un po’ il vaso di coccio fra vasi di ferro o il figlio di mezzo che riceve meno amore e la smetto che ci siam capiti e si va…

Le cose belle:
Ray, personaggio principale in evidente crescita e lei è proprio perfetta;
Luke, noblesse oblige, ma Hamill si mangia mezzo film di carisma impiantato da millemila visioni della saga originale e dal personaggio che è ben scritto e non sprecato;
la battaglia degli incrociatori, la battaglia finale;
il momento cappa e spade laser: bello, dai, anche se le coreografie forse non scivolano via liscissime soprattutto nelle prime inquadrature, magari è stata un’impressione mia;
Kylo Ren e Ray che si guardano da MOLTO lontano: il punto del tutto, la rabbia totale contro la consapevolezza sempre più potente e presente;
i capelli di Laura Dern;
i porg e i cani di cristallo: certo è puro marketing e strizzate d’occhio ai più piccoli fuori e dentro di noi, oltre a fare puccismo in giro per la pellicola e comic relief seppure a volte non richiesto. I tanto temuti – per l’effetto ‘Jar Jar ma suvvia Binks’ – Porgs, non sporcano, non fanno niente se non farti un po’ ridere e un po’ awww e comunque io vorrei un Porg in ufficio che tira delle urla e un cane di cristallo per fare passeggiate elegantissime;
le scenografie: bellissime, tutte;
le esplosioni: grosse e giuste;
la mezz’ora finale, molto bella dove raggiunge giusta epicità e apre bene all’ultimo capitolo, voglio già lo screenshot di Luke che si para con totale cazzimm’Jedi davanti ai nemici;
la storia secondo me è buona, anche se in pratica si parla di un assedio enorme su più piani, anche se non porta sconvolgimenti epocali ma solo un altro addio importante (e un pizzico di commozione da queste parti è arrivato*) con i personaggi che provano a crescere e/o cambiare, anche se non tutti possono, vogliono, riescono a farlo.

Le cose che non funzionano:
Finn: come personaggio e come storia, troppo lunga, con una romance assai forzata, che se dovevano (e sì, dovevano) avere la quota per le ‘minoranze’ con un colpo solo hanno risolto;
è troppo lungo: vedi sopra, la storia di Finn e del suo salvataggio poteva essere tagliata di dieci minuti minimo, inoltre a volte si perde un po’ la presa sul corpo centrale del film, ovviamente il rapporto Kylo Ren-Ray;
Poe Dameron: anche lui non convince del tutto, forzato a prendere il posto di Han Solo, come l’indomito coraggioso che si getta sempre all’attacco, mh (ma il testa coda con l’X-Wing è piuttosto una magia);
l’arrivo di Yoda: tutto un friccicore di ‘AwwYodaaawwww’ ma non ce n’era bisogno di scomodarlo;
chi sono i genitori di Ray: questa cosa viene risolta un po’ ‘bene’ (perché ok, non sono nessuno) un po’ ‘meh’ (perché la forza scorre a caso nella galassia e va bene ma forse il livello nerdismo applicato alla saga si aspettava di più?).
E poi, c’è una cosa che è fra il brutto e il ‘WTF?!’: la resurrezione in volo di Leia, che insomma, poteva stare sul pavimento colpita e poi salvata ma un momento cristologico (o una forma totale di devozione) si vede che è scappato nella sceneggiatura.

Quindi: vuol visto? Certo. E’ l’ottavo capitolo di ‘Star Wars’, imprescindibile se li hai visti, se hai seguito, quindi vuol visto, prenditi tre ore di tempo, due e mezza per il film e mezz’ora per un caffè o una birra dopo e divertiti.
E’ memorabile? No. Memorabili sono i capitoli IV, V, VI, sempre e per sempre.
E’ diverso, non è solo per noi quarantenni che possiamo spaccare la spada laser in quattro, per provare a dire ‘Era meglio quando…‘ e aggiungi parole di nostalgia a caso, ma è anche, vedi preambolo, rivolto ad altro pubblico, come da scena finale scena finale del film, piuttosto esplicita al riguardo.
Ed ecco, direi che è tutto. E comunque lo voglio rivedere perché la seconda visione (dedicata ai film belli belli e ai film di Star Wars) serve per capire meglio certe cose e ricordarle per il capitolo finale che io vorrei trovarmi in lacrime sui titoli di coda, ecco.

(*) = e qua c’è la faccenda di come si impastano le visioni dei film della saga. Ero in sala nel ’78, piccolissimo, ed è uno dei miei primi ricordi, figurati, magari un ventenne che ha visto la trilogia (non c’è bisogno di dirlo, quella vera) in dvd si dispiace meno di vedere mantelli svolazzanti in lontananza…

quegli otto, in settanta millimetri

 

Ah, Tarantino.
Il suo nome è una garanzia, uno dei pochissimi registi che coniuga autorialità e incassi (o, meglio, che piace quasi a tutti). Per questo nuovo lavoro la critica spiccia da social si è spaccata fin da prima che il film uscisse, forse terrorizzata da qualche recensione non propriamente entusiasta. E’ quindi scattata la classica divisione curvaiola con pregiudizio incorporato. ‘Ti piacerà’ vs. ‘ti annoierà, Tarantino non è più lui’.
Gli appartenenti al secondo ‘partito’ portano la t-shirt ‘era meglio quell’altro film‘, uno qualunque della ormai lunga filmografia quentiniana, preso a sproposito in un paragone a caso, oppure si rifugiano in un angolo della sala con un panno con ricamata la scritta ‘è troppo lungo‘ oppure ‘non succede niente‘.
Può non piacere un film di Tarantino, certo, ma sempre, sempre, è manna per chi ama il cinema. In questo mescola i generi, dal giallo (dieci, o otto, piccoli indiani con pistole, non penne) allo splatter-horror con pallottole che fanno esplodere facce, al grottesco (perché mentre il sangue cola non riesci a non ridere o sorridere) per finire, ovviamente, al western con bonus di storia americana. E tutto questo lo vuoi far durare meno di due ore e mezza? Che poi io ho visto la versione più lunga. Quella ‘speciale’, ma ci arrivo dopo, forse sarò prolisso, come Quentin, anche se non sono, ahimè, lui, che scrive dialoghi e caratteri di un film veramente notevole che riempie gli occhi e anche le orecchie.
Capisco le critiche, anche alla durata o ad altro. I dialoghi sono meno brillanti? E’ un film diverso dagli altri. Tarantino fa sempre lo stesso film? In un certo senso sì, questo semplificando è una sorta di  ‘Le iene’ con i cappelli. E’ molto teatrale come impianto, quasi tutto al chiuso di una carrozza diretta verso la fine e dentro un capanno con la porta rotta. Ma siam sempre, lì. E’ Tarantino. Fare la classifica dei suoi film più belli è esercizio mnemonico e da chiacchiera, ma anche questo è un film girato da dio, interpretato alla grande, con il commento sonoro di Morricone che funziona benissimo, panorami anche in interni (quanto è grande l’emporio? A tratti sembra enorme) e con momenti clamorosi. La verbosità di Tarantino è un marchio di fabbrica ma non è fine a se stessa. Tesse la tela e poi fa il maglione di pelliccia con fili di sangue. Ti fa chiedere chi è il colpevole, ti fa tifare per tutti e per nessuno.
‘The Hateful Eight’ è un gran film.

(versione speciale, ti danno anche un libretto)
(versione speciale, ti danno anche un libretto)

Sarebbe da vedere in lingua originale ma non c’è niente da fare. Sto muro culturale, con mastice di pigrizia, non si abbatte. Ne parlavo anche l’altro giorno con un ventitreenne. ‘Eh, ma che fatica leggere i sottotitoli’. Appunto.
In lingua originale non perdi le inflessioni vocali che caratterizzano i personaggi, come l’incredibile accento di Goggins, mio uomo da ‘Justified’, mio preferito del ‘pack’ tarantiniano in mezzo alla tempesta nel Wyoming.
Per vederlo in V.O. sono andato a Bologna. Come andare a un concerto. Autostrada, pedaggio, perdersi un momento nelle vie, parcheggiare, un panino e dentro.
Questa ‘versione speciale’ può essere vista anche come uno sguardo su un possibile futuro della fruizione cinematografica, con film che diventano ‘eventi’, pensati e girati in maniera particolare e sale che diventano contenitori non solo di film. Tarantino ha girato in 70mm come si faceva non solo una volta, ma solo per certe pellicole, di successo quasi annunciato (tipo, ‘Ben Hur’). Purtroppo lo schermo del ‘Lumière’ (complimenti, che bel posticino) non è sufficientemente grande per rendere appropriatamente il ‘formatone’ ma la profondità si coglie bene, ancora di più negli interni. La versione speciale dura di più e c’è la voce narrante del regista in un punto del film (credo sia anche nella versione ‘digitale’ delle sale normali, il momento con la voce ‘off’, fatemelo sapere).
Sì, è un po’ un trip da cinefili, però non solo, a parte che un film così (come ‘Revenant’, per dirne un altro) è da vedere al cinema, non si discute.
E insomma, ne è valsa la pena andare, giudizio personale sul film a parte.
A questo link, qua, c’è un preciso articolo sul futuro di certe sale, sulla tecnica dei 70mm, leggilo, dai.
Andatelo a vedere, comunque. Fate ancora in tempo, ‘Bushwackers!’.
A meno che non abbiate paura che vi si rattrappiscano le chiappe a stare seduti per quasi tre ore. Nel caso: ‘Bang!’’.

oh, sì, risvegli

swJ.J. Abrams viene chiamato a riportare la forza nel mondo del cinema. Con il peso dell’attesa di una fan base enorme, sa di dovere aggirare l’ostacolo di una seconda trilogia mal pensata e mal eseguita. Mi immagino la prima seduta di sceneggiatura a casa di JJ o nella saletta riservata del suo ristorante preferito, e secondo me JJ, dopo avere parlato molto con Lucas, che intanto ha venduto tutto alla Disney ed è a posto per quelle dieci generazioni, molto con Spielberg, maestro Jedi di cinema e amichetto di JJ, e molto con altra gente che si intende di saghe, ecco, JJ deve avere pensato a quella frase che è rimasta impressa a quelli che hanno seguito la sua prima ‘impresa’, portare una serie tv sulla bocca di tutti.
Jack, il medico eroe di ‘Lost‘ lo urlava. ‘We have to go back!‘. Ed è quello che JJ ha fatto. E’ tornato indietro, nel ’77. C’era il punk, il PCI e un film che era un azzardo per gli standard hollywoodiani di allora (sì, ho fatto i compiti) e che invece diventò, a seconda delle opinioni, una religione per futuri cosplayer, un pozzo di denaro per gli amanti dei case study sul marketing, un vangelo per gli appassionati di fantascienza, una bibbia per gli amanti degli effetti speciali e delle navicelle spaziali da combattimento.
E sì, siamo tornati indietro.
Buio in sala (che belle parole) e si va. Parte la ‘sigla‘, la scritta in giallo che scorre verso l’alto con sotto le luci di una galassia lontana lontana e sono applausi e fischi e urletti di puro gasamento, dopo un’attesa durata mesi, come un polmone pieno d’aria che si svuota. E via.
Per i primi venti minuti, dopo ogni scena, col mio pard,  ci sussuriamo ‘Fin qui tutto bene‘ preoccupati dopo mesi di speculazioni in salsa scaramantica. Alla mezz’ora la facciamo finita, già sicuri che JJ ha spazzato via la trilogia sbagliata, come un polveroso ricordo di jarjarbinks brutti e che siamo davanti a una operazione che scaccia il lato oscuro e premia i buoni che hanno sempre creduto.
Star Wars:  il risveglio della forza’, incasserà un miliardino di dollari in serenità e sì, JJ la porta a casa.
Con un casting giusto (altro che Hayden MAPERCHE’ Christensen) dove ad attori che fino a ieri erano coi Coen o con le ‘Girls’ (Isaac & Driver, che devono aver firmato in mezzo secondo il contratto per tre film e han fatto benissimo, bravoni) si accompagnano le facce nuove e giuste di quelli che saranno i protagonisti principali (il post non ha spoiler sulla trama eh, ma insomma, tutti avete visto il trailer, no?).
Buona l’azione e gli inseguimenti, un plot classico che per lunghi tratti sembra una copia carbone, un puzzle di elementi conosciuti ma che mischiati ridanno forza e prendono forza per ricominciare, pagando il giusto tributo al passato, senza esagerare e volando nell’iperspazio con una bella carica.
JJ ha studiato bene. Riempie il film con poca CGI, battute divertenti, un sapore di antico ben piantato nel presente, la voce di quell’omone peloso, il suono dei caccia interstellari, un nuovo robot puccissimo, spazi grandi e tante, quasi tutte, cose giuste. Offre un corposo fan service, strizza l’occhiolino, fa il brillante, segna punti con varie frasone da uso immediato. Il film riannoda fili, recupera storie, dura due ore che passano in un amen, perde, ma non si perde in, analisi filosofiche della ‘forza’ che tanto lo sappiamo tutti cos’è.
Cos’è la ‘forza’, lo sa il tipo che entra con una maschera enorme di Darth Vader, lo sanno le ragazze con tunica jedi e spada laser di plastica che si prestano a un selfie nel parcheggio, lo sappiamo noi che siam cresciuti coi poster della morte nera, lo sa la coppia di ventenni che si guardano un video e si scambiano un bacio prima che si spengano le luci, lo sa il padre di fianco a me, che batte l’attesa muovendo la gamba mentre il film inizia, lo sa suo figlio di dieci anni a due posti da me, lo sa il fratellino di sei anni che sottolinea apparizioni sullo schermo con frasi brevi coi punti esclamativi. ‘Spada laser!’ ‘Il millennium falcon!’ ‘Il robottino!’ ‘Han Solo!’.
La forza è un cordone ombelicale fra generazioni, col padre che alla fine del film è quasi più contento del figlio, che lo guarda e gli dice ‘sì’ con gli occhi.
Ed è proprio questo, alla fine, il bello, mentre la sala appalude.
JJ ci prende tutti in fila, le famiglie, i nerd, i ventenni, e ci porta a casa, consegnandoci una nuova speranza tanti anni dopo e davvero buon film.
Mentre scrivo mi sembra veramente tutto troppo giusto. Sarà colpa mia, cerco difetti ma ne trovo solo uno che non posso dire, no dai, due e non posso dire manco il secondo. Però, niente. Applaudiamo. Quando arriva il prossimo?
E comunque, quando parte la sigla, come sempre, un brividone mette i peletti delle braccia sull’attenti. E forse, alla fine, che poi era l’inizio, bastava questo.

 

straight outta myself


(you’re now about to witness the strength of street knowledge)

socEcco, in questo momento, nell’88, stai ascoltando questa canzone che iniziava con un avvertimento che veniva dall’altra parte dell’oceano. Per te, che sei me nell’ormai lontano 88, quei primi versi aprivano una porta su una musica nuova, sulla tua personale idea del ‘sogno americano’.

Bé, te che sei me: sappi che dopo ventisette anni è uscito un film che parla di quel gruppo che scriveva rime per inseguire il proprio sogno, per lasciare un segno, una testimonianza. Un film che dice come quel sogno non era tanto un sogno, ma tu lo sapevi, perché sei sempre stato diligente nelle tue passioni. Traducevi i testi e cercavi sui giornali ogni notizia sull’America del ghetto che ascoltavi, ma in realtà non avresti mai avuto né l’attitude né la grinta per sopravviverci.

In questo momento nell’88, giri coi tuoi amichetti a fare un po’ i poser di provincia coi cappellini, i bomber delle università US, rubando gli stemmi della VW perché avete visto dei video (bravi, siete dei coglioni, ma quante risate incastrate nei ricordi, anni dopo).

Anche nel 2015 i ragazzini vanno nei cinema italiani con una parvenza di attitude e fanno del casino scimmiottando (male però, senza la minima conoscenza, ovvio, di un tempo troppo lontano) il gangsta rap. Me l’ha detto il gestore del cinema che ha avuto un problemino l’altra sera con ragazzotti che sognano troppo le gang ma son solo capaci di fare casino.

(Ah sì, spoiler, caro me dell’88. Il tuo sogno americano si è infranto sulla realtà e su una decisione sbagliata, rivista col senno di poi, ma non ti anticipo niente, lo vedrai coi tuoi occhi).

E il film com’è?

Niente di che. Adesso hai 45 anni e ti gasi ancora quando parte quella base che fa ‘ye-oh‘ e poi scatta Ice Cube e sputa ‘straight outta compton‘, proprio il pezzo che stai ascoltando tu adesso sul vinile, e 27 anni dopo fai ancora (e sempre) la ‘mossa’ di una mano che si abbassa di scatto a sottolineare la strength di un testo che al tempo capivi ma non vedevi.

A parte questo gasamento/madeleine adolescenziale, il film è un biopic musicale piuttosto standard (il cinema ti piacerà sempre, tranquillo) di ascesa e caduta, con una buona dose di musica e con appiccicati un po’ forzatamente dei ‘post-it’ su come i rapporti fra le minoranze e la polizia non siano così migliorati.

La situazione socio-politica che ti incuriosiva quando non c’era internet (oggi c’è questa cosa, ti piacerà molto, sallo) sembra molto cambiata ma è ancora problematica e quella canzone che ascolterai per nove mesi durante la naja pare essere ancora molto attuale in molti quartieri americani. Fuck tha police.

Magari mi aspettavo di più anche perché… non so se dirtelo, ma si può intuire: gli NWA erano troppo grossi, non potevano durare tanto, erano la miccia che innescò tanta robina che ascolterai. Molti eventi non te li posso raccontare perché per te nell’88 devono ancora accadere e comunque sì, come finisce un film non ti piacerà sentirtelo dire nemmeno oggi.

Al cinema eravamo in due in sala, figurati. I distributori han fatto questa pazzia di buttarlo fuori in programmazione normale mentre andava proiettato in lingua originale e in poche serate, dedicate a chi era interessato a una cosa del genere. Oh, ti annoio? Guarda che tu a diciotto anni spenderesti la tua paghetta settimanale per vedere un film del genere…

Oggi, nel 2015, vedrai il film, alla fine ti piacerà abbastanza, non ti rimarrà in testa per più di un paio di giorni, giusto il tempo di farti venire in mente di scrivere una lettera al te stesso diciottenne. Chissà se ne sarai contento. Man, that shit wasn’t so dope, but quite ok.

Ps.: ah, il rap non ti piacerà più così tanto, anzi diventerà una scelta molto secondaria nei tuoi ascolti, ma non ti preoccupare, il meglio te lo sei preso anche se tuttora c’è robina gusta.
Ps2.: ah bis, dopo il film andrai a prendere un caffé al bar e parlerai con ragazzi ventenni che non hanno la minima idea di chi sia Dr.Dre o che ci siano state rivolte a LA nei Novanta, ma staranno pianificando di andare a un festival di elettronica. Già, in questi anni l’elettronica funziona parecchio e tu… non te lo dico, basta spoiler, bro…