una sinfonia che è una vita (spiegata bene)

(premessa)

Quando iniziai ad andare nel posto palco ad ascoltare la musica classica, decisi di scrivere dei concerti a cui assistevo. Non per provare a fare proseliti, il mio bacino di utenza è assai limitato, come la mia conoscenza della materia che dopo una cinquantina di concerti rimane a un livello ‘principiante’, oltre al fatto che la musica classica non brilla per propensione ai social network.
Lo facevo per divertimento, per scrivere, per provare a descrivere, per ricordarmi. A volte ho citato il saggio, un libretto che viene distribuito a inizio serata dove viene raccontata la genesi e il contesto storico delle opere in programma e anche spiegata la musica, ma a volte è una lettura difficile, troppo colta per me.
Ho raccontato nei miei post di come la sentivo io la musica, di quello che vedevo sul palco, azzardando metafore, provando a descrivere sensazioni, perfino con un paio di racconti ispirati dai concerti, o dal pubblico in platea.

Poi ho smesso perché mi sembrava di avere finito le parole, forse l’ispirazione. Ne ho scritti ventisei, sempre sentendomi inadeguato, vedi riferimento alla mia ignoranza. Questi post sono sempre stati letti da pochissime persone. Regolare. Non è che la musica classica sia questo argomento così popolare, anche se tutti gli amici che ho portato anche solo una volta, hanno apprezzato molto.
Ieri sera però ho assistito a un concerto straordinario. Il programma prevedeva due sinfonie, entrambe di compositori russi, miei preferiti, dopo i grandi classici, per capacità di sorprendere, per la continua mescolanza di registri drama & romance.
Il concerto è stato favoloso, pure maestoso. Sono uscito e ho pensato di riprendere l’abitudine del diario. Poi, ho cambiato idea.

Non scriverò dell’arroganza nel look e nel modo di suonare di uno dei sei contrabbassisti, un ragazzo alto e magro, con lungo codino e barba altrettanto lunga, uno che secondo me, nei ritagli di tempo, suona il basso in una band heavy metal.  Nemmeno della coppia di viole, signora con capelli bianchi e ragazzotto elegante ma austero, sembravano madre e figlio, lei timida e lui tronfio mentre accoglieva gli applausi dopo la prima sinfonia, per poi sciogliersi in un sorriso grato al termine dell’ennesima rentrée del direttore, dell’ennesima esplosione di applausi da parte del pubblico. Neppure delle décolleté color crema indossate da una violinista, unica concessione al nero d’ordinanza delle femmine, oppure degli splendidi papillon bianchi e arricciati dei maschi, fra cui spiccava un violinista con capello brizzolato da divo anni ottanta che era sempre una frazione di secondo in ritardo nel prepararsi con lo strumento per l’ingresso, come se per lui fosse troppo facile, ma poi il suo ciuffo ondeggiava al ritmo sinuoso della musica.
Nemmeno della formazione dei sei percussionisti, fra cui il più anziano, coi capelli scarmigliati e uno sguardo vagamente alcoolico, suonava il triangolo nell’ultima sinfonia, attendendo magari di essere sul pullman e di raccontare ai colleghi, da vero decano della formazione, il suo ricordo di un concerto di tanti anni fa…

Riporterò, invece, ampie parti del saggio dedicato alla Sinfonia n.4 di Čajkovskij, dove il compositore prova a descrivere la sua musica. Ne esce una riflessione sulla vita e una lettura che, unita all’ascolto, ho trovato meravigliosa, d’ispirazione e riflessione, e ho pensato di condividerla riaprendo, per una volta, il ‘posto palco’ quassù.

(svolgimento)

I compositori potevano permettersi di dedicarsi alla musica spesso e soltanto grazie a nobili o mecenati. La benefattrice di Čajkovskij era una ricca vedova russa con cui l’autore ‘…aveva avviato, a partire da una lettera datata 30 dicembre 1876, un rapporto di intima amicizia che sarebbe durato, senza mai incontrarsi di persona, fino al 1890′ (e già questa cosa, è abbastanza magica). La baronessa dopo avere assistito alla prima esecuzione della sinfonia, scrisse una lettera all’autore chiedendogli spiegazioni sul contenuto, sul senso della composizione.
L’autore, inizia la sua risposta così:
“Come è mai possibile esprimere quelle sensazioni che proviamo allorché scriviamo un’opera strumentale che non ha in sé alcun soggetto definito? E’ un processo puramente lirico, una confessione musicale dell’anima, ove pullulano tante cose e che secondo la propria essenza si riversa in suoni, appunto come il poeta lirico si effonde in versi”.
In breve, la musica non si spiega. Eppure:
“La nostra Sinfonia ha un programma abbastanza definito perché si possa esprimere a parole; a voi sola desidero – e posso – dire il significato dell’opera nell’insieme e nelle singole parti. Voi capirete che tenterò di farlo soltanto per sommi capi”.

Seguono divise per movimenti, le istruzioni per l’uso della sinfonia, le risposte del compositore che diventano riflessioni molto più ampie e intense quanto la musica stessa.

“L’introduzione è il germe dell’intera Sinfonia, l’idea principale dalla quale dipende tutto il resto. Il tema di apertura è il Fatum, la forza inesorabile che impedisce alle nostre speranze di felicità di avverarsi; che sta in agguato, gelosamente, per impedire che il nostro benessere e la nostra pace possano diventare piene e senza nubi: una forza che, come la spada di Damocle, pende perpetuamente sul nostro capo e di continuo ci avvelena l’anima. Questa forza è ineluttabile e invincibile. Con il Moderato con anima la disperazione e la tristezza diventano più forti, più cocenti. Non sarebbe più saggio distogliersi dalla realtà e immergersi nel sogno? Oh, gioia! Alfine appare un dolce e tenero sogno. Una fulgida, soave immagine umana aleggia dinanzi a me, mi chiama. Come bello e remoto, ora, appare il primo ineluttabile tema dell’Allegro! A poco a poco il sogno avvolge l’anima. Obliata è la tristezza, la disperazione. Ecco la felicità! Ma no, era solo un sogno e il Fato ci ridesta. Così la vita è un costante alternarsi di aspra realtà, di sogni evanescenti, di fuggevoli visioni di felicità. Non vi è alcun porto. Si naviga su quel mare finché esso vi sommerge e vi fa affondare nella sua profondità. Questo, approssimativamente, è il programma del primo tempo”.

“Il secondo tempo esprime un’altra fase di sofferenza. E’ la malinconia che ci invade a sera, allorché siamo soli, stanchi del lavoro, e cerchiamo di leggere, ma il libro ci sfugge di mano. I ricordi si affollano in noi. Come sono dolci quelle memorie di giovinezza, ma come è triste che tante cose siano state e siano trascorse per sempre! Si rimpiange il passato, eppure non si vorrebbe ricominciare daccapo la vita, ci si sente troppo stanchi. E’ più piacevole riposare e rivolgere lo sguardo all’indietro, ricordando tante cose. C’erano momenti felici, quando il giovane sangue scorreva caldo e la vita esaudiva ogni nostro desiderio. C’erano anche momenti difficili, perdite irreparabili, ma sono ormai lontani. E’ triste e pur dolce tuffarsi così nel passato”.

“Il terzo tempo non esprime sensazioni definite, è piuttosto una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia quando si è bevuto del vino e si avvertono i primi segni dell’ebbrezza. L’anima non è ne gaia ne triste. Non si pensa a nulla: l’immaginazione ha libero corso e comincia, non si sa perché, a tracciare strani disegni. D’improvviso si presenta allo spirito la visione di contadini un po’ brilli, una breve canzone di strada risuona. Lontano, passa un corteo militare. Le immagini sono assolutamente sconnesse, come quelle che fluttuano nella mente allorché ci si addormenta. Non hanno nulla a che fare con la realtà, sono strane, selvagge, confuse”.

“Il quarto tempo: se veramente non trovi motivo di gioia in te stesso, guardi gli altri. Va’ in mezzo al popolo, vedi come esso sa abbandonarsi alla gioia. Una festa rustica è descritta. Non appena però hai dimenticato te stesso in questa visione della gioia altrui, ecco che il Fato inesorabile riappare a ricordarti di te stesso. Ma gli altri sono indifferenti verso di te; non volgono neppure il capo, non ti guardano neppure, non si accorgono che tu sei solo e triste. Ah, come si divertono! E come sono fortunati di essere governati da sentimenti così semplici e immediati! Dà la colpa a te stesso e non dire che tutto il mondo è triste; esistono gioie semplici e pur forti. Allegrati nella felicità altrui e la vita sarà sopportabile. Questo, cara amica, è tutto ciò che posso dirvi della Sinfonia.
Certo, quello che ho detto non è ne chiaro ne compiuto. Ciò deriva dalla intrinseca natura della musica strumentale, che non si presta all’analisi particolareggiata. Dove le parole cessano, là comincia la musica”.

Čajkovskij ha finito. Sipario.

(il concerto di ieri sera: link)
(la lettera e una guida completa all’ascolto: link)

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