Postcards from Ferrara

  • Ah, l’autostrada infrasettimanale che scorre gioiosa in mezzo all’Emilia. Un nastro di metallo rovente e annoiato dalla coda delle sei di sera. Arriveremo in tempo?
  • Oh, siam già qua. Abbiam fatto presto però.
  • Vè che bella Ferrara. L’anno scorso non c’eravamo visti. L’anno scorso, pare un secolo. Piccola, coi ciottoli, la chiesa, la piazzetta, un sacco di ragazzi ad occupare le distese estive dei bar e le ragazze in bicicletta.
  • Và il castello che massiccia bellezza. Mi ricorda ‘Game of Thrones’. Guardi troppe serie, lo sai vero?
  • Ciao ragazzi di Ciccsoft, sorridenti ed eccellenti con le buste in mano. Avete avuto un’idea bellissima. Uno speciale di carta, da toccare e conservare, come siamo soliti fare da queste parti, di tanto in tanto. Mi emoziono molto a vedermi in questa unione di parole e disegni in equilibrio sulle canzoni della band, che profuma di belle cose e passione, in compagnia di ragazzi che seguo con ammirazione da tempo.
    Grazie, grazie davvero.

  • Oh, ne vuole una copia il manager dei ‘Nescional’. Wow.
  • E’ presto, scegliamo dove andare. Scegli tu, accompagnatrice biondadentro. Sulla destra c’è una specie di avvallamento sui ciottoli, si vede meglio. No, niente birra per me. Sto qua, mi trovi. Oh, inizia ‘Beirut’.
  • Dice, non ti senti vecchio ad andare ai concerti? Dico, no, finchè l’inizio di un brano mi fa rizzare i peletti sulle braccia, mi sento bene. Fanno ‘A Sunday smile’. Ecco, appunto.
  • Trombe, ottoni, tube, fisarmonica, zingarate, valzer e mazurka, ùn-dùe-trè, organetti, clapclap, coretti e balletti sul posto. ‘Beirut’ è l’ammore.
  • Potrebbero andare avanti per tre ore, fosse per me. Capisco però che un suono del genere possa annoiare. Ne fanno un’altra, dice che hanno tempo. Buon per me.
  • Pieno imballato, mai vista la piazza coi ciottoli così straripante. Tempo giusto, cielo pulito, gente alle finestre degli hotel in attesa, come noi.
  • Ciao Matteo, siamo amici ormai. Quarta volta che ci vediamo. A Milano due volte, perfino in Svezia. Scaletta con un sacco di pezzi adorati. A metà concerto, un pensiero banale. Che in questo momento tu e la coppia di fratellini siete al top della carriera. Perfetti e giusti. E’ bello che ricordiate un concerto minuscolo di anni fa, suonato chilometri più in là, sulla riviera, ora che ti trovi davanti a una platea adorante. Guardare indietro per andare avanti.
    Prosit e ‘All the Wine is all for me
  • Ciao amichetti, anche voi qua. Hai preso i vinili e te li tiri dietro tutta sera? Ti stimo. Ti piaceranno, vedrai.
  • Oh, che bellezza che è ‘Green gloves’.
  • Ciao cuginetta, anche voi qua. Che belli che siete, giovani e sorridenti. Bravo il batterista vero? Eh, lo so.
  • Matteo Berninger, stile a manetta, ineccepibile. Via la giacca, gilet stretto con camicia a scacchi.
  • Zach Condon & la sua banda che accompagnano con gran giro di trombe gli ultimi pezzi dei ‘nescionalaferrara’, l’highlight della giornata.
  • C’è il filo del microfono che gironzola davanti alle transenne. La voce non molla di intensità fra mani che toccano e applaudono. Il filo del microfono taglia è ora in mezzo al pubblico impazzito. Il nostro ‘fanboy’ aggrappato alle transenne sarà svenuto. Giusto così.
  • Oh, senti. Fanno ‘Vanderlyle cry baby cry’ acustica, luci spente, piazza silenziosa. E’ bellissima, è bellissimo. Peli dritti. Ciao, grazie.

Per pianoforti (e percussioni)

(ho visto un concerto, te lo racconto) 

Due sorelle francesi. Arrivano sul palco quasi sommesse, lo sguardo basso. Da lontano si assomigliano, sembrano gemelle. Una indossa un completo con pantaloni tutto nero, l’altra una specie di vestitino rosso, che pare tagliato da una bambina inesperta di forme, sopra a una maglia di pizzo, quasi una punk lady degli anni ottanta. Entrambe hanno i capelli neri, crespi, lunghi, irrequieti. Non sono gemelle, forse sono due streghe eteree come la musica che suonano, pallide in viso come i tasti bianchi dei loro pianoforti, in contrasto col nero lucido del coperchio alzato dello strumento stesso dove il loro pallore si specchia in uno scarto cromatico quasi inquietante. Le code dei pianoforti sono affiancate, quasi incastrate fra loro, le forme forgiate con legno d’acero si sfiorano. Visti dall’alto sembrano comporre un simbolo di equilibrio, un abbraccio di lucente e producente armonia, due parti fuse di un motore di musica in movimento.
Sedute, si guardano separate da casse armoniche, corde e tasti. Sorridono. Le streghe, se son streghe, son buone e cominciano a suonare.
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