Thom Thom Club

Mentre guidavo verso la piazza coi ciottoli mi sono chiesto quanti concerti avessi già visto lì, a ballare sui ciottoli rischiando le caviglie. Da un calcolo a memoria, probabilmente per difetto, dieci. E ho ripensato a quella cosa bellissima che facemmo per i National e alle altre sere in cui sono andato. Ho pensato che poteva essere un’ottima occasione per chiudere con la faccenda di andare a vedere concerti che a dicembre farò mezzo secolo e il primo concerto che ho visto ne avevo sedici, quindi fanno trentaquattro anni di giù dal palco e non parlo di teatri, comodi e seduti con la temperatura giusta tutto l’anno, parlo di palazzetti grigi, arene più o meno vaste, locali di varie forme e dimensioni.
Questo pensiero me lo sono portato dentro mentre trovavo un posto dove piazzarmi per vedere Thom Yorke, uno dei personaggi più importanti degli ultimi vent’anni di rock. Sarebbe perfetto come pietra tombale sulla carriera concertistica. Pensieri non esattamente lietissimi ma comunque concreti, in un giovedì lavorativo infrasettimanale, dopo nove ore in ufficio e una e mezza in macchina e un McDonald buttato giù al volo per non svenire, così tanto che nei primi venti minuti di concerto ho notato con una punta di stizza due cose dell’andare ai concerti, oggi.
(qui è dove metto le mani dietro la schiena, stile ‘umarell’ e guardo la gente)
La prima riguarda i cellulari. Entra Thom accompagnato dallo storico produttore Nigel Godrich e da un tizio che si occuperà dei visuals e attaccano con un brano lento per pianoforte ed effetti che non riconosco, e oplà, si alza un’onda di schermi bianchi a riprendere. Lo scrivo ben sapendo che anche io fatto un mezzo video durante la serata, una storia da postare su IG, tanto per dire al mondo che non ascolta o dimentica che ero al concerto. Colpevole, però secondo me non ha senso fare in continuazione video di solito brutti solo per dire ‘io c’ero’, video che credo non verrano rivisti spesso se non mai, che riempiranno la memoria del telefono e non resteranno. La ragazza che è piombata a metà set davanti al tizio di fianco a me aveva uno zaino che pareva dovesse andare in montagna per tre mesi anziché a un concerto ed è rimasta per minuti con le braccia tese a fare un video orrendo perché essendo bassa, che ovviamente non è una colpa, arrivava con le braccia tese manco all’altezza dei miei occhi che erano attratti da questo schermo a mezzo metro da me e dove la tizia riprendeva teste, braccia, altri cellulare in modalità video, piccole frazioni di Thom Yorke che ballava e la parte superiore del grande schermo. Per me non c’è problema, foto, video, ok, però forse si esagera e hanno ragione gli artisti che s’arrabbiano sempre più, perché si dovrebbe essere lì per la musica – sorprattutto ieri sera, un concerto non certo facile, musicalmente parlando anche se Thom ha la giusta accortezza di limare certe asperità o pesantezze che su disco si sentono – inoltre perché per vedere un bel video di un live esiste You Tube ed è gratis e la qualità è migliore del cellulare.
E poi il chiacchiericcio. Se devi parlare con la vicina (avevo due ragazze che per la prima mezz’ora hanno parlato ed erano alle mie spalle, discretamente brave perché modulavano la chiacchiera in base al volume del pezzo, parlavano di lavori da accettare e poi di un tipo che non si capisce se ci fa o ci è, in sintesi) e io sono buonista vero e non dico mai niente, però non capisco proprio. Spendi cinquanta euro per vedere un concerto in mezzo a zaffate di sudore stantio, zanzare che sembrano calabroni, birra scadente, gente che ti spinge e stai a parlare durante lo spettacolo, forse sarebbe meglio spendere cinquanta euro in una buona bottiglia e scolarsela a un tavolo di una bella piazza. O no?

(qui è dove tolgo le mani da dietro la schiena)
Poi però ho sentito un odore di marijuana fortissimo e buonissimo, mi sono ricordato dei tanti concerti dove ero io quello che fumava e ho pensato che un paio di tiri sarebbero stati perfetti per entrare ancora meglio nel mood sonoro del Tommaso nostro. Manco a farlo apposta dall’altra parte mi è arrivata una zaffata di pakistano e allora anziché chiedere un tiro, cosa che non si fa con saggezza da anni, ho chiuso gli occhi e mi sono ascoltato qualche secondo così, al buio, senza vedere i visual a volte pop e colorati, altre  volte a formare intrecci di forme o zampilli di grigio come sogni (incubi?) non a fuoco, ballicchiando il loop dei bassi sul posto, scuotendo un po’ la testa, mettendo le braccia non dietro alla schiena ma in aria, in alto e lì ho capito che non sarebbe stato l’ultimo concerto perché alla fine mi piace ancora andarci, alla fine restano momenti che ricorderò, anche la ragazza con lo zaino da scalatrice, i chiacchieroni, le zanzarone che per fortuna avevo una camicia e pantaloni lunghi, Thom Yorke che è un fenomeno – ha fatto due ore dove ha suonato strumenti con pulsanti e cavi matti che facevano pin pin, wuoom wuoom, plon plon, taktictakk, la chitarra per riempire vuoti, il pianoforte per cantare in solo ‘Down Chorus’ gettando nello sconforto dell’amarezza il pubblico che all’inizio del pezzo (ascoltalo) fa ‘sshhhh’ per zittire i chiacchieroni e alla fine si lancia in un applauso caloroso,  ha ballato come un folletto come ha urlato un tipo che ne cercava di imitare le movenze vicino a me – e prima di entrare la bellezza delle merlettature ferraresi al tramonto e una volta uscito la stanchezza dolce e meritata fra le vie del centro, andando verso casa con i pensieri sciolti nella calura, lavati via con una secchiata di musica.
Alla prossima, piazza coi ciottoli.

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