delle cose che cadono all’improvviso

Teneva una bottiglia sopra la credenza. La credenza era sopra al frigorifero. Il frigorifero era sopra le piastrelle laccate. La credenza era bianca  e quadrata, il frigorifero era bianco lucido e rettangolare, le piastrelle erano bianche e splendevano quasi, ognuna aveva un lievissimo rilievo come se vi fosse una piccola chiazza di latte sopra.
La bottiglia era nera, il contenuto rosso granata. Stava ritta solitaria come un prezioso trofeo, l’etichetta nera con le parole in filigrana rosso fuoco.
Era un regalo. Glielo avevano portato amici lontani, durante un incontro estivo. Le avevano detto: ‘Aprila in un’occasione speciale’.
Lei pensava che l’occasione speciale si sarebbe presentata presto. La conservò nella sua piccola camera per pochi mesi, finchè non andò a vivere con lui, in un nuovo appartamento a piano terra. Era piccolo, tutto bianco e tutto loro. Il bianco l’aveva scelto lei, le piaceva pulire le superfici, proteggerle dallo sporco, curarle e sentirle sue. La fatica dei minuti passati con lo spazzettone si faceva appagante quando tutto brillava rifrangendo la sua felicità.
La prima sera nell’appartamento era pronta ad aprire la bottiglia che aveva sistemato sopra la credenza, salendo sullo sgabello che era freddo di plastica bianca. Il suo compagno però per festeggiare aveva preso una bottiglia rivestita di carta gialla trasparente, con dentro bollicine piccole e rotonde. Le disse che davano allegria che era suo dovere pensare al vino che la bottiglia di barolo l’avrebbero usata per un’altra occasione speciale. Non ne sarebbero mancate, disse, mentre le baciava la frangia che lei si era accuratamente sistemata davanti allo specchio.Un paio di settimane dopo lei arrivò con la notizia di una sua amica e di un anello al dito. Voleva aprire la bottiglia, il vino avrebbe portato discorsi che le interessavano. Lui però aveva detto di celebrare con le sue amiche oppure aveva un impegno alla mattina presto e voleva stare leggero, lei non lo ricordava già più mentre riponeva la bottiglia sulla credenza.
Dopo qualche mese la squadra di pallavolo di lui centrò i playoff del campionato. Era la prima volta che accadeva. Lei propose un brindisi speciale, lui rifiutò convincendola che avrebbe passato una settimana sottoponendosi a un rigido regime alimentare. Lei si era anche stufata di vedere sta bottiglia inutilizzata e pensò di bersela da sola, poi pensò non fosse una grande idea.
Una notte mentre dormivano, un borbottio che veniva da lontano la svegliò. Lui russava leggero come sempre. Lei sentiva questo rumore sotterraneo come avvicinarsi. Coi sensi impastati di sonno capì che era una cosa brutta, una cosa che cresceva sotto, un rumore che la spaventava.
Anche lui si svegliò, mentre il letto tremava, colpendo ritmicamente il muro. Lui imprecò e mentre la guardava negli occhi sbarrati sentirono un rumore secco di vetri rotti. Lei gli si avvinghiò, lui la scacciò e le urlò ‘Usciamo’. Nell’uscire lei passò troppo vicino al tavolo bianco e immacolato con le sedie di plastica intorno, sentì un dolore acuto al piede, emise un suono lamentoso che il braccio di lui non registrò mentre la trascinava alla porta, mentre le lasciava il braccio per armeggiare nervosamente sulle chiavi, poi la riagguantò e furono fuori. Insieme a loro altra gente impaurita, in sottofondo un rimbombo, come un eco di terra che rotola da qualche parte e rumori che nelle altre notti non si sentivano accompagnati da qualche lamento spezzato.
Passarono minuti ad ascoltare, a farsi domande sottovoce. Il dolore al piede le fu insopportabile sul nudo asfalto quasi quanto vedere nelle facce delle altre persone intorno a loro il riflesso delle proprie paure.
Un cerotto, non succederà nulla. Lui disse, ti accompagno. Lei non accettò. Entrò, svicolando dalla stretta di lui, accese la luce e vide una chiazza enorme sul pavimento bianco. Come se avessero macellato un animale, come se un proiettile avesse squarciato il bianco, come se la terra avesse iniettato un male oscuro che risaltava grumoso sul chiarore tutt’intorno. Vide il fondo della bottiglia vicino alla gamba del tavolo come se una spada l’avesse asportato dal resto, intorno il liquido era immobile, il pezzo di vetro sembrava un’isola in mezzo a un mare di scura immobilità. Provò paura ma poi mise un piede avanti e poi un altro e attraversò, sperando di non incontrare altri tagli. Il profumo delle uve di regioni lontane le inondò i sensi, mescolandosi all’odore della paura. Il rosso della ferita si mescolò al rosso rubino dell’alcool. Lei si fermò, lui improvviso le fu a fianco e la spinse verso il bagno. Lei pianse, lui prese i cerotti, buttando a terra tutto il contenuto dell’armadietto, prese le scarpe, la prese in braccio e tornarono fuori.
Son passati due mesi da quella sera.
C’è una borsa pronta accanto all’ingresso. Dentro ci sono vestiti, coperte e cerotti. Non ci sono più bottiglie sulla credenza. Questa sera una coppia di amici è passata per fare un saluto, per ascoltare le storie, per commentare con parole imbarazzate di comprensione, per poi partecipare a una delle tante manifestazioni che raccolgono coraggio e fondi che punteggiano quest’estate emiliana piena di caldo e di ricordi di ciabatte e cerotti, in questa terra di uomini valorosi e donne col mento alto.
Gli amici han portato una bottiglia di vino. ‘Tienila per le grandi occasioni’ le han detto.
La bottiglia non l’hanno aperta che il vino è troppo forte come aperitivo e poi sono usciti per andare alla festa, ma lei lo sa già.
Lui forse non gradirà, ma la bottiglia lei l’aprirà domani sera, mangiando una pizza margherita. Forse con doppia mozzarella.

Son quasi due mesi che in Emilia c’è stato il terremoto. Un’ amica che abita nelle zone colpite mi ha raccontato una storia. Col suo permesso l’ho romanzata un ‘pochetto’ e la metto qua, il senso gliel’ha dato lei raccontandomela.

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