Ti telefonerò

telefono‘Allora, tanti auguri’.
La frase, sempre identica, apriva la porta a una pausa che da quarantadue anni accompagnava la stessa telefonata.
Nella pausa c’era il ricordo che entrambi, senza saperlo, condividevano. Loro due, su una spiaggia, l’ultima sera di una breve vacanza. Lui, con i pantaloncini blu, che camminava con le mani dietro la schiena, pensando a una frase ad effetto da dire, in quelli che erano gli ultimi momenti della loro conoscenza. Lei, con un costume intero, a ventun anni. Quasi una vita. Eppure. ‘Ti telefonerò‘ disse lui, prima di chiudere quei quattro giorni in cui si erano conosciuti, si erano parlati, si erano piaciuti, non si erano mai toccati. Solo quell’abbraccio sulla battigia, impacciato, come a non voler rovinare l’immagine che poi avrebbe avvolto quelle telefonate.
Un’estate sbiadita dal tempo, eppure il ricordo di quel momento era sempre presente, quasi tangibile.
Dopo quell’estate, lui conobbe quella che sarebbe diventata la moglie. Lei, dopo quell’estate conobbe l’uomo che avrebbe sposato. Una coincidenza che venne raccontata nella prima telefonata. Lui, la ricordava ancora. Il dubbio se chiamare, fuori una nevicata clamorosa. Lei non se l’aspettava, ma ne fu lieta, riconobbe subito la voce.
Chiamava sempre lui. Le sue parole, anche dopo tutto quel tempo, all’inizio della conversazione incespicavano nell’incertezza di essere accolte con gioia. Poi, si raccontavano. Lui non ne aveva mai parlato alla moglie, certo che non avrebbe capito. Lei lo aveva raccontato al marito, che non capì.
Lui raccontava dei figli e dei successi come allenatore di squadre giovanili. Lei, di figli e di un matrimonio devastato dai tradimenti.
Si raccontavano e mentre parlavano, le ombre di due giovani su una spiaggia erano di fianco a loro, ancora in costume da bagno. A volte, le possibilità di vite non vissute scorrevano al loro fianco.
Non si erano mai più visti. Lui a volte se lo chiedeva, come sarebbe stato, certo che lei non se lo chiedesse. Lei a volte se lo chiedeva, certa che lui se lo chiedesse.
Lui telefonava sempre alla vigilia o il 23 dicembre, oppure, se lei non aveva tempo, l’ultimo giorno dell’anno. Lì, lei trovava sempre il tempo, al massimo posticipava la telefonata.
Sorridevano alle loro immagini che avevano a fianco, si raccontavano i cambiamenti dell’età, ma era quasi un peccato. I capelli grigi non donavano a quel ragazzo un po’ impacciato ma sorridente che aveva fatto sospirare una giovane studentessa universitaria. I chili persi dopo un paio di operazioni  non donavano a quella slanciata ragazza che aveva entusiasmato l’erede dell’alimentari di famiglia.
Gli anni passavano, arrivarono i cellulari ma loro si sentivano sempre sul telefono fisso. Una costante.
Avevano mantenuto il ricordo. Un cristallo con dentro un’immagine, un gioiello grezzo incontaminato, incorruttibile, perfetto perché privo di imperfezioni, compromessi, incomprensioni, levigato solo dalle possibilità di futuri aperti in linee temporali che non avevano vissuto, una specie di sogno puro.
E una volta all’anno quella porta si apriva. Lei, aspettava la telefonata. Lui, era puntuale.
Non era nulla, ma era qualcosa di prezioso.
Due secondi di silenzio, il tempo che quella porta si chiudesse con un soffio.
‘Auguri anche a te’.

 

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